07 Giu Il potere disciplinare del datore di lavoro: presupposti, limiti e dato giurisprudenziale
Il rapporto di lavoro che si instaura tra datore di lavoro e dipendente determina il sorgere di diritti e obblighi, poteri e vincoli di subordinazione in capo alle parti.
Generalmente viene fornita una classificazione tripartita dei poteri del datore di lavoro ovvero potere direttivo, potere di vigilanza e controllo e, infine, il potere disciplinare.
La presente trattazione è incentrata sull’ultimo dei poteri sopra indicati, disciplinato dagli art. 2106 c.c. e art. 7 Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970), ed è il frutto della rielaborazione di un focus di approfondimento in quattro parti pubblicato sul blog del sito studiosalvioni.it (http://studiosalvioni.it/blog.html).
Nel tentativo di trasformare ciò che è nato come “post” utile per i navigatori di Internet in un articolo di diritto con struttura più delineata, sono state modificate alcune parti e aggiunte ex novo delle sezioni. Infine, il testo è stato corredato da una breve rassegna di massime di recente formulazione.
Fonti del potere disciplinare
La subordinazione del lavoratore al capo dell’impresa o al dirigente preposto corrisponde dal lato datoriale al potere direttivo e a quello disciplinare.
Come noto, infatti, l’imprenditore è posto <<a capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori>> (art. 2086 c.c.).
Consegue, pertanto, che il datore abbia il potere di impartire direttive alle quali il lavoratore, di contro, deve prestare obbedienza (art. 2104 c.c.).
In applicazione, inoltre, del principio generale di buona fede, il dipendente deve osservare l’obbligo di fedeltà – previsto dall’art. 2104 c.c. – e, dunque, astenersi da quelle condotte che possano arrecare pregiudizio all’organizzazione e/o alla produzione aziendale.
Il potere direttivo rimarrebbe privo di concreto valore senza la previsione, in favore del datore di lavoro, della possibilità di sanzionare il dipendente che violi gli articoli sopra menzionati.
Il datore di lavoro, infatti, è autorizzato – ex art 2106 c.c. – a dare concreta attuazione al potere direttivo, sanzionando con il potere disciplinare le violazioni poste in essere dai lavoratori insubordinati e/o infedeli.
In altre parole l’imprenditore può sanzionare, entro limiti ben definiti, la mancanza di diligenza e i singoli inadempimenti del dipendente rispetto agli obblighi contrattuali, ma deve osservare alcuni criteri di tipo legale che attenengono al merito (sussistenza del fatto e proporzionalità della sanzione) e alla procedura da seguire.