Cass. civ. n. 9098 del 3 maggio 2005

Sezione Unite

Testo massima n. 1


È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 395, n. 2, c.p.c., sollevata in riferimento all'art. 3 Costituzione per diversità di trattamento rispetto alla difforme soluzione apprestata, per l'identica situazione, dall'art. 630, lett. c), c.p.p., secondo il quale la sopravvenienza di nuove prove successive alla condanna costituisce senza limitazioni motivo di revisione. Infatti, le differenze strutturali, funzionali e teleologiche del processo penale rispetto a quello civile pienamente giustificano, salvo il rispetto dei diritti inviolabili dell'uomo, una diversa modulazione, da parte del legislatore, nell'esercizio della sua discrezionale potestà di valutazione delle difformi esigenze a tali differenze necessariamente connesse, nella disciplina di istituti pur di analoga natura. Pertanto, è del tutto ragionevole la tutela attribuita, nel processo civile, al fondamentale interesse (generale non meno che delle parti) alla stabilità del giudicato, pur raggiunta sulla base di una verità formale, con misure più incisive sugli interessi dei privati, che non nel processo penale, là dove ai plurimi interessi, anzitutto dell'imputato ma non secondariamente generali, e, quindi, all'accertamento della verità sostanziale, non possono non essere riconosciute rilevanza ed incidenza prevalenti e determinanti.

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