14 Mag Cassazione penale Sez. III sentenza n. 3445 del 3 aprile 1995
Testo massima n. 1
È configurabile il reato di appropriazione indebita aggravata ai sensi dell’art. 61 n. 11 c.p., e non di appropriazione indebita di uso, nel caso in cui l’amministratore e i soci di maggioranza, avvalendosi della loro posizione di ingerenza e di direzione di una società, abbiano rimosso, dal luogo ove erano custoditi, documenti contenenti disegni industriali-tecnici della società medesima [ destinati a rimanere segreti o, quanto meno, riservati ] li abbiano fotocopiati, li abbiano rimessi al loro posto ed abbiano passato le fotocopie ad una società concorrente, che abbia usufruito della tecnologia così indebitamente acquisita. [ Nella specie, la S.C. ha osservato che l’appropriazione del documento era solo una modalità per acquisire le notizie tecniche ivi contenute e il conseguire la fotocopia era, per il fine degli agenti, equipollente al possesso dell’originale, che una volta riprodotto, veniva ricollocato al suo posto privo di ogni valore intrinseco e finanziabile se non quello, irrisorio del supporto cartaceo: l’uso fattone, assolutamente non legittimo, pur non deteriorando materialmente il documento, ne aveva approvato il valore costituendo un totale svuotamento della utilizzazione dell’oggetto; sicché, dal momento che con l’impossessamento, pur momentaneo, e con la conseguente fotocopiatura gli agenti hanno tratto ogni possibile godimento dell’oggetto — sì che la restituzione del documento privo di valore si potrebbe ritenere un post factum penalmente irrilevante —, si esula dalla configurabilità di un’appropriazione indebita di uso ].
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Testo massima n. 1
In caso di estinzione del reato, il giudice [ per la prevalenza, del favor innocentiae sul favor rei ] deve accertare la possibilità di una assoluzione nel merito. Tale indagine non è conferente in presenza di cause di non procedibilità poiché per il contenuto meramente processuale della relativa sentenza, non è prevista una analoga soluzione. [ Nella specie la S.C., rilevato che rispetto alle esigenze di una declaratoria di non procedibilità la sentenza offre una motivazione esorbitante sul merito e sulla consistenza dell’accusa, ha tuttavia osservato che da tale superflua motivazione non derivano i danni paventati dai ricorrenti, poiché l’art. 652 c.p.p. limita alla sentenza penale di assoluzione efficacia nel giudizio civile o amministrativo di danno, ed esclude tale efficacia alle pronunzie di improcedibilità; inoltre l’art. 654 c.p.p. conferisce efficacia di giudicato esclusivamente alle sentenze dibattimentali di condanna o di assoluzione, sicché le sentenze di proscioglimento rimangono escluse dall’ambito di efficacia del giudicato penale sancito da tale norma [ di qui la carenza di interesse a proporre impugnazione ].
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