10 Lug Negoziazione. La creatività è il terzo pilastro della consensuologia
Dopo avervi illustrato i pilastri dell’interrelazione e della comprensione, il terzo pilastro della creazione del consenso è costituito dalla creatività, così come inquadrata dalla psicologia, che offre anche un appiglio preliminare costituito dall’empatia.
Empatia significa immedesimarsi nella prospettiva dell’altro poiché, come già detto, “comprendere non significa condividere ma non si può condividere o dissentire se non si è compreso”. Mettersi nei panni dell’altro è già un avvio verso la ricerca della soluzione al problema “comune”.
In altri termini, si può essere d’accordo sul fatto di essere in disaccordo e quindi sulla opportunità di fare una lista dei punti di disaccordo e delle rispettive motivazioni retrostanti.
Nella mediazione l’ assenza del contraddittorio, la rilevanza dei motivi e gli incontri riservati con ciascuna parte consentono le indagini sulle ragioni concrete del comportamento tenuto dalle parti che sarebbero impensabili nel processo e, tutto sommato, inutili.
Una spiegazione frequente, ad esempio, del fatto di non aver pagato il prezzo dovuto sta nella circostanza di non aver il danaro sufficiente: per il giudice questa si chiama inadempimento, per il mediatore si chiama problema da risolvere e quindi è opportuno per la parte “inadempiente” parlarne apertamente al mediatore che è tenuto alla riservatezza. Come si può trovare la soluzione se non si conosce il problema?
Tutta la consensuologia, come già detto, si fonda sul metodo scientifico e sulla dialettica hegheliana (tesi, antitesi e sintesi) e quest’ultima è già essa stessa una forma di creatività basata sul rifiuto dei pregiudizi e delle abitudini. Anche nelle opzioni (trovare un modo diverso di accordarsi con la stessa parte come avviene nella mediazione) e nelle alternative (come avviene nella creazione di un contratto nuovo) ha grande rilievo la dialettica hegeliana, a cui ho fatto cenno nei miei precedenti articoli.
La tesi è il pensiero tradizionale, la dottrina dominante, la giurisprudenza prevalente su come risolvere un certo problema secondo la “esperienza”; l’antitesi è fare una verifica dell’ applicazione del pensiero antitetico, di cosa succederebbe usando percorsi diversi, di quali siano oggi gli effetti dell’uso dei metodi tradizionali; la sintesi è il superamento dei due metodi in modo che appaia “razionale” usare il pensiero “creativo”. Più semplicemente tutto ciò implica l’abilità di vedere pro e contra in ogni decisione da assumere e quindi quale comportamento tenere.
Un bravo mediatore ha esattamente questa funzione: aiutare le parti a pensare nel modo in cui esse non sono capaci di fare essendo troppo accecate dal risentimento reciproco se non dall’odio.
La cultura processuale tende a fomentare tale antagonismo in un gioco di attacco e contrattacco che nulla ha a che fare con la ricerca di una soluzione vantaggiosa per entrambi.
In realtà anche la mitica “restitutio in pristinum” è un’utopia poiché la parte vittoriosa con la sentenza non ha la riparazione del danno ma del danaro per poter sperare di arrivare alla riparazione, dovendosi accollare – illogicamente e paradossalmente – la cura ed il rischio di come arrivare alla soluzione, alla restitutio in pristinum. Dopo un incidente stradale e dopo avere ottenuto rapidamente e giustamente una sentenza favorevole, cosa succede se il danneggiato si rivolge ad un carrozziere incapace?
Ancor più innovativamente il concetto di colpa dal punto di vista della psicologia e in particolare della creatività è una personalizzazione del problema: è un attribuire ad una persona l’origine del fatto e quindi il diritto a punirlo. Ad esempio: se uno studente di una stanza in comune con altri studenti in un residence universitario perde la chiave, una cosa è punire la sua colpa e un’altra è cercare “insieme” un fabbro che apra la porta e stampi nuovi doppioni di chiavi!!
Il maggior ostacolo in Italia che blocca la creatività verso la soluzione bonaria dei conflitti è proprio la “tradizionale” reazione litigiosa (di chi è la colpa?) che nulla ha in comune con la ricerca della soluzione capace di arricchire entrambe le parti (qual è la soluzione più vantaggiosa capace di arricchire tutte le parti e la stessa collettività?).
Nella NEG-MED invece si suole distinguere le opzioni (le modalità creative per arrivare ad un accordo con quella persona) dalle alternative (con quante e quali altre persone posso accordarmi? a quali condizioni? chi è più conveniente?). Per l’avvocato negoziatore le opzioni fanno parte della mediazione, le alternative servono alla creazione di un contratto efficiente ed efficace.
Questa cultura a Londra ha portato alla differenza che esiste tra l’avvocato litigator (barrister), difensore davanti ai giudici, dall’avvocato d’affari negoziatore di contratti commerciali (solicitor) cui non è permesso di andare nelle corti. Le due professioni sono nettamente separate e così pure i rispettivi curricula di studio.
Uno degli assiomi della cultura della NEG-MED è che il (pre)giudizio blocca l’ inventiva, porta a vedere la situazione o bianca o nera (polarizzazione delle posizioni) e che i soldi sul tavolo sono solo quelli in contestazione ed è utopistico cercare di “inventare” dell’altro.
Un esempio di NEG-MED non professionale è dato dalla controversia limitata al prezzo mentre invece la discussione dovrebbe essere incentrata sul vantaggio che si ricava dallo scambio delle prestazioni la cui diversità di valore giustifica il contratto. La negoziazione professionale, infatti, “crea ricchezza” la quale deriva proprio dal “conflitto” di opinioni tra le due parti che percepiscono il contratto in modo speculare: entrambe si privano di ciò cui attribuiscono minor valore per ricevere ciò cui attribuiscono maggior valore. Altrimenti perché accordarsi?
Il diritto processuale fondato sul litigio in automatico divide tutta l’umanità in due partiti: quelli che si sono conformati e quelli che hanno deviato. Mi chiedo se in realtà il giurista si soffermi a riflettere se la persona “deviata” abbia deviato o sia stata, in qualche modo costretta alla deviazione? Chi ha cominciato per primo? In questa ricerca ci deve entrare anche la collettività? Quanto incide sulla violazione della legge il fatto di essere poveri? La reclusione allontana la recidiva? Rieduca? Favorisce o impedisce il reinserimento sociale?
Tornando al tema di questa settimana, la creatività nella mediazione separa il momento della ricerca del maggior numero di soluzioni possibile da quello della decisione finale.
Prima bisogna pensare a “quante” strade percorrere e poi vedere quale sia quella più vantaggiosa per entrambe le parti e per la collettività. E’ più probabile che la decisione più efficiente derivi da un grande numero di ipotetiche soluzioni, tra cui individuare quella più in concreto adatta (che è cosa ben diversa da una soluzione astrattamente giusta), che non dalla prima idea che venga in mente, magari per abitudine.
Già i romani parlavano di dura lex sed lex o di summum jus summa iniuria.
In Italia passare dall’approccio distributivo/distruttivo (è colpa tua e devi pagare) a quello cooperativo/costruttivo (dobbiamo cercare insieme una soluzione arricchente per tutti) è qualcosa che non appartiene al modo di pensare e di fare comune.
Tutto ciò non è al passo dei tempi poiché due fenomeni radicalmente nuovi, globalizzazione ed internet, impongono il confronto in tempo reale e senza limiti di spazio su tutto il pianeta……si è creata una negoziazione implicita cui nessuno di noi può sottrarsi…….chi non si adegua non riceve una sentenza di condanna, viene espulso dal sistema.
Il sistema Italia deve governare il sistema della giustizia conferendo pari dignità alla lite e all’accordo, senza confonderli e senza contaminarli reciprocamente.
Personalmente ritengo che le due strade siano parallele e ben separate:
– se si vuol un precedente per ottenere la condanna dell’altro, rovinando la relazione e ottenendo una somma di danaro in “alternativa” alla risoluzione del problema, solo la lite è utilizzabile;
– se si vuole recuperare la relazione e risolvere in concreto il problema per arrivare ad un accordo efficiente ed efficace, oltre che formalmente valido, solo la mediazione è utilizzabile.
Questo modo di pensare ha molto a che fare con il brainstorming dove tutte le persone sedute intorno al tavolo di mediazione devono sforzarsi di presentare idee creative ed anche bislacche dalle quali solo possono scaturire, razionalizzandole, idee adatte alla soluzione.
E’ un modo di procedere inverso rispetto a quello del conformarsi al precedente della giurisprudenza consolidata: il brainstorming è così utile che dovrebbe essere insegnato nelle facoltà di giurisprudenza.
Dopo 12 anni di:
– insegnamento della materia NEG-MED nelle sedi universitarie o nelle scuole professionali più disparate,
– pratica professionale come negoziatore di parte o come mediatore imparziale,
sono arrivato alla conclusione che la sola conoscenza sia tecnica sia giuridica del settore interessato è poco utile in mediazione se non si conoscono in parallelo anche le teorie e le tecniche dei sei PILASTRI DEL CONSENSO che aiutano l’avvocato a trovare soluzioni nell’interesse del proprio cliente, dell’altro interlocutore, della collettività e di… sé stesso.
Non a caso in Inghilterra la professione legale si è divisa formalmente in due, attraverso due strutture completamente diverse (non possiamo continuare a confondere l’allenatore con l’arbitro…).