Art. 348 – Codice di procedura civile – Improcedibilità dell’appello

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L'improcedibilità dell'appello è dichiarata con sentenza. Davanti alla corte di appello l'istruttore, se nominato, provvede con ordinanza reclamabile nelle forme e nei termini previsti dal terzo, quarto e quinto comma dell'articolo 178, e il collegio procede ai sensi dell'articolo 308, secondo comma.

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Massime correlate

Cass. civ. n. 2336/2019

Nel giudizio di appello il mancato deposito del fascicolo da parte dell'appellante ritualmente costituito, nel termine indicato dall'art. 169, comma 2 c. p. c., non consente la dichiarazione di improcedibilità dell'impugnazione.

Cass. civ. n. 24312/2017

Ove il giudice d'appello abbia dichiarato d'ufficio l'improcedibilità del gravame per tardiva costituzione dell’appellante, senza sottoporre preventivamente alle parti detta questione, non sussiste alcuna nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa, trattandosi di decisione fondata su questione di diritto, in relazione alla quale le parti hanno la facoltà “ex ante” di esercitare ampiamente il contraddittorio; e ciò vieppiù ove si consideri che si tratta di questione processuale, in relazione alla quale l’ordinamento prevede un ampio spettro di controllo, sino alla possibilità che l’eventuale “error in procedendo” sia oggetto di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., nel qual caso la corte di legittimità diviene giudice del fatto processuale.

Cass. civ. n. 8512/2017

In tema di appello, la diserzione bilaterale delle parti ad un'udienza cui segua la comparizione delle stesse a quella successiva, anche al solo fine di rendere dichiarazione di adesione all'astensione collettiva deliberata dagli organismi forensi, non comporta la dichiarazione di improcedibilità del gravame ex art. 348 c.p.c., poiché la comparizione alla seconda udienza manifesta l'intento di interrompere il meccanismo di cui alla detta disposizione normativa.

Cass. civ. n. 3527/2017

La costituzione in giudizio dell'appellante con il deposito della copia dell'atto di citazione in luogo dell'originale determina l'improcedibilità del gravame, ai sensi dell'art. 348, comma 1, c.p.c., ove la velina non contenga alcuna indicazione sull'avvenuta notifica, né la stessa possa trarsi dall'atto prodotto dall'appellato, e l'appellante abbia depositato l'originale dell'atto di citazione notificato oltre l'udienza di comparizione, senza richiedere la rimessione in termini, atteso che, in detta situazione, il giudice, all'udienza ex art. 350 c.p.c., è nell'impossibilità di verificare la tempestiva costituzione in causa dell'appellante.

Cass. civ. n. 16598/2016

La tempestiva costituzione dell'appellante con la copia dell'atto di citazione (cd. velina) in luogo dell'originale non determina l'improcedibilità del gravame ai sensi dell'art. 348, comma 1, c.p.c., ma integra una nullità per inosservanza delle forme indicate dall'art. 165 c.p.c., sanabile, anche su rilievo del giudice, entro l'udienza di comparizione di cui all'art. 350, comma 2, c.p.c. mediante deposito dell'originale da parte dell'appellante, ovvero a seguito di costituzione dell'appellato che non contesti la conformità della copia all'originale (e sempreché dagli atti risulti il momento della notifica ai fini del rispetto del termine ex art. 347 c.p.c.), salva la possibilità per l'appellante di chiedere la remissione in termini ex art. 153 c.p.c. (o 184 bis c.p.c., "ratione temporis" applicabile) per la regolarizzazione della costituzione nulla, dovendosi ritenere, in mancanza, consolidato il vizio ed improcedibile l'appello.

Cass. civ. n. 6861/2014

È valida la costituzione in giudizio dell'appellante effettuata mediante deposito in cancelleria della nota di iscrizione a ruolo e del proprio fascicolo, contenente la copia e non l'originale dell'atto d'impugnazione notificato alla controparte, a condizione che si provveda poi alla produzione dell'originale stesso, trattandosi di mera irregolarità, che non arreca alcuna lesione sostanziale ai diritti di difesa della parte convenuta, ed esula dalle ipotesi di mancata tempestiva costituzione dell'appellante, tassativamente previste dall'art. 348 cod. proc. civ. quali cause di improcedibilità.

Cass. civ. n. 23585/2013

La regola dettata dall'art. 348, primo comma, cod. proc. civ., nel testo sostituito dall'art. 54 della legge 26 novembre 1990, n. 353, secondo cui la mancata costituzione dell'appellante nel termine di cui all'art. 165 del medesimo codice (richiamato dal precedente art. 347), determina automaticamente l'improcedibilità dell'appello, non esclude che - in base ad un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 358 cod. proc. civ. - la parte costituitasi tardivamente possa proporre una seconda impugnazione, purché tempestiva, sempre che non sia già intervenuta una declaratoria di improcedibilità od inammissibilità.

Cass. civ. n. 6654/2013

Ai sensi dell'art. 348, primo comma, c.p.c., nel testo sostituito, con efficacia dal 30 aprile 1995, dall'art. 54 della legge 26 novembre 1990, n. 353, la mancata costituzione in termini dell'appellante determina automaticamente l'improcedibilità dell'appello, a prescindere dalla condotta processuale dell'appellato, e quindi anche se tale parte non si sia costituita nei termini prescritti, senza che possa trovare applicazione il rimedio della riassunzione del processo di cui all'art. 307, primo comma, c.p.c., richiamato dall'art. 171 del medesimo codice. (Nella specie, la S.C., respingendo la proposta impugnazione, ha chiarito che alle appellanti si presentavano tre scelte, tutte corrette: costituirsi in termini rispetto alla [prima] notifica, attendere l'udienza di prima comparizione e, in caso di mancata costituzione dell'appellata, chiedere l'autorizzazione alla rinotifica; provvedere spontaneamente alla rinnovazione della notificazione, costituendosi, però, entro dieci giorni dalla notifica ritenuta invalida; non costituirsi in giudizio e, una volta divenuto l'appello improcedibile giusta l'art. 348 c.p.c., riproporlo "ex novo" avvalendosi di quanto sancito dall'art. 358 di detto codice).

Cass. civ. n. 5651/2012

In tema d'impugnazione avverso la sentenza di primo grado di divorzio, la mancata comparizione, all'udienza fissata, della parte che ha proposto il gravame non è causa di improcedibilità, dal momento che tale ipotesi non è in alcun modo regolata dalla disciplina dei procedimenti in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 737 e seguenti cod. proc. civ. A tale mancanza deve porsi rimedio facendo riferimento alle norme generali sull'appello, ed, in particolare, all'art. 348 cod. proc. civ., cui non osta l'esigenza di celerità sottesa alla previsione del rito camerale; tale esigenza non consente peraltro di parificare il procedimento di divorzio a quello di cassazione, nel quale la mancata comparizione non comporta il rinvio della causa ad una nuova udienza.

Cass. civ. n. 238/2010

L'art. 348 c.p.c., nella formulazione introdotta dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, non contempla più la declaratoria di improcedibilità dell'appello in conseguenza della mancata presentazione nella prima udienza del fascicolo di parte e, quindi, della sentenza impugnata, né la possibilità di concedere all'appellante, che non abbia depositato detto fascicolo, una dilazione per giustificati motivi. Ne consegue che la mancanza in atti della sentenza impugnata, ancorché quest'ultima possa risultare indispensabile per ottenere una pronuncia di merito sul gravame, non implica comunque la declaratoria di improcedibilità dell'impugnazione, ma non consente neppure la rimessione della parte in termini per la sua produzione ovvero la rimessione della causa sul ruolo per consentirne l'acquisizione, imponendo, pertanto, al giudice di appello l'emissione di una decisione di merito, ove questa sia possibile sulla base degli atti, ovvero, se il contenuto della sentenza impugnata non sia desumibile in modo inequivoco dall'atto di appello, di una decisione di inammissibilità per carenza degli elementi essenziali di tale atto e, segnatamente, della specificità dei motivi sotto il profilo della loro pertinenza alle "rationes decidendi".

Cass. civ. n. 5125/2007

Le disposizioni di cui all'art. 348 c.p.c., applicabili anche alle controversie soggette al rito del lavoro (in cui la costituzione dell'appellante avviene mediante deposito del ricorso in appello), sono dirette esclusivamente ad evitare che l'appello venga dichiarato improcedibile senza che l'appellante sia posto in grado di comparire all'udienza successiva a quella disertata, ma non attribuiscono all'appellante il diritto di impedire, non comparendo, la decisione del gravame nel merito o anche solo in rito, ma per motivi diversi dalla sua mancata comparizione; pertanto, qualora la causa, nonostante l'assenza dell'appellante, sia stata decisa, anche in senso a lui sfavorevole, lo stesso non ha interesse a dolersi della mancata osservanza delle formalità prescritte dalla suddetta disposizione, quando tale inosservanza non sia stata seguita dalla dichiarazione di improcedibilità del gravame. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell'enunciato principio, ha rigettato il motivo di ricorso con il quale erano state dedotte la mancata costituzione del contraddittorio in appello e la supposta violazione del diritto di difesa dell'appellante che non aveva potuto discutere la causa, confermando la sentenza impugnata con la quale era stata ritenuta la legittimità della discussione della causa in appello, stante l'avvenuta costituzione dell'appellata, malgrado la mancata notificazione nei suoi confronti del ricorso in appello e del pedissequo decreto presidenziale di fissazione della predetta udienza, ed in virtù dell'inidoneità dei motivi posti dal procuratore dell'appellante a fondamento dell'istanza di differimento dell'udienza medesima).

Cass. civ. n. 12636/2004

A seguito dell'entrata a regime dell'art. 89 della legge 26 novembre 1990, n. 353 (confermativa della disciplina già applicabile alle controversie di lavoro alla stregua della legge n. 533 del 1973), che ha abrogato il disposto dell'art. 357 c.p.c. (in base al quale l'ordinanza ex art. 348, secondo comma, c.p.c. era suscettibile di reclamo al Collegio), ogni declaratoria di improcedibilità (o inammissibilità) dell'appello per il suo carattere definitivo e decisorio, pur se assunta in forma di ordinanza, ha natura di sentenza, e, pertanto, deve contenere la pronunzia sulle spese, stante il suo carattere conseguenziale e accessorio rispetto alla definizione del giudizio. Ne consegue che, in mancanza di detta pronunzia, la decisione del giudice del gravame è suscettibile di ricorso per cassazione ex art. 360, n. 3 c.p.c., il cui accoglimento determina il rinvio ad altro giudice di grado pari a quello che ha pronunziato la sentenza cassata, atteso che la condanna alle spese del giudizio a carico della parte soccombente – o la compensazione (totale o parziale) di dette spese – è di esclusiva competenza del giudice di merito.

Cass. civ. n. 3920/2001

Le disposizioni di cui all'art. 348 c.p.c., applicabili nelle controversie soggette al rito del lavoro in cui la costituzione dell'appellato avviene mediante deposito del ricorso, sono dirette esclusivamente ad evitare che l'appello venga dichiarato improcedibile senza che l'appellante sia posto in grado di comparire all'udienza successiva a quella disertata, ma non attribuiscono all'appellante il diritto di impedire, non comparendo, la decisione del gravame nel merito o anche solo in rito, ma per motivi diversi dalla sua mancata comparizione; pertanto, qualora la causa, nonostante l'assenza dell'appellante, sia stata decisa, anche in senso a lui sfavorevole, lo stesso non ha interesse a dolersi della mancata osservanza delle formalità prescritte dalle sopraindicate disposizioni, quando tale inosservanza non sia stata seguita dalla dichiarazione di improcedibilità del gravame (nella specie, l'appello era stato dichiarato inammissibile – senza che il relativo capo fosse impugnato con ricorso per cassazione – perché, avendo la controparte impugnato per prima, non era stato proposto appello incidentale così consumando il diritto di impugnazione).

Cass. civ. n. 50/1992

Il provvedimento d'improcedibilità dell'appello adottato dal giudice istruttore ai sensi dell'art. 348, primo comma, c.p.c., per la mancata comparizione dell'appellante alla «nuova udienza» fissata ai sensi della stessa norma, non può essere rimosso, una volta che sia stato sottoscritto il verbale di causa, per il fatto che l'appellante sia comparso dopo la formale conclusione dell'udienza.

Cass. civ. n. 6914/1982

La norma contenuta nell'art. 348, primo comma, c.p.c., che, in caso di mancata costituzione o di mancata comparizione dell'appellante alla prima udienza, dispone che la causa sia rinviata ad altra udienza con la relativa comunicazione del rinvio all'appellante, è diretta unicamente ad evitare che l'appello sia dichiarato improcedibile senza che l'appellante medesimo sia posto in grado di costituirsi alla successiva udienza. Pertanto, qualora in difetto di costituzione o comparizione dell'appellante e costituitosi, invece, l'appellato, la causa, sulle conclusioni di costui, sia rimessa al collegio e decisa nel merito nella contumacia dell'appellante, quest'ultimo non ha interesse a dolersi della mancata osservanza delle formalità prescritte dalla norma suddetta, non essendo stata tale inosservanza seguita dalla dichiarazione di improcedibilità del gravame.

Cass. civ. n. 2543/1980

La disposizione dell'art. 348, primo comma, c.p.c., che impone di dare avviso del rinvio dell'udienza all'appellante non costituito o non comparso, è fondata unicamente sulla necessità di garantire l'interesse dell'appellante di evitare, con la comparizione nella successiva udienza, la dichiarazione d'improcedibilità del gravame, ma non interferisce sul sistema della conoscenza dei provvedimenti emessi dal giudice istruttore quale disciplinato dall'art. 176, secondo comma, c.p.c., che esclude l'obbligo di comunicare le ordinanze pronunciate in udienza alle parti presenti e a quelle che avrebbero dovuto comparirvi. Di conseguenza, qualora non venga rilevata né dichiarata l'improcedibilità dell'appello, ma questo venga esaminato e deciso nel merito, ancorché sfavorevolmente, l'appellante non ha interesse ad impugnare la sentenza denunciando la violazione della norma su indicata, né – ove si sia in precedenza costituito con l'iscrizione a ruolo della causa – può dedurre alcuna violazione dei propri diritti di difesa, e, in genere, del principio del contraddittorio, per non essere stato avvertito dell'udienza di rinvio, dovendosi egli ritenere legalmente a conoscenza del rinvio disposto dall'istruttore.