14 Mag Cassazione civile Sez. III sentenza n. 1746 del 15 giugno 1973
Testo massima n. 1
Ai fini dell’indagine sulla simulazione, le risultanze dell’atto pubblico non sono decisive, perché la sua efficacia probatoria riguarda la provenienza delle dichiarazioni e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza, e non l’intrinseca verità e la sincerità delle dichiarazioni, né la rispondenza dei fatti alla vera intenzione delle parti. La conformità al loro reale interno volere di tali manifestazioni di volontà può, quindi, essere contrastata con ogni mezzo di prova nei casi contemplati dall’art. 1417 c.c., ivi compresa la prova per presunzioni. Ne consegue che, qualora un creditore abbia fornito la prova di un complesso di circostanze indiziarie tali da convincere [ considerate coordinatamente e nel loro insieme ] che le parti in realtà non hanno voluto concludere alcun contratto, ma ne hanno voluto soltanto creare l’apparenza, tanto basta perché la simulazione assoluta debba ritenersi provata, e perciò non occorre dimostrare ulteriormente che sono simulati anche quegli atti che, come il pagamento del prezzo, costituiscono esecuzione del contratto: la prova della loro simulazione è infatti implicita in quella della simulazione del contratto stesso, provata la quale deve ritenersi che gli atti in parola altro non siano se non elementi della messa in scena con cui le parti hanno tentato di rendere credibile il loro infingimento.
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Testo massima n. 2
Si ha simulazione assoluta del contratto quando le parti, pur dichiarando di concluderlo e compiendo atti che appaiano corrispondenti alla sua esecuzione, non abbiano in realtà dovuto concludere contratto alcuno; e si ha simulazione relativa quando le parti stesse abbiano inteso stipulare un contratto diverso da quello a cui, con le loro dichiarazioni e la loro attività concreta, hanno dato parvenza.
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