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Cassazione penale Sez. III sentenza n. 5308 del 7 giugno 1984

Cassazione penale Sez. III sentenza n. 5308 del 7 giugno 1984

Testo massima n. 1

In tema di spettacoli osceni, le riprese di un’opera cinematografica non possono in alcun modo costituire, prima del montaggio, l’elemento materiale del reato previsto dall’art. 528 c.p., in quanto ancora è ignoto se il regista le utilizzerà nella pellicola cinematografica e ancor più se saranno sinallagmaticamente funzionali ad una più lata significazione artistica, che sia idonea a scolorirne l’eventuale oscenità. Pertanto va assegnato al montaggio il momento creativo dell’opera tanto sotto il profilo sostanziale che sotto quello delle realizzazioni artistiche, onde il momento consumativo del reato va correlato al montaggio e non alla ripresa. Esso rileva ancor più sotto il profilo artistico, perché rappresenta il momento delle scelte, il momento in cui l’ideazione diventa creazione, in cui le scene girate sono accettate o respinte e, comunque, il momento in cui le riprese, divenute sequenze, manifestano la loro attitudine ad esprimere compiutamente il discorso voluto dal suo autore. [ Nella specie, relativa al film «Caligola», la Suprema Corte ha annullato la sentenza del giudice d’appello, avendo ritenuto non ascrivibile al regista il fatto-reato, previsto dalla prima parte dell’art. 528 c.p., per avere realizzato le riprese oggettivamente oscene. Ed invero l’elemento psichico dell’ipotesi in questione consiste, oltreché nell’ipotesi di riprendere le immagini oscene [ dolo generico ], anche nello scopo di farne distinzione e, nel campo cinematografico, di farne oggetto di pubblica proiezione [ dolo specifico ]: nella specie il regista fu estromesso dalla produzione dopo la direzione delle riprese [ tanto che ricorse al pretore ] e il materiale realizzato fu utilizzato con l’ausilio di altro montatore ed altro regista ].

Testo massima n. 1

La nozione di comune sentimento del pudore, di cui all’art. 529 c.p., va risolta nel senso della verifica e dell’aggiornamento di esso nella sua mutevolezza con il divenire dei costumi e con l’evoluzione del pensiero medio dei consociati nel momento storico in cui avviene il fatto incriminato [ cosiddetto criterio storico-evolutivo ]. [ Nella specie, relativa al film «Caligola», oltre all’affermazione che tale opera cinematografica viola «il minimo etico», è stato altresì affermato che il comune senso del pudore, pur affievolito dalla evoluzione dei costumi, ha ancora una sua attuale dimensione, sia pure limitata, e che questa è travolta dalla brutalità e bestialità descrittiva delle immagini e dalla loro corrosività rispetto alla sensibilità e riservatezza della generalità dei cittadini ]. Il valore artistico dell’opera va riferito al suo complesso. Pertanto l’osceno non si pone necessariamente in conflitto con l’arte, a condizione, però, che sussista un equilibrio tra il contenuto e la forma, tra il messaggio che l’autore propone ed i mezzi di cui egli si è avvalso. [ Nella specie è stato ritenuto osceno il film «Caligola» poiché l’interpretazione data dagli attori, la scelta delle inquadrature, il colore, gli ambienti e quanto altro non potevano, in tale situazione, determinare alcun apprezzabile risultato estetico neppure sul piano formale, posto che l’integrità espressiva presuppone una chiarezza epifonica dell’oggetto considerato, ben lontane dalla banalità e dal cattivo gusto del kolossal porno, nel quale l’immagine cinematografica fu relegata ].

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