17 Mar Articolo 832 Codice di procedura civile — Rinvio a regolamenti arbitrali
La convenzione d’arbitrato può fare rinvio a un regolamento arbitrale precostituito.
Nel caso di contrasto tra quanto previsto nella convenzione di arbitrato e quanto previsto dal regolamento, prevale la convenzione di arbitrato.
Se le parti non hanno diversamente convenuto, si applica il regolamento in vigore al momento in cui il procedimento arbitrale ha inizio.
Le istituzioni di carattere associativo e quelle costituite per la rappresentanza degli interessi di categorie professionali non possono nominare arbitri nelle controversie che contrappongono i propri associati o appartenenti alla categoria professionale a terzi.
Il regolamento può prevedere ulteriori casi di sostituzione e ricusazione degli arbitri in aggiunta a quelli previsti dalla legge.
Se l’istituzione arbitrale rifiuta di amministrare l’arbitrato, la convenzione d’arbitrato mantiene efficacia e si applicano i precedenti capi di questo titolo.
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”16″]
Massime correlate
Cass. civ. n. 13312/2015
In materia di contratto di assicurazione, la clausola compromissoria, inserita nelle condizioni generali di contratto, che preveda un meccanismo di corresponsione dell’onorario agli arbitri correlato al valore della causa, ma non in misura proporzionale, e indipendente dall’esito della controversia (nella specie, concretizzato nell’obbligo di pagare il compenso dell’arbitro rispettivamente nominato e di metà di quello dovuto al terzo), ha natura vessatoria se limiti il diritto dell’assicurato ad essere sollevato dalle conseguenze pregiudizievoli del sinistro, esponendolo (soprattutto nelle controversie di modesto valore) all’esborso di rilevanti somme per gli onorari degli arbitri, non proporzionate a quelle riconoscibili a titolo risarcitorio, con valenza dissuasiva dal ricorso all’arbitrato, sì da favorire comportamenti dilatori dell’assicuratore in pregiudizio del diritto di difesa dell’assicurato.
Cass. civ. n. 18460/2004
In tema di arbitrato, l’art. 832 c.p.c., nell’indicare, per la qualificazione dell’arbitrato come internazionale, il criterio oggettivo della esecuzione all’estero di «una parte rilevante delle prestazioni nascenti dal rapporto al quale la controversia L’ammissibilità del ricorso per cassazione ritualmente proposto avverso la sentenza della Corte d’appello resa in sede di impugnazione per nullità di un lodo arbitrale non è preclusa dal fatto che la stessa parte abbia precedentemente proposto analogo ricorso per cassazione direttamente avverso il lodo della cui impugnazione ha deciso la sentenza della Corte d’appello.si riferisce» fa riferimento all’esecuzione di parte significativa delle prestazioni rispetto alle altre parti pur funzionali al perseguimento degli interessi posti a base del contratto, ma non richiede che, nell’ambito del rapporto nel suo complesso, quelle eseguite all’estero ne rappresentino la parte preponderante o principale (risultando per contro chiaramente escluse dalla previsione normativa le prestazioni secondarie o accessorie), senza che ciò determini alcun vulnus agli artt. 3 e 24 Cost. (trattandosi di un criterio di collegamento discrezionalmente adottato dal legislatore, e non essendovi spazio per una sentenza additiva del giudice delle leggi che stabilisca un diverso sistema di determinazione della natura internazionale dell’arbitrato); a tale riguardo, detta rilevanza delle prestazioni da eseguirsi all’estero – da valutare alla stregua della situazione esistente alla data del contratto, e non a quella di insorgenza della lite, e con riferimento alla globalità delle prestazioni derivanti dal rapporto, non a quelle oggetto di controversia e dedotte in arbitrato – va desunta dalla funzione economico-sociale del contratto stesso, dalla comune volontà e dalle finalità perseguite dalle parti, quali emergenti dall’interpretazione di esso secondo le regole ordinarie di ermeneutica contrattuale.
Cass. civ. n. 544/2004
In tema di arbitrato internazionale, l’art. 832 c.p.c. (aggiunto dall’art. 24 della legge 5 gennaio 1994, n. 25), nell’indicare il criterio oggettivo per la qualificazione dell’arbitrato come internazionale nella esecuzione all’estero di «una parte rilevante delle prestazioni nascenti dal rapporto al quale la controversia si riferisce», fa riferimento all’esecuzione di parte significativa delle prestazioni rispetto alle altre parti pur funzionali al perseguimento degli interessi posti a base del contratto, senza richiedere che, nell’ambito del rapporto nel suo complesso, quelle eseguite all’estero ne rappresentino la parte preponderante o principale.
Cass. civ. n. 13648/2000
È internazionale, ai sensi del secondo inciso del primo comma dell’art. 832 c.p.c., l’arbitrato previsto in un contratto, per il quale sia da eseguire, all’estero, una parte delle prestazioni oggetto dei rapporti contrattuali la quale si prospetti come «significativa o rilevante» — pur se non la preponderante o principale — rispetto ad altre parti di esse nel perseguimento degli interessi a base del contratto; ad un tal riguardo, tale rilevanza va desunta dalla funzione economico-sociale dell’atto in cui è posta la clausola compromissoria e dalla comune volontà delle parti, quale emerge dalla interpretazione di esso secondo le ordinarie regole di ermeneutica contrattuale, da applicare tenendo conto della legislazione vigente all’epoca della stipula.
Cass. civ. n. 7398/1998
Ai sensi dell’art. 2 della Convenzione di New York 10 giugno 1958 e dell’art. 832 c.p.c., agli arbitri stranieri può deferirsi, in via preventiva ed eventuale, la decisione delle controversie non ancora insorte, tramite una clausola compromissoria redatta in forma scritta ad substantiam, che identifichi con esattezza le future controversie aventi origine dal contratto principale. Posto che i patti volti a derogare alla giurisdizione del giudice ordinario devono interpretarsi restrittivamente e dovendosi affermare in caso di dubbio la giurisdizione di tale giudice, la clausola contrattuale di deroga alla giurisdizione italiana a favore di arbitro straniero nel contratto principale non si estende alle controversie relative ai contratti ad esso collegati.
Poiché il deferimento di una controversia al giudizio degli arbitri stranieri comporta una deroga alla giurisdizione del giudice ordinario, la clausola compromissoria deve essere espressa in modo chiaro ed univoco con riguardo alla precisa determinazione dell’oggetto delle future controversie e, in caso di dubbio in ordine all’interpretazione della portata della clausola compromissoria, deve preferirsi un’interpretazione restrittiva di essa e affermativa della giurisdizione ordinaria; è pertanto da escludere che, tramite la clausola compromissoria contenuta in un determinato contratto, la deroga alla giurisdizione del giudice ordinario e il deferimento agli arbitri si estendano a controversie relative ad altri contratti, ancorché collegati al contratto principale cui accede la suddetta clausola.
Cass. civ. n. 10229/1997
Nel giudizio di delibazione di un lodo arbitrale straniero, incombe sulla parte nei cui confronti sia chiesta la delibazione, a norma dell’art. 5 comma primo lett. a) della Convenzione di New York, l’onere di provare che le parti stipulanti la clausola compromissoria «erano per la loro legge incapaci», ovvero che la clausola medesima non poteva considerarsi «valida secondo la legge alla quale si riferisce e, in mancanza di indicazioni in proposito, secondo la legge del Paese ove è stata pronunziata la sentenza». La capacità cui allude la disposizione in esame (prevista, in via di normalità, con riferimento ad enti destinati a svolgere rapporti commerciali di rilevanza nazionale) deve, poi, essere correlata non solo alla mera capacità di agire della persona fisica, ma ad ogni tipologia di capacità, tanto di agire quanto giuridica (sotto il profilo delle cosiddette incapacità giuridiche speciali) delle persone, sia fisiche che giuridiche (con particolare riguardo, per queste ultime, agli aspetti della cosiddetta «immedesimazione» organica ed ai connessi poteri rappresentativi) e con onnicomprensiva estensione agli aspetti della correlata legittimazione. Ne consegue, ancora, che, dettando la citata Convenzione di New York una disciplina, completa ed autosufficiente, dei presupposti sostanziali e processuali dell’exequatur di un lodo straniero da parte degli Stati aderenti, è da ritenersi necessario il riferimento alla legge italiana in tutti i casi in cui una delle parti risulti di tale nazionalità, onde accertarne i necessari requisiti di capacità in ordine alla stipula della clausola compromissoria. (Fattispecie relativa alla stipula di una clausola compromissoria da parte del direttore generale e del direttore centrale di una società per azioni aventi capacità di concludere contratti relativi a beni mobili, ma non anche legittimati a compiere atti di straordinaria amministrazione: la S.C., nel confermare la pronuncia della corte di merito affermativa della validità del lodo arbitrale straniero, ha sancito il suindicato principio di diritto, sulla scorta della ulteriore considerazione che, nell’ambito dell’esercizio dell’attività di impresa, la stipula di una clausola compromissoria riferita ai contratti per i quali esista legitimatio ad stipulandum non possa essere annoverata tra gli atti «eccedenti» l’ordinaria amministrazione – con relative conseguenze in tema di autorizzazione da parte dell’organo deliberativo dell’ente).
Cass. civ. n. 5601/1995
Il requisito della forma scritta, con riguardo a clausola compromissoria per arbitrato estero, nella disciplina della Convenzione di New York del 10 giugno 1958 (resa esecutiva con legge 19 gennaio 1968, n. 62), è soddisfatto dall’inserimento della clausola medesima in accordo sottoscritto dalle parti, senza che si renda necessaria la specifica approvazione di cui all’art. 1341 c.c., ancorché il contratto sia stato concluso in Italia.
Cass. civ. n. 10704/1993
In forza dell’art. 2 della Convenzione di New York del 10 giugno 1958, resa esecutiva con L. n. 62 del 1968, la clausola compromissoria per arbitrato estero è valida quando risulti da un documento sottoscritto dai contraenti ovvero a uno scambio di lettere o telegrammi, con la conseguenza che non è operante qualora sia contenuta soltanto in ordini provenienti dall’acquirente straniero che non risultano accettati dal venditore italiano con lettera né con telegramma.
Cass. civ. n. 11261/1992
È valida ed operante la clausola compromissoria per arbitrato estero, contenuta in un contratto stipulato tra un cittadino italiano ed uno straniero, concluso via telex in epoca successiva all’entrata in vigore della Convenzione europea sull’arbitrato commerciale — adottata a Ginevra il 21 aprile 1961 e ratificata dall’Italia con L. 10 maggio 1970, n. 418 — la quale espressione prevede la validità di una forma siffatta e, non richiedendo specifica approvazione per iscritto di tale clausola, è, come norma speciale, prevalente, anche quando la conclusione del contratto sia avvenuta in Italia, sui contrari principi posti dagli artt. 1341 e 1342 c.c., i quali non sono di natura cogente.
Cass. civ. n. 4039/1982
L’art. 2 della convenzione di New York del 10 giugno 1958, resa esecutiva in Italia con L. 19 gennaio 1968, n. 62, il quale prevede la clausola compromissoria per arbitrato estero, quale patto idoneo ad escludere la giurisdizione dei giudici degli stati aderenti in favore degli arbitri contrattualmente previsti, si riferisce ad ogni caso in cui la pronuncia arbitrale venga ad acquistare efficacia vincolante e definitiva tra le parti, restando a tal fine irrilevante la qualificabilità dell’arbitrato stesso come rituale od irrituale secondo l’ordinamento interno
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