10 Gen Art. 1665 — Verifica e pagamento dell’opera
Il committente, prima di ricevere la consegna, ha diritto di verificare l’opera compiuta [ 1666 ].
La verifica deve essere fatta dal committente appena l’appaltatore lo mette in condizioni di poterla eseguire.
Se, nonostante l’invito fattogli dall’appaltatore, il committente tralascia di procedere alla verifica senza giusti motivi, ovvero non ne comunica il risultato entro un breve termine, l’opera si considera accettata.
Se il committente riceve senza riserve la consegna dell’opera, questa si considera accettata ancorché non si sia proceduto alla verifica.
Salvo diversa pattuizione o uso contrario, l’appaltatore ha diritto al pagamento del corrispettivo quando l’opera è accettata dal committente.
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”8″]
Massime correlate
Cass. civ. n. 26338/2016
In tema di appalto di opere pubbliche, la garanzia per l’esperimento dei rimedi di cui agli artt. 1667 e 1669 c.c., riguardo a vizi e difetti rivelatisi contemporaneamente al suo esperimento, spiega la propria efficacia solo dopo l’approvazione del collaudo secondo le forme sancite, in via imperativa, dal r.d. n. 350 del 1895, applicabile “ratione temporis”, sicché è solo dall’esito del collaudo che prendono corpo e significato sia la tematica dell’accettazione dell’opera, che quella di un’eventuale decadenza del committente dalla possibilità di far valere difformità e vizi, sia, infine, quella della prescrizione dell’azione volta ad invocare la garanzia per questi ultimi. Ciò, del resto, si spiega in ragione del fatto che la ricognizione dello stato delle opere pubbliche da parte della P.A. non è riducibile alla percezione che di esso possa avere un qualsiasi soggetto che rivesta una carica pubblica nell’amministrazione committente, ma solo all’acquisizione formale nell’ambito del procedimento amministrativo previsto dalla legge.
Cass. civ. n. 4051/2016
In tema di appalto, l’accettazione dell’opera che, ai sensi dell’art. 1665 c.c., si verifica quando il committente tralasci di procedere alla verifica senza giusti motivi o non ne comunichi il risultato entro breve termine (comma 3), oppure riceva la consegna dell’opera senza riserve (comma 4), si distingue sia dalla verifica che dal collaudo perché la prima si risolve nelle attività materiali di accertamento della qualità dell’opera e il secondo consiste nel successivo giudizio sull’opera stessa; l’accettazione, invece, è un atto negoziale che esige che il committente esprima, anche per “facta concludentia” il gradimento dell’opera stessa e che comporta l’esonero dell’appaltatore da ogni responsabilità per i vizi e le difformità. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza della corte di merito che aveva ritenuto vi fosse accettazione per le sole circostanze della mancata doglianza circa l’effettuazione dei lavori, del pagamento di acconti sul prezzo, e del rinvio del collaudo).
Cass. civ. n. 2307/2016
Il contratto di appalto di opera pubblica si considera ultimato solo a seguito del collaudo, che rappresenta l’unico atto attraverso il quale la P.A. può verificare se l’obbligazione dell’appaltatore sia stata regolarmente eseguita, e che è indispensabile ai fini dell’accettazione dell’opera da parte della stazione appaltante, mentre resta estraneo, e non rileva, il momento della consegna, come disciplinato, in generale, dagli artt. 1665 e 1667 c.c.. (Così statuendo, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva valorizzato, quale prova del completamento di un tale contratto, la mancanza di specifiche eccezioni della P.A. circa la sua regolare esecuzione – che evocava una sorta di accettazione tacita – e l’emissione della fattura, benchè il collaudo non fosse stato effettuato).
Cass. civ. n. 8874/2014
In tema di appalto di opere pubbliche, il verbale di ultimazione dei lavori e la consegna delle chiavi trasferiscono al committente sia il possesso dell’opera sia il conseguente onere di custodia, senza che sia anche necessario il collaudo (o il rilascio del relativo certificato), che costituisce l’atto formale indispensabile ai soli fini dell’accettazione dell’opera da parte della pubblica amministrazione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto esente da responsabilità l’appaltatore con riferimento agli atti vandalici subiti dall’opera pubblica in epoca successiva alla redazione del verbale di ultimazione dei lavori, con liquidazione del saldo e consegna delle chiavi, nonché all’esecuzione del collaudo, ma prima che fosse emesso il certificato).
Cass. civ. n. 6009/2012
In tema di appalto, qualora il committente, rilevata l’esistenza di vizi nell’opera, non ne pretenda l’eliminazione diretta da parte dell’esecutore del lavoro, chiedendo, invece, il risarcimento del danno per l’inesatto adempimento, il credito dell’appaltatore per il corrispettivo permane invariato.
Cass. civ. n. 15013/2011
All’appalto di opera pubblica rimane estraneo un momento della “consegna” dell’opera (cosa come conosciuto, in generale, dagli artt. 1665 e 1667 cod. civ.), inteso come atto sostanzialmente unitario e tendenzialmente, istantaneo, il quale, seguendo l’ultimazione dei lavori, implica, per il committente che voglia evitare di essere ritenuto “accettante”, il coevo insorgere dell’onere di una precisa formulazione di riserve. A tale riguardo, infatti, l’appalto di opera pubblica conosce, sul piano della “consegna” dell’opera, tutta una serie di atti i quali, partendo dal verbale di ultimazione dei lavori, sono destinati a confluire nel collaudo, solo a partire dall’esito del quale prendono corpo e significato sia la tematica dell’accettazione dell’opera, sia quella di un’eventuale decadenza del committente dalla possibilità di far valere difformità e vizi, sia, infine, quella della prescrizione dell’azione volta a far valere la garanzia per tali vizi. Né, alla consegna dell’opera pubblica prima del collaudo è applicabile la presunzione di cui all’art. 1665, Quarto comma, cod. civ., giacché la consegna di un’opera siffatta non può che intendersi attuata con riserva di verifica essendo il solo collaudo l’atto formale indispensabile ai fini dell’accettazione dell’opera stessa da parte della pubblica amministrazione.
Cass. civ. n. 106/2011
In tema di appalto, la previsione in contratto del diritto dell’appaltatore al pagamento di acconti da parte del committente e della periodica esigibilità di essi sulla base della constatazione, misurazione e contabilizzazione dei lavori eseguita in contraddittorio delle parti o del direttore dei lavori, non è idonea ad integrare e sostituire la verifica dell’opera che, ai sensi dell’art. 1665 c.c., il committente ha il diritto di eseguire dopo l’ultimazione dei lavori medesimi, né costituisce prova legale del diritto al corrispettivo maturato sulla base dei conteggi eseguiti; tuttavia, gli stati di avanzamento approvati, anche mediatamente, dal committente possono essere considerati prova del diritto dell’appaltatore, se il committente non dimostri che nei fatti, per quantità dei lavori eseguiti e prezzi applicati, l’opera è difforme da quella che da tali atti complessivamente risulta.
Cass. civ. n. 21599/2010
In tema di appalto, il diritto dell’appaltatore al corrispettivo sorge con l’accettazione dell’opera da parte del committente (art. 1665, ultimo comma, c.c.) e non già al momento stesso della stipulazione del contratto. Ne consegue che, ove l’appaltatore abbia ceduto il proprio credito (futuro) e successivamente fallisca nel corso dell’esecuzione dell’opera, il cessionario non ha diritto al credito per il corrispettivo maturato per l’opera già compiuta, nei limiti dell’utilità della stessa ed in proporzione all’intero prezzo pattuito, ove l’appaltante ceduto non l’abbia in precedenza accettata nei confronti dell’imprenditore “in bonis”, non potendo neppure invocarsi gli effetti dello scioglimento del contratto di cui all’art. 1672 c.c., operando essi in base ad un’impossibilità assoluta ed oggettiva della prestazione in sé, mentre nello scioglimento a seguito di fallimento dell’appaltatore (art. 81 legge fall.) rileva un evento di natura personale.
Cass. civ. n. 13075/2010
Nei contratti di appalto, l’obbligazione del committente di pagare il corrispettivo sorge, a mente dell’art. 1665, ultimo comma c.c., soltanto all’esito dell’accettazione dell’opera (accettazione che, negli appalti di opere pubbliche, può ritenersi avvenuta soltanto all’esito del collaudo dell’opera stessa), a nulla rilevando che, prima di tale momento, l’appaltatore abbia messo a disposizione del committente il risultato della sua prestazione.
Cass. civ. n. 11594/2004
In tema di appalto, mentre la somma liquidata a favore del committente per la eliminazione dei vizi e difformità dell’opera — a titolo di risarcimento del danno o anche di riduzione del prezzo di cui all’art. 1668 c.c. — ha ad oggetto un debito di valore dell’appaltatore, che, non essendo soggetto al principio nominalistico, deve essere rivalutato in considerazione del diminuito potere d’acquisto della moneta intervenuto fino al momento della decisione, il diritto dell’appaltatore al corrispettivo ha natura di debito di valuta, che non è suscettibile di automatica rivalutazione per effetto del processo inflattivo della moneta; pertanto, in caso di inadempimento o ritardato adempimento della relativa obbligazione la rivalutazione monetaria del credito può essere riconosciuta, sempreché il creditore alleghi e dimostri, ai sensi del secondo comma dell’art. 1224 c.c., l’esistenza del maggior danno derivato dalla mancata disponibilità della somma durante il periodo di mora e non compensato dalla corresponsione degli interessi legali previsti con funzione risarcitoria in misura forfettariamente predeterminata dal primo comma dell’art. 1224 c.c. Ne consegue che la rivalutazione monetaria del debito di valuta, sostituendosi al danno presunto costituito dagli interessi legali, è idonea a reintegrare totalmente il patrimonio del creditore, sicché non possono essere riconosciuti gli interessi sulla somma rivalutata, se non dal momento della sentenza con cui, a seguito e per effetto della liquidazione, il credito essendo divenuto liquido ed esigibile — produce interessi corrispettivi ai sensi dell’art. 1282 c.c. (La Corte, nel cassare la sentenza impugnata, ha ritenuto erronea la liquidazione dei rispettivi crediti-debiti fra le parti compiuta dai giudici di appello, rilevando che mentre la somma riconosciuta a favore del committente a titolo di esborsi necessari per l’eliminazione dei vizi dell’opera non era stata rivalutata con riferimento al momento della decisione, il credito dell’appaltatore, dal quale era stato defalcato il suddetto importo, era stato rivalutato con decorrenza dalla consegna dei lavori e sulla somma rivalutata erano stati riconosciuti gli interessi legali).
Cass. civ. n. 12931/2002
In tema di appalto, l’accettazione dell’opera da parte del committente è atto ontologicamente diverso da quelli della verifica e del collaudo, attesane la natura di vera e propria manifestazione di volontà negoziale, e da essa soltanto (che può risultare tanto espressa quanto tacita) deriva la liberazione dell’appaltatore dalla garanzia per i vizi.
Cass. civ. n. 7242/2001
Il direttore dei lavori assume la rappresentanza del committente limitatamente alla materia strettamente tecnica e le sue dichiarazioni sono, pertanto, vincolanti per il committente medesimo soltanto se siano contenute in detto ambito tecnico, come l’accettazione dell’opera perché conforme al progetto ed eseguita ad opera d’arte
Cass. civ. n. 7969/2000
In tema di appalto, l’accettazione dell’opera, pur non liberando l’appaltatore per le difformità ed i vizi occulti dell’opera stessa, lo libera per quelli riconosciuti o riconoscibili in sede di verifica. (Nella specie è stata confermata la sentenza di merito che aveva esonerato l’appaltatore dalla garanzia in ragione della riconoscibilità del vizio consistito nella maggiore altezza delle pedate della scala — apprezzabile a vista o mediante una semplice misurazione da parte di un soggetto di media capacità, usando l’ordinaria diligenza — e dell’accettazione senza riserve dell’opera da parte del committente).
Cass. civ. n. 3782/2000
Nei contratti d’appalto, il diritto dell’appaltatore al corrispettivo sorge non già al momento della stipulazione del contratto, ma solo dopo e a causa della esecuzione. Ne consegue che, ove l’appaltatore abbia ceduto il suo credito (futuro), e sia stato dichiarato fallito prima di detta esecuzione, poiché alla data del fallimento il credito per il prezzo dell’appalto non era ancora sorto e non si era verificato l’effetto traslativo della cessione — la quale aveva ancora mero effetto obbligatorio — il cessionario non può opporre efficacemente la cessione al fallimento.
Cass. civ. n. 10141/1998
In tema di contratto di appalto, il diritto dell’appaltatore al corrispettivo non sorge al momento della stipulazione del contratto, ma solo dopo e a causa dell’esecuzione (totale o parziale, secondo le specifiche previsioni) dei lavori; ne consegue che, in ipotesi di concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, il diritto di credito vantato dall’appaltatore quale corrispettivo del contratto d’appalto non può comprendersi tra i beni esistenti nel patrimonio del debitore «alla data della proposta di concordato» ove a quella data risulti soltanto stipulato il contratto di appalto, atteso che la stipula di detto contratto non è di per sé sufficiente per l’insorgenza del diritto di credito dell’appaltatore, occorrendo il verificarsi dell’ulteriore presupposto dell’esecuzione dei lavori successivamente alla stipula di detto contratto.
Cass. civ. n. 5231/1998
La disciplina stabilita dall’art. 1665 c.c. per il diritto dell’appaltatore al pagamento del corrispettivo, non si sottrae alla regola generale secondo la quale il principio inadimplenti non est adimplendum va applicato secondo buona fede e pertanto il giudice del merito deve accertare se la spesa occorrente per eliminare i vizi dell’opera è proporzionata a quella che il committente rifiuta perciò di corrispondere all’appaltatore, ovvero subordina a tale eliminazione.
Cass. civ. n. 5121/1998
In tema di appalto, la presa in consegna dell’opera da parte del committente non equivale, ipso facto, ad accettazione della medesima senza riserve, con conseguente rinunzia all’azione per i difetti conosciuti o conoscibili della stessa, atteso che, integrando la ricezione senza riserve della res una ipotesi di accettazione tacita, occorre in concreto stabilire se, nel comportamento delle parti, siano o meno ravvisabili elementi contrastanti con la presunta volontà di accettare l’opera. (Principio affermato in relazione ad una vicenda di appalto nella quale il giudice di merito aveva – con decisione confermata dalla S.C. – ritenuto irricevibile la traditio di un fabbricato eseguita dall’appaltatore, nonostante la temporanea presa in consegna da parte del committente, per essere l’opera incompleta ed irregolare sia sotto il profilo tecnico-fattuale, sia per la mancanza della licenza di abitabilità).
Cass. civ. n. 169/1996
Il principio che, salva inequivoca volontà contraria del committente, ricollega alla ricezione, senza riserve, della consegna dell’opera eseguita dall’appaltatore la presunzione di tacita accettazione, la quale, implicando rinuncia del committente al diritto di verifica, libera, ai sensi dell’art. 1667 c.c., l’appaltatore della garanzia per le difformità o i vizi riconoscibili o conosciuti, è applicabile anche ai rapporti di appalto nei quali sia previsto il collaudo, che, in senso proprio, si concreta nella dichiarazione del committente, coevo o successivo alla verifica, della conformità dell’opera ai patti contrattuali ed alle regole dell’arte, ma non si estende ai casi in cui il collaudo debba essere effettuato da un terzo ed ancora meno quando il collaudatore debba essere designato dalla P.A., perché la previsione di un siffatto collaudo si colloca in una prospettiva di garanzia degli interessi coinvolti dalla esecuzione dell’opera che è del tutto inconciliabile con la presunzione di unilaterale rinuncia al collaudo, sancita dall’art. 1665 c.c. con esclusivo riferimento ad un rapporto nel quale la verifica costituisce solo una facoltà (rinunciabile) del committente. (Nella specie si trattava di collaudo dovuto ad una clausola di rinvio alla disciplina degli appalti delle opere pubbliche, inserita in contratto di appalto per l’esecuzione di una costruzione, con contributo erariale, di alloggi di edilizia economica e popolare da assegnare ai soci di una cooperativa).
Cass. civ. n. 1509/1988
In tema di appalto l’art. 1665 c.c., pur non enunciando la nozione di accettazione tacita dell’opera, indica i fatti ed i comportamenti dai quali desumere la sussistenza dell’accettazione da parte del committente. Al riguardo, a differenza dall’ipotesi contemplata al secondo e terzo comma del detto articolo, per cui l’accettazione è presunta nel caso in cui il committente, cui sia pervenuto, con qualsiasi modalità, l’invito a procedere alla verifica dell’opera, tralasci di procedervi o, avendovi proceduto, non ne comunichi i risultati all’appaltatore entro breve termine, il Quarto comma prevede come presupposto dell’accettazione tacita la consegna dell’opera al committente (alla quale è parificabile l’immissione nel possesso per esclusiva iniziativa del committente e senza alcun concorso dell’appaltatore) e come fatto concludente la ricezione senza riserve da parte del committente anche se non si sia proceduto alla verifica: l’accertamento della sussistenza in concreto di detto presupposto e del relativo fatto concludente è compito del giudice del merito.
Cass. civ. n. 283/1984
In tema di appalto privato la distinzione fra verifica e collaudo — estranea alla terminologia del codice che parla solo di verifica (artt. 1665 e 1666 c.c.) — indica due diversi momenti di una complessa operazione che, con l’accettazione e la consegna, pone fine al rapporto di appalto: il momento della verifica — intesa come ispezione materiale dell’opera, consistente in un’operazione eminentemente tecnica — ed il momento del collaudo, costituito dalla coeva o successiva dichiarazione, da parte del committente, che l’opera è stata o meno eseguita a regola d’arte e nel rispetto dei patti contrattuali. Spetta al giudice del merito accertare, nell’interpretazione dei patti contrattuali, se le parti abbiano convenuto un collaudo propriamente detto o una mera ispezione materiale dell’opera allo scopo di porre fine al rapporto di appalto.
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