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Art. 2096 — Assunzione in prova

Art. 2096 — Assunzione in prova

Salvo diversa disposizione [ delle norme corporative ], l’assunzione del prestatore di lavoro [ 3, 2071 ] per un periodo di prova deve risultare da atto scritto [ 1350 n. 13, 2241, 2725 ].

L’imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l’esperimento che forma oggetto del patto di prova [ 2241 ].

Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto [ 1373 ], senza obbligo di preavviso o d’indennità. Se però la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine.

Compiuto il periodo di prova, l’assunzione diviene definitiva e il servizio prestato si computa nell’anzianità del prestatore di lavoro [ 2120 ].

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 17921/2016

Il licenziamento intimato sull’erroneo presupposto della validità del patto di prova, in realtà affetto da nullità per essere già avvenuta con esito positivo la sperimentazione del rapporto tra le parti, non è sottratto all’applicazione della disciplina limitativa dei licenziamenti, sicché la tutela da riconoscere al prestatore di lavoro è quella prevista dall’art. 18 st.lav. ove il datore di lavoro non alleghi e dimostri l’insussistenza del requisito dimensionale, ovvero quella riconosciuta dalla l. n. 604 del 1966, in difetto delle condizioni necessarie per l’applicabilità della tutela reale.

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Cass. civ. n. 16214/2016

Il datore di lavoro che si ritenga leso dalla mancata proroga del patto di prova determinata da dolo del lavoratore deve provare gli artifizi e i raggiri che abbiano avuto efficienza causale sul suo consenso, restando il dedotto dolo comunque irrilevante ove cada non sulla stipulazione del contratto di lavoro o sull’individuazione dei suoi elementi essenziali ma solo sul patto di prova, che costituisce elemento accidentale del contratto. (Nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso proposto dal datore di lavoro che deduceva la natura dolosa del comportamento di una lavoratrice, assunta in prova, che non aveva sottoscritto la mail aziendale contenente la proroga del patto di prova, al solo fine di avvalersi della conversione del contratto per scadenza del periodo di esperimento). La cessazione unilaterale del rapporto per mancato superamento della prova rientra nell’eccezionale fattispecie del recesso “ad nutum” di cui all’art. 2096 c.c., sottratto all’ordinaria disciplina di controllo delle ragioni del licenziamento, fermo restando, peraltro, che il richiamo al mancato superamento di un patto di prova non validamente apposto è inidoneo a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento e giustifica l’applicazione della tutela reintegratoria e risarcitoria, prevista dall’art. 18, comma 4, st.lav, come modificato dalla l. n. 92 del 2012, applicabile “ratione temporis”.

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Cass. civ. n. 15100/2012

In tema di lavoro con patto di prova, l’art. 2096 c.c. – secondo il quale, scaduto il termine di durata della prova, ciascuna parte può recedere dal rapporto, divenendo in caso contrario definitiva l’assunzione – si riferisce al caso in cui, alla scadenza del termine, il rapporto di lavoro continui a svolgersi e non a quello in cui le prestazioni lavorative cessino alla scadenza e la volontà di recedere del datore venga recepita successivamente dal lavoratore; ne consegue che, in tale ultima ipotesi, il rapporto cessa al momento della ricezione del licenziamento.

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Cass. civ. n. 10440/2012

Nel lavoro subordinato, il patto di prova tutela l’interesse di entrambe le parti del rapporto a sperimentarne la convenienza, dovendosi ritenere l’illegittimità del fatto ove la suddetta verifica sia già intervenuta, con esito positivo, per le specifiche mansioni in virtù di prestazione resa dallo stesso lavoratore, per un congruo lasso di tempo, a favore del medesimo datore di lavoro. Ne consegue che la ripetizione del patto di prova in due successivi contratti di lavoro tra le stesse parti è ammissibile solo se essa, in base all’apprezzamento del giudice di merito, risponda alla suddetta causa, permettendo all’imprenditore di verificare non solo le qualità professionali, ma anche il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione all’adempimento della prestazione, elementi suscettibili di modificarsi nel tempo per l’intervento di molteplici fattori, attinenti alle abitudini di vita o a problemi di salute. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha respinto il ricorso del datore di lavoro avverso la declaratoria di nullità del secondo patto di prova, apposto al contratto a tempo indeterminato stipulato appena quindici giorni dopo la scadenza del rapporto a termine, durato tra le stesse parti per quasi sette mesi, non avendo l’imprenditore dimostrato l’esistenza di uno specifico motivo di rivalutazione delle caratteristiche del lavoratore).

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Cass. civ. n. 4573/2012

Il decorso di un periodo di prova determinato nella misura di un complessivo arco temporale, mentre non è sospeso dalla mancata prestazione lavorativa inerente al normale svolgimento del rapporto, quali i riposi settimanali e le festività, deve ritenersi escluso, invece, stante la finalità del patto di prova, in relazione ai giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del patto stesso, quali la malattia, l’infortunio, la gravidanza e il puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell’attività del datore di lavoro e, in particolare, il godimento delle ferie annuali, che, data la funzione delle stesse di consentire al lavoratore il recupero delle energie lavorative dopo un cospicuo periodo di attività, non si verifica di norma nel corso del periodo di prova. Tale principio trova applicazione solo in quanto non preveda diversamente la contrattazione collettiva, la quale può attribuire od escludere rilevanza sospensiva del periodo di prova a dati eventi, che si verifichino durante il periodo medesimo.(Nella specie, la decisione della corte territoriale, confermata dalla S.C., nell’interpretare l’art. 27 del c.c.n.l. per i lavoratori addetti all’industria delle calzature del 27 aprile 2000, contenente una indicazione esemplificativa di eventi non prevedibili quali cause di sospensione del periodo di prova, ha ritenuto che la disposizione aveva recepito il principio di effettività della prova, riconoscendo efficacia sospensiva anche al godimento delle ferie annuali).

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Cass. civ. n. 23061/2007

Il decorso di un periodo di prova determinato nella misura di un complessivo arco temporale, mentre non è sospeso da ipotesi di mancata prestazione lavorativa inerenti al normale svolgimento del rapporto, quali i riposi settimanali e le festività, deve ritenersi escluso, stante la finalità del patto di prova, in relazione ai giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del patto stesso, quali la malattia, l’infortunio, la gravidanza e il puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell’attività del datore di lavoro, e, in particolare, il godimento delle ferie annuali, il quale, data la funzione delle stesse di consentire al lavoratore il recupero delle energie lavorative dopo un cospicuo periodo di attività, non si verifica di norma nel corso del periodo di prova. Tale principio trova applicazione solo in quanto non preveda diversamente la contrattazione collettiva, la quale può attribuire rilevanza sospensiva del periodo di prova a dati eventi che accadano durante il periodo medesimo.(Nella specie, il contratto collettivo prevedeva «che il periodo di prova ha una durata pari a sei mesi di servizio effettivo» e la S.C. ha ritenuto correttamente motivata la sentenza di merito che aveva interpretato la previsione nel senso che si era inteso ricomprendere nel computo del relativo arco temporale solo i giorni effettivamente lavorati al fine di salvaguardare il periodo di prova). Il licenziamento intimato nel corso o al termine del periodo di prova, avendo natura discrezionale, non deve essere motivato, salvo che la motivazione sia imposta, a tutela del lavoratore, dalla contrattazione collettiva; in tale ultimo caso, la motivazione ha la funzione di dimostrare sinteticamente che il recesso è stato determinato effettivamente da ragioni specifiche inerenti all’esito dell’esperimento in prova (che costituisce la causa del patto) e che non è dovuto a ragioni illecite, o comunque estranee al rapporto, ed in particolare a forme di discriminazione e, inoltre, ove il prestatore non assunto in via definitiva contesti quella motivazione, il datore deve integrarla opportunamente fornendo le indicazioni specifiche e complete delle ragioni della decisione assunta. (Nella specie, il lavoratore aveva impugnato giudizialmente il licenziamento intimatogli, adducendo la genericità della motivazione, ed il datore di lavoro aveva indicato le ragioni specifiche del recesso nel giudizio stesso; la S.C., enunciando il principio su riportato, ha confermato la sentenza di merito che, ritenendo comunque assolto l’obbligo di motivazione previsto dalla contrattazione collettiva, aveva affermato la legittimità del recesso).

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Cass. civ. n. 21698/2006

Con riguardo al rapporto di lavoro costituito con patto di prova, la facoltà di recesso prevista dal terzo comma dell’art. 2096 c.c. soggiace all’unico limite oltre quello temporale dell’adeguatezza della durata della prova della mancanza di un motivo illecito ed è consentita non solo al termine ma, salvo che l’esperimento sia stato stabilito per un tempo minimo necessario, anche nel corso del periodo di prova. Tale periodo, ancorché fissato in un semestre, rimane sospeso per malattia o infortunio del lavoratore, senza che a ciò sia di ostacolo la previsione dell’art. 10 della legge n. 604 del 1966 (secondo cui le norme della stessa legge si applicano, nei confronti dei lavoratori assunti in prova, «dal momento in cui l’assunzione diviene definitiva e, in ogni caso, quando sono decorsi sei mesi dall’inizio del rapporto di lavoro»), non potendo prescindersi, nell’interpretazione della suddetta norma, dal rilievo che essa è posta nell’interesse precipuo del lavoratore ed atteso che l’indicata sospensione produce l’effetto di arrestare il decorso del periodo di prova senza dilatarne la durata. Questo principio non comporta un’alterazione dell’equilibrio originario delle posizioni delle parti, poiché il prolungamento del periodo di prova ha effetto reciprocamente sia a favore che a sfavore tanto del lavoratore che del datore di lavoro. In particolare, il prestatore di lavoro avrà modo di espletare fino in fondo l’esperimento e di dare così prova pienamente delle proprie capacità, mentre il datore di lavoro avrà tutto il tempo necessario per verificare queste capacità e, quindi, entrambe le parti avranno la possibilità di decidere se proseguire il rapporto convertendolo in una delle forme definitive previste dalla legge, o, invece, interromperlo. Il patto di prova apposto al contratto di lavoro deve non solo risultare da atto scritto ma contenere – se del caso ponendo riferimento, eventualmente, alle previsioni del contratto collettivo ove sia in esso riportata in modo sufficientemente chiaro e preciso – anche la specifica indicazione della mansione da espletarsi, la cui mancanza costituisce motivo di nullità del patto (con automatica conversione dell’assunzione in definitiva sin dall’inizio) a prescindere dal livello contrattuale e dalla natura della mansione assegnata, atteso che, da una parte, la possibilità per il lavoratore di impegnarsi secondo un programma ben definito in ordine al quale poter dimostrare le proprie attitudini, e, dall’altra, la facoltà del datore di lavoro di esprimere la propria valutazione sull’esito della prova, presuppongono che questa debba effettuarsi in relazione a compiti esattamente identificati sin dall’inizio

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Cass. civ. n. 19558/2006

Il licenziamento intimato nel corso o al termine del periodo di prova, avendo natura discrezionale, non deve essere motivato, salvo che la motivazione sia imposta, a tutela del lavoratore, dalla contrattazione collettiva. Tuttavia, in nessun caso lo stesso obbligo di motivazione può comportare la configurabilità dell’onere del datore di lavoro di provare la giustificazione del proprio recesso dal rapporto di lavoro in prova, in quanto ne risulterebbe la omologazione integrale al rapporto di lavoro definitivo, in palese contrasto con il sistema normativo costituito dall’art. 2096 c.c. e dagli artt. 5 e 10 della legge n. 604 del 1966. La mancata prestazione lavorativa sospende il decorso del periodo di prova di cui all’art. 2096 c.c., in quanto preclude alle parti, sia pure temporaneamente, la sperimentazione della reciproca convenienza del contratto di lavoro, che costituisce la causa del patto di prova, a prescindere dalle previsioni del contratto collettivo che, in ipotesi, limitino la sospensione del periodo di prova soltanto ad alcune cause di sospensione della prestazione lavorativa. Tale principio si applica anche ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche che, dopo la privatizzazione, «sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa», fatte salve le diverse disposizioni contenute nel D.L.vo sul pubblico impiego, n. 165 del 2001. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto legittimo il recesso del Ministero della Giustizia da un rapporto di lavoro in prova, recesso esercitato individuando il termine finale del periodo di prova aggiungendo ai sei mesi dalla data di immissione in servizio, tutti i giorni di assenza per malattia, ferie e permesso ascrivibili a cause di sospensione tutelata dal rapporto).

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Cass. civ. n. 8038/2002

Il datore di lavoro che, nella incontroversa esistenza del rapporto di lavoro, ne sostenga la cessazione per negativo esito della prova, ha l’onere di provare, ex art. 2967, secondo comma, c.c., l’esistenza di un valido patto di prova; a tal fine è necessario che il patto risulti da atto scritto, anteriore o contestuale all’inizio del rapporto di lavoro.

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Cass. civ. n. 9948/2001

Il potere discrezionale del datore di lavoro di recedere nel corso del periodo di prova è legittimamente esercitato quando rifletta l’accertamento e la valutazione non soltanto degli elementi di fatto concernenti la capacità professionale del lavoratore, ma anche degli elementi concernenti il comportamento complessivo dello stesso, quale è desumibile anche dalla sua correttezza e dal modo in cui si manifesta la sua personalità. (Nella specie, la sentenza di merito, confermata dalla Suprema Corte, aveva ritenuto idonea a giustificare il recesso del datore di lavoro la mendace dichiarazione, resa dal lavoratore all’epoca di presentazione della domanda di assunzione, in ordine all’insussistenza di precedenti penali).

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Cass. civ. n. 5591/2001

La forma scritta necessaria, a norma dell’art. 2096 c.c., per il patto di assunzione in prova è richiesta ad substantiam, e tale essenziale requisito di forma, la cui mancanza comporta nullità assoluta dell’assunzione in prova e la sua immediata ed automatica conversione in assunzione definitiva, deve sussistere sin dall’inizio del rapporto, senza alcuna possibilità di equipollenti o sanatorie, potendosi ammettere solo la non contestualità della sottoscrizione di entrambe le parti prima della esecuzione del contratto, ma non anche la successiva documentazione della clausola orale mediante la sottoscrizione, originariamente mancante, di una delle parti, atteso che ciò si risolverebbe nella inammissibile convalida di un atto nullo, con sostanziale diminuzione della tutela del lavoratore.

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Cass. civ. n. 14950/2000

Il patto di prova apposto al contratto di lavoro deve non solo risultare da atto scritto, ma contenere anche la specifica indicazione delle mansioni da espletare, atteso che la facoltà del datore di lavoro di esprimere la propria insindacabile valutazione sull’esito della prova presuppone che questa debba effettuarsi in ordine a mansioni esattamente identificate ed indicate. A tal fine il riferimento al sistema classificatorio della contrattazione collettiva è sufficiente ad integrare il requisito della specificità dell’indicazione delle mansioni del lavoratore in prova solo se rispetto alla scala definitoria di categorie, qualifiche, livelli, profili professionali il richiamo contenuto nel patto di prova è fatto alla nozione più dettagliata.

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Cass. civ. n. 13700/2000

Con riferimento al patto di prova inserito nel contratto di lavoro, per il quale l’ordinamento — per evidenti ragioni antifrodatorie — prescrive non solo la forma scritta, ma anche la predeterminazione della durata, entro limiti massimi, gli spazi di autonomia negoziale sono limitati, proprio per una valutazione «a priori» del carattere sfavorevole del rapporto in prova per il lavoratore, ma non sino al punto da non consentire alle parti una predeterminazione della durata per relationem, con rinvio esplicito alla disciplina collettiva, del tutto legittima ove esplicantesi entro i limiti inderogabili fissati dalla legge.

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Cass. civ. n. 8295/2000

La clausola del contratto individuale di lavoro con cui sia previsto un periodo di prova di durata maggiore di quella massima prevista
dal contratto collettivo applicabile al rapporto — fermo restando il limite di sei mesi di cui all’art. 10 della legge n. 604 del 19666 — può ritenersi legittima solo nel caso in cui la particolare complessità delle mansioni di cui sia convenuto l’affidamento al lavoratore renda necessario, ai fini di un valido esperimento e nell’interesse di entrambe le parti, un periodo più lungo di quello ritenuto congruo dalle parti collettive per la normalità dei casi; il relativo onere probatorio ricade sul datore di lavoro, a cui la maggiore durata del periodo di prova attribuisce una più ampia facoltà di licenziamento per mancato superamento della prova.

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Cass. civ. n. 3451/2000

La causa del patto di prova va ravvisata nella tutela dell’interesse di entrambe le parti contrattuali a sperimentare la reciproca convenienza al contratto di lavoro. Ne consegue che per evitare la sua illegittimità per incoerenza con la suddetta causa è necessario che esso contenga anche la specifica indicazione delle mansioni in relazione alle quali l’esperimento deve svolgersi. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto sufficiente l’indicazione del livello contrattuale di inquadramento del lavoratore).

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Cass. civ. n. 2579/2000

Quando le parti — o la parte in caso di negozio giuridico unilaterale — procedono alla re¬dazione per iscritto di un atto possono bene fare riferimento, mediante semplice richiamo per relationem, al contenuto di un altro atto, effettuando un rinvio materiale, perché diretto ad inserire nell’atto la clausola contenuta in un diverso atto e ad attribuire al sottoscrittore la paternità di quella clausola. Consegue che, poiché l’art. 2096 c.c. impone la forma scritta per il patto di prova ma non per le modalità di esecuzione della prova, il rinvio per relationem ad un contratto collettivo, in ordine a tali modalità, si deve ritenere legittimo, anche perché, tramite il rinvio, il contenuto non ha alcun margine di indeterminabilità. (Nel caso di specie la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza che aveva ritenuto la validità del patto di prova, nel quale l’indicazione delle mansioni era stata fatta per relationem a quelle proprie dell’operaio di secondo livello del C.C.N.L.).

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Cass. civ. n. 11597/1999

La stipulazione scritta del patto di prova deve essere anteriore o, quanto meno, contestuale all’inizio dell’esecuzione del rapporto di lavoro onde non attribuire al datore di lavoro, in frode alla normativa di natura pubblicistica sui licenziamenti posta dal legislatore a tutela del lavoratore, un facile strumento idoneo a consentirgli la libera recedibilità dal contratto almeno per un certo periodo anche senza giusta causa o giustificato motivo. (Nel caso di specie la S.C. ha ritenuto che la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato a efficacia differita con patto di prova apposto sin dal momento della stipula e, quindi, con attribuzione di efficacia differita al patto di prova medesimo, al pari di tutte le altre clausole, non escludesse l’anteriorità del patto stesso rispetto al momento in cui il lavoratore era stato assunto in forza del suddetto contratto di lavoro in precedenza stipulato).

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Cass. civ. n. 12379/1998

Il patto di prova apposto al contratto di lavoro mira a tutelare l’interesse di entrambe le parti contrattuali di sperimentare la reciproca convenienza al contratto, con la conseguenza che deve ritenersi illegittimamente apposto un patto in tal senso che non sia funzionale alla suddetta sperimentazione per essere questa già intervenuta con esito positivo, fatto che può essere provato anche per presunzioni, essendo desumibile dalla sussistenza di un precedente rapporto di lavoro tra le parti, o, come nella specie, dall’avere in precedenza il lavoratore prestato per un congruo lasso di tempo la propria opera per il datore di lavoro, sia pure in seguito a comando disposto dal precedente datore di lavoro, società controllata dalla società instaurante il nuovo rapporto e già beneficiaria del distacco.

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Cass. civ. n. 10305/1998

Nell’ipotesi di recesso del datore di lavoro dal rapporto in prova, con manifestazione di volontà esplicitamente riferita all’esperimento in
corso, tale qualificazione dell’atto come espressione del potere discrezionale di recesso durante il periodo di prova, sottratto alla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali, preclude al medesimo datore la responsabilità di prospettare a propria difesa, nella successiva controversia instaurata dal lavoratore con la contestazione della legittimità del recesso, circostanze del tutto estranee all’esito dell’esperimento ed eventualmente valutabili come giustificato motivo oggettivo in un rapporto soggetto alla disciplina della legge 15 luglio 1966 n. 604. Tale deduzione, modificando i termini della controversia, si pone in contrasto con il fondamentale principio del contraddittorio, del quale costituisce espressione la regola della immodificabilità delle ragioni comunicate come motivo del licenziamento; tale regola ha portata generale come garanzia del diritto di difesa del lavoratore e si estende anche ai casi in cui il datore di lavoro giustifichi il recesso con una speciale situazione di inapplicabilità della tutela di cui alla citata legge n. 604/1966.

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Cass. civ. n. 7644/1998

Il rapporto di lavoro subordinato costituito con patto di prova è sottratto, per il periodo massimo di sei mesi, alla disciplina dei licenziamenti individuali, ed è caratterizzato dal potere di recesso da parte del datore di lavoro senza obbligo di fornire al lavoratore alcuna motivazione, neppure in caso di contestazione in ordine alla valutazione della capacità e del comportamento professionale del lavoratore stesso; grava sul lavoratore che deduce in sede giurisdizionale la nullità di tale recesso l’onere di provare sia il positivo superamento dell’esperimento, sia l’imputabilità del recesso ad un motivo, unico e determinante, che sia estraneo alla funzione del suddetto patto e perciò illecito.

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Cass. civ. n. 402/1998

Il lavoratore licenziato in periodo di prova può dedurre, oltre al motivo illecito del recesso, anche il motivo estraneo all’esperimento offrendo vuoi la prova diretta della sua esistenza, vuoi quella indiretta del positivo superamento dell’esperimento che depone, con la valenza della presunzione semplice, per l’esistenza di un motivo diverso da quello del mancato superamento dell’esperimento stesso; ma tale motivo estraneo all’esperimento non costituisce di per sè solo motivo illecito ex art. 1345 c.c., né è a quest’ultimo equiparabile quanto all’idoneità ad inficiare il recesso come affetto da vizio di nullità. Consegue che, ove il lavoratore dimostri che il recesso è avvenuto per un motivo che non è qualificabile come motivo illecito, ma che è estraneo all’esperimento lavorativo (quale nella specie la sopravvenienza di un’esigenza aziendale di ridimensionamento di un reparto e di conseguente soppressione di un posto di lavoro), il giudice non può ritenerne per ciò solo l’illegittimità, ma deve valutarne la giustificatezza in termini non dissimili dal giustificato motivo oggettivo di licenziamento in regime di recesso causale al fine di accertare l’idoneità, o meno, del recesso per termine alla prova ed a risolvere il rapporto..

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Cass. civ. n. 12673/1997

Ad integrare l’atto scritto richiesto ad substantiam per i contratti formali non è sufficiente un qualsiasi documento, ma è necessario uno scritto contenente la manifestazione di volontà di concludere il contratto, posto in essere dalle parti al fine specifico di manifestare tale volontà. Conseguentemente non è idoneo ad integrare l’atto scritto necessario per l’assunzione in prova di un lavoratore una dichiarazione di quietanza contenente la precisazione che il rapporto di lavoro si è interrotto durante il periodo di prova previsto dal contratto collettivo; del resto una simile dichiarazione è inidonea ai fini in esame anche perché la previsione del patto di prova da parte della contrattazione collettiva non comporta l’inclusione di tale patto nel contratto individuale, se in quest’ultimo manca l’esplicita stipulazione per iscritto del patto di prova. (Nella specie la sentenza impugnata, confermata nella parte in questione dalla S.C., aveva altresì escluso che tale quietanza — peraltro preceduta da denuncia della lavoratrice all’Ispettorato del lavoro di segnalazione di licenziamento intervenuto durante il periodo di gravidanza — avesse il significato di un’accettazione del licenziamento o di acquiescenza al medesimo).

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Cass. civ. n. 3910/1997

Le parti del contratto di lavoro subordinato possono legittimamente, nella loro autonomia negoziale, convenire che il lavoratore, prima dell’effettiva assunzione, si limiti a svolgere una semplice attività «esplorativa» dell’ambiente di lavoro che sia finalizzata unicamente all’acquisizione delle opportune, reciproche informazioni concernenti l’instaurando rapporto.

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Cass. civ. n. 1045/1997

In tema di assunzione in prova, il contratto collettivo contiene la previsione generale che, successivamente, potrà trovare applicazione nei vari, personali contratti di assunzione di volta in volta intercorrenti tra lavoratori e datori di lavoro; pertanto la disciplina dettata dall’art. 2096 c.c. deve intendersi riferita al singolo contratto personale di assunzione in prova, non al contratto collettivo; ne consegue che il requisito della forma scritta non può ritenersi soddisfatto ove non risulti per iscritto il singolo contratto personale di assunzione, essendo del tutto ininfluente a tal fine il fatto che l’assunzione in prova sia prevista dal contratto collettivo di categoria.

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Cass. civ. n. 730/1997

Il datore di lavoro non può validamente licenziare un lavoratore per mancato superamento del periodo di prova, qualora lo stesso si sia rifiutato di sottoscrivere la lettera di assunzione contenente la clausola relativa, poiché l’art. 2096 c.c. prevede (a pena di nullità) che l’assunzione del lavoratore per un periodo di prova deve risultare da atto scritto, né in senso contrario rileva la circostanza che l’assunzione sia avvenuta in base ad avviamento obbligatorio, poiché anche in questo caso il patto di prova deve risultare dalla concorde volontà delle parti manifestata in un atto scritto, salva la facoltà dell’imprenditore di rifiutare l’assunzione in caso di non giustificata mancata accettazione del patto da parte dell’invalido.

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Cass. civ. n. 9769/1996

Il licenziamento intimato per asserito esito negativo della prova, sull’erroneo presupposto della validità della relativa clausola o in forza di errata supposizione della persistenza del periodo di prova (venuto invece a scadere) si configura come licenziamento individuale non distinguibile da ogni altro licenziamento della stessa natura e regolato — ove intimato a carico di lavoratore fruente della tutela della stabilità del posto — dalla disciplina comune per quel che attiene ai requisiti di efficacia e di legittimità.

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Cass. civ. n. 11934/1995

In ipotesi di recesso del datore di lavoro prima del compimento del periodo di prova del lavoratore, la declaratoria della sua illegittimità non comporta che il contratto di lavoro debba ormai essere considerato come stabilmente costituito, ma esclusivamente il diritto del lavoratore di terminare la prova e ottenere il pagamento delle retribuzioni per i giorni residui, tenuto presente che il datore di lavoro, nel lasso di tempo tra l’interruzione del periodo di prova e il giorno della prefissata sua scadenza, avrebbe potuto esercitare la facoltà di recesso, senza limiti e condizioni, ai sensi dell’art. 2096, comma 3, c.c. La sospensione del rapporto di lavoro in caso di malattia, prevista dall’art. 2110 c.c., trova applicazione anche durante il periodo di prova – in particolare ai fini dei computi relativi al superamento o meno di detto periodo -, non sussistendo ragioni idonee a giustificare una contraria conclusione e, al contrario, dovendosi rilevare che durante il periodo di malattia il lavoratore non ha la possibilità di dimostrare le sue capacità né il datore di lavoro quella di accertarle. Invece il periodo di prova non è prorogabile in caso di carcerazione preventiva del lavoratore, dato che in riferimento a tale evento non trova applicazione la norma di cui all’art. 2110, le cui tassative previsioni sottraggono taluni eventi impeditivi della prestazione di lavoro alla disciplina generale in materia di contratti e di recesso del datore di lavoro. (Nella specie, in relazione all’assunzione in prova di un operaio da parte dell’Ente Ferrovie dello Stato, la sospensione per malattia – secondo la sentenza impugnata, confermata dalla Suprema Corte – aveva fatto risultare anteriore alla scadenza della prova il recesso intimato dal datore di lavoro, mentre la non prorogabilità a causa della carcerazione preventiva delle prevista durata massima del rapporto in prova aveva reso irrilevante che al lavoratore – che comunque non avrebbe potuto riprendere servizio in tempo – non fosse stato accordato il previsto periodo minimo di prestazione effettiva contrattualmente previsto).

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Cass. civ. n. 484/1994

Con riguardo alla facoltà di recesso dal rapporto di lavoro costituito con patto di prova ai sensi dell’art. 2096, terzo comma. cod. civ., che può essere esercitata anche nel corso del periodo di prova (a meno che non sia stata stabilita una durata minima) i rispettivi obblighi ed oneri del lavoratore e del datore di lavoro in ordine all’esperimento non si sottraggono alla regola generale di esecuzione del contratto secondo correttezza e buona fede; pertanto, ove il comportamento del datore di lavoro non consenta l’esperimento in condizioni e modi adeguati, anche in relazione alle mansioni contrattuali, il lavoratore può legittimamente recedere dal rapporto, senza alcuna responsabilità contrattuale, nell’esercizio di un diritto che ha la sua fonte nell’art. 1460 cod. civ.

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