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Art. 2636 — Illecita influenza sull’assemblea

Art. 2636 — Illecita influenza sull’assemblea

Chiunque, con atti simulati o fraudolenti, determina la maggioranza in assemblea, allo scopo di procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. pen. n. 555/2012

L’elemento oggettivo del reato di illecita influenza sull’assemblea – art. 2636 c.c. nel testo introdotto dalla L. n. 61 del 2000 – è integrato da qualsiasi operazione che artificiosamente consenta di alterare la formazione delle maggioranze assembleari, rendendo così di fatto possibile il conseguimento di risultati vietati dalla legge o non consentiti dallo statuto della società. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità – in ordine al delitto di cui all’art. 2636 c.c. – dell’imputato, il quale, in qualità di amministratore unico di una s.r.l., aveva ripetutamente determinato le maggioranze nelle assemblee sociali con atti fraudolenti, rappresentando falsamente la presenza della maggioranza dei soci alle assemblee, in particolare, facendo figurare come presente una socia assente mediante la falsificazione della relativa firma sul verbale nonché attestando in capo alla socia presente, moglie dello stesso imputato, la titolarità di un numero di quote sufficiente a costituire la maggioranza per niente corrispondenti alla titolarità reale, con il risultato di determinare la maggioranza per il funzionamento della assemblea, altrimenti interdetto).

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Cass. pen. n. 19102/2004

La nuova figura di reato prevista dall’art. 2636 c.c. (illecita influenza sull’assemblea), pur differenziandosi sotto vari profili, attinenti tanto alla condotta quanto all’elemento soggettivo, dalla precedente, analoga previsione di cui all’art. 2630, comma primo, n. 3, c.c., rimane contenuta all’interno di detta più ampia previsione, per cui può dirsi che vi sia tra l’una e l’altra una continuità normativa, con la conseguenza che, tra le due norme, va applicata quella più favorevole, sicuramente individuabile nell’attuale art. 2636, sempre che, di fatto, nella contestazione siano contenuti tutti gli elementi caratteristici della nuova fattispecie. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto che erroneamente fosse stata esclusa a priori la persistente configurabilità del reato in un caso in cui, secondo l’accusa, l’imputato, con l’artifizio consistito nello stipulare, senza oggettiva necessità, pochi giorni prima della convocazione dell’assemblea societaria, un contratto di mutuo personale con un istituto di credito, costituendo in pegno la sua quota di partecipazione alla società, sì da consentire al suddetto istituto di esercitare il diritto di voto, aveva in tal modo impedito che venisse raggiunta la maggioranza necessaria all’approvazione di una proposta di azione di responsabilità nei di lui confronti).

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Cass. pen. n. 7317/2004

In tema di reati societari, l’art. 2636 c.c. (illecita influenza sull’assemblea), nella nuova formulazione introdotta dal D.L.vo n. 61 del 2002, prevede una condotta di frode caratterizzata da comportamenti artificiosi, rappresentati da una componente simulatoria idonea a realizzare un inganno, si configura come reato di evento, posto che per la consumazione del reato è richiesta l’effettiva determinazione della maggioranza nell’assemblea, ed è preordinato a tutelare l’interesse al corretto funzionamento dell’organo assembleare. (Nella specie, la Corte ha ritenuto che integri il delitto in questione la condotta dell’amministratore unico di una società che, al fine di aggirare il divieto di voto per conflitto di interessi, stabilito dall’art. 2373, comma terzo, c.c., abbia simulato la vendita della propria quota a due dipendenti, per consentire l’esercizio di voto legato a tale quota, impedendo, tramite il voto contrario espresso dagli apparenti acquirenti, l’adozione della delibera per il promovimento dell’azione di responsabilità nei suoi confronti, che altrimenti sarebbe stata approvata).

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