14 Mag Corte costituzionale ordinanza n. 286 del 30 luglio 2003
Testo massima n. 1
È manifestamente infondata, in riferimento agli art. 111 comma 2, 3 e 24 cost., la q.l.c. degli art. 529 e 649 comma 2 c.p.p., nella parte in cui non prevedono la condanna dello Stato al rimborso delle spese in favore dell’imputato, quando si pronuncia nei suoi confronti sentenza di proscioglimento per il divieto di un secondo giudizio. Premesso che la questione concerne la posizione degli imputati abbienti, giacché, in una visione solidaristica, che investe anche il processo, l’art. 24 comma 3 cost., dispone che siano assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione, nessuna utile comparazione, quanto al regime delle spese, può essere compiuta tra processo penale e altri processi, specie quello civile, non sussistendo un vincolo costituzionale alla identità di disciplina dei diversi procedimenti, ed essendo i due modelli in comparazione, il processo civile, dominato dal principio di disponibilità dell’azione privata, e quello penale, nel quale vige il contrapposto principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, troppo lontani per rendere arbitraria la mancata previsione della condanna dello Stato in caso di assoluzione dell’imputato; né sussiste violazione dell’art. 111 comma 2 cost., in quanto il principio della parità delle parti trova la sua concretizzazione nell’eguale diritto alla prova e nella regola che questa deve formarsi in contraddittorio, ma non comporta che i poteri e i mezzi di cui le parti sono dotate debbano essere gli stessi e, del resto, nel processo penale, atteso l’ineliminabile squilibrio di posizioni, il problema non è quello della rifusione delle spese da parte dello Stato nel caso di infondatezza dell’azione penale esercitata, quanto piuttosto quello della individuazione di ipotesi di responsabilità conseguenti all’esercizio dell’azione penale e più in generale dell’attività giudiziaria nei casi di dolo e colpa grave.
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