14 Mag Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 6425 del 1 giugno 1994
Testo massima n. 1
Fuori dalle ipotesi disciplinate dall’art. 97 del D.P.R. n. 309/1990, l’attività del cosiddetto agente provocatore che, d’accordo con la polizia giudiziaria, propone ad uno spacciatore e realizza la compravendita di droga al fine di farlo arrestare, è del tutto fuori dalla sfera di operatività dell’art. 51 c.p., ossia dell’adempimento di un dovere di polizia giudiziaria. Non può farsi discendere dall’obbligo della polizia giudiziaria di ricercare le prove dei reati e di assicurare i colpevoli alla giustizia l’esclusione, ex art. 51 c.p., della responsabilità del cosiddetto agente provocatore di polizia giudiziaria, giacché è adempimento di un dovere [ art. 219 c.p.p. del 1930 e art. 55 c.p.p. ] perseguire i reati commessi, non già di suscitare azioni criminose al fine di arrestarne gli autori.
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Testo massima n. 2
In materia di stupefacenti, fuori dalla rigorosa e dettagliata normativa espressamente disciplinata dall’art. 97 del D.P.R. n. 309/1990 al fine di controllare un’attività delicatissima e soggetta ad alto rischio di inquinamento, non è consentito alcun margine interpretativo per introdurre scriminanti o cause di non punibilità per i privati collaboratori della polizia giudiziaria. Ne consegue che, fuori dalla ipotesi di cui all’art. 97 citato, il cosiddetto agente provocatore, anche se appartenente alla polizia giudiziaria, non è punibile ex art. 51 c.p. soltanto se il suo intervento è indiretto e marginale nell’ideazione ed esecuzione del fatto, se cioè il suo intervento costituisce prevalentemente attività di controllo, di osservazione e di contenimento dell’altrui illecita condotta. Egli è invece punibile, a titolo di concorso nel reato, se la sua condotta si inserisce con rilevanza causale rispetto al fatto commesso dal provocato, nel senso che l’evento delittuoso che si produce è riferibile anche alla condotta dell’agente provocatore.
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