05 Feb Terremoto dell’Aquila: primo commento alla sentenza di responsabilità
[ Avv. Marina Zalin, dottore di ricerca in diritto penale, ed Avv. Luciano Butti – B&P Avvocati ]
Sei anni di reclusione per omicidio colposo. Questa è la severa pena detentiva inflitta dal Tribunale di L’Aquila ai sette componenti della Commissione Nazionale Grandi Rischi, nella sentenza depositata nei giorni scorsi. I condannati facevano parte, all’epoca dei fatti, dei principali Istituti scientifici nei settori della sismologia e della prevenzione dei rischi (Dipartimento Nazionale della Protezione Civile, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Centro Nazionale Terremoti, Fondazione Eucentre).
In sintesi, ai componenti della Commissione veniva contestato di aver fornito informazioni incomplete, imprecise e contraddittorie sulla natura, sulle cause, sulla pericolosità e sui futuri sviluppi dell’attività sismica che era in corso il 31 marzo 2009 – data nella quale la Commissione si riunì nel capoluogo abruzzese. Per l’effetto di rassicurazione derivante dalle comunicazioni degli esperti, molti aquilani avrebbero improvvisamente modificato le loro abitudini, abbandonando le cautele (per esempio, dormire all’aperto o fuori città) che avevano seguito sino al giorno precedente. Alcuni di essi rimasero vittime della pesante scossa sismica verificatasi il 6 aprile 2009.
Ciò premesso, due sono, a nostro avviso, i profili maggiormente discutibili nella pur approfondita motivazione della sentenza aquilana.
In primo luogo, il Tribunale ha a nostro avviso errato nella scelta dei criteri in base ai quali ha deciso di poter utilizzare una determinata teoria scientifica. Nella valutazione della colpevolezza degli imputati ha infatti giocato un ruolo rilevante l’utilizzazione della teoria dei cd. “fenomeni precursori” dei terremoti. La sentenza dà correttamente atto che – in merito a tale problematica – “si registrano, in campo scientifico, posizioni diverse e contrastanti” (p. 67): salvo poi affermare che, per dirimere tale contrasto scientifico, sarebbe necessario, “per esigenze di garanzia difensiva” (!), “privilegiare l’opinione esplicitata in proposito da uno degli imputati” in una pubblicazione risalente peraltro a diversi anni prima del sisma. Orbene, un simile criterio è del tutto inidoneo a giustificare l’utilizzo nel processo di una determinata teoria scientifica, quando essa non sia pacifica tra gli esperti. Infatti, secondo la giurisprudenza della Cassazione, le acquisizioni scientifiche cui è possibile attingere nel processo penale sono quelle “più generalmente accolte, più condivise” (Cass., sezioni unite penali, 25 gennaio 2005, n. 9163) da individuare principalmente – secondo una recente ed approfondita sentenza (Cass., sez. IV penale, 13 dicembre 2010, n. 43786) – attraverso la verifica del “grado di consenso che la tesi raccoglie nella comunità scientifica”. Questo esame invece manca completamente nella sentenza del Tribunale aquilano.
In secondo luogo, il Tribunale è a nostro avviso incorso in un serio errore di valutazione dei dati statistici disponibili, con evidenti quanto gravi conseguenze in merito all’affermazione della responsabilità degli imputati. Come è noto, per pronunciare una condanna per omicidio occorre dimostrare che il nesso causale fra evento colposo e morte non si è interrotto per effetto di una causa sopravvenuta “da sola sufficiente a determinare l’evento” (art. 41, secondo comma, del codice penale), vale a dire – secondo la prevalente interpretazione – una causa sopravvenuta “imprevedibile”. Il Tribunale ha ritenuto di escludere la imprevedibilità della grave scossa del 6 aprile, sulla base dei seguenti argomenti:
– ogni anno si verificano mediamente nel mondo 120 terremoti di pari intensità;
– per quanto riguarda L’Aquila, si sono verificati negli ultimi otto secoli tre terremoti con intensità pari e superiore con un periodo medio di ritorno compreso fra 325 e 475 anni.
A nostro avviso, il giudizio probabilistico sulla “eccezionalità” o meno di un fenomeno non può prescindere da valutazioni di luogo e soprattutto di tempo. Il verificarsi, da qualche parte nel mondo nel corso di un anno, di un sisma grave come quello aquilano non è certamente eccezionale (accade 120 volte all’anno, secondo i dati forniti dal Tribunale). Il verificarsi di un simile evento a L’Aquila è certamente assai meno probabile, ma forse ancora non eccezionale (è accaduto tre volte in otto secoli, secondo il Tribunale). Tuttavia, il comportamento giudicato colposo è consistito nell’effetto di rassicurazione provocato dalla riunione del 31 marzo 2009 degli esperti, che avrebbe indotto molte persone a cambiare abitudini, ad esempio tornando a dormire in casa. Per quanto tempo è ragionevole pensare che questo effetto di rassicurazione, in mancanza di una scossa, sarebbe potuto durare? Una settimana? Un mese? Questi sembrano periodi ragionevoli, ed il secondo pare francamente già eccessivo. Orbene, la domanda che dobbiamo porci – al fine di valutare la “eccezionalità” o meno della causa sopravvenuta – è perciò la seguente: quante probabilità vi erano, il 31 marzo 2009, che nella settimana o nel mese successivo si verificasse a L’Aquila un sisma grave come quello che purtroppo intervenne il 6 aprile? Non occorre essere grandi esperti di statistica per immaginare che queste probabilità fossero estremamente basse, e che pertanto la valutazione circa la eccezionalità o meno della causa sopravvenuta avrebbe dovuto essere, da parte del Tribunale, ben altrimenti approfondita. A nostro avviso, una analisi obiettiva dei fatti porta a ritenere che – anche ammettendo il comportamento colposo degli imputati e la sua efficacia causale rispetto alla morte delle vittime – il nesso causale si sia interrotto per effetto del verificarsi, assolutamente imprevedibile nei termini spaziali e temporali rilevanti nell’ambito dell’effetto rassicurante prodotto dagli esperti, della scossa del 6 aprile.