14 Mag Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 11446 del 17 novembre 1994
Testo massima n. 1
I delitti di truffa e di millantato credito si differenziano oltre che per la diversità dell’oggetto della tutela penale, che nella truffa è il patrimonio e nel millantato credito è il prestigio della pubblica amministrazione, anche per il mezzo utilizzato per la loro commissione sicché i due reati possono concorrere quando l’illecito profitto sia conseguito attraverso le millanterie proprie del secondo reato e la predisposizione di falsi documenti o la assunzione da parte degli agenti di false qualifiche pubbliche, che costituiscono artifici o raggiri propri della truffa.
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Testo massima n. 1
In tema di millantato credito, l’ipotesi prevista dal capoverso dell’art. 346 costituisce una figura di reato autonomo rispetto a quella del comma 1. Se l’agente si fa consegnare la somma con l’intenzione effettiva di corrompere il pubblico funzionario, quando la corruzione non abbia luogo o inizio, la condotta non è punibile. Parimenti, in caso di contestazione del reato a più persone in concorso tra loro, quando si accerta che uno di essi riceve una somma di denaro nella reale convinzione che la stessa sia destinata effettivamente a corrompere un pubblico funzionario ignorando l’intenzione millantatoria del correo, non risponderà di concorso in quest’ultimo reato. Per il concorrente ignaro non si versa in ipotesi di dolo alternativo perché questi si è prospettato il solo evento della corruzione e ad esso aveva inteso apportare il proprio contributo causale. Il dolo alternativo infatti è configurabile non quando vi sia indifferenza del soggetto agente di fronte al possibile verificarsi di due o più eventi, ma quando quelli alternativamente previsti siano entrambi voluti e la indifferenza riguardi soltanto la verificazione di uno di essi sicché già al momento della realizzazione dell’elemento oggettivo del reato l’agente deve prevederli entrambi.
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