28 Mar Perdita su crediti
In tempo di crisi, una delle poste del bilancio più critiche è quella dei crediti, a causa degli effetti del suo trattamento contabile sotto l’aspetto economico, patrimoniale, finanziario e fiscale. Difatti, la stima di perdite sui crediti:
- riduce il risultato economico dell’esercizio per pari importo, se quest’ultimo è negativo, incrementa la perdita relativa;
- ha effetto sul risultato d’esercizio, che incide sul valore del patrimonio netto e quindi sul capitale dell’impresa;
- incide sulla previsione dei flussi di cassa futuri e quindi anche sulla valutazione della capacità dell’impresa di far fronte ai propri impegni;
- richiede una attenzione particolare in riferimento a tutta la normativa fiscale.
Da un punto di vista civilistico, l’art. 2426, comma 1, punto 8 c.c. stabilisce che i redditi devono essere iscritti “in bilancio secondo il valore presumibile di realizzo”.
In altri termini, noto e certo il valore nominale di un credito, questo deve essere iscritto in bilancio tenuto conto di perdite per inesigibilità, resi e rettifiche di fatturazione, sconti e abbuoni, interessi non maturati, altre cause di minor realizzo conosciute.
Le perdite su crediti sono proprio la conseguenza di rettifiche di valore poste in essere dall’impresa qualora il valore nominale del credito sia inferiore a quello di realizzo. Esse costituiscono un evento suscettibile di generare componenti negativi deducibili dal reddito.
Difatti, l’art. 101, comma 5, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, (di seguito T.U.I.R.) consente, a determinate condizioni, di dedurre predette perdite. La prima condizione di deducibilità è che le perdite su crediti derivino da “elementi certi e precisi”: se la perdita risulta da elementi di certezza e precisione, ne è ammessa la deduzione. La seconda ipotesi di deducibilità prevede che, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali, vige una presunzione assoluta di certezza della perdita: dichiarato fallito il debitore, l’impresa può dedurre in automatico la perdita su crediti.
L’applicabilità di tale norma risulta molto complessa, soprattutto per la sua prima parte, laddove subordina la deducibilità alla sussistenza dei requisiti di certezza e precisione, la cui portata di significato, paradossalmente, non è affatto certa né precisa.
Non è nemmeno agevole rifarsi all’orientamento della giurisprudenza o della dottrina, perché spesso in contrasto con la prassi ministeriale: ci si espone al rischio di seguire le “direttive” espresse dalla giurisprudenza, per poi vedersi contestato come illegittimo il comportamento posto in essere.