Cass. civ. n. 5068 del 10 maggio 1995
Testo massima n. 1
Ad integrare il dolo revocatorio di cui all'art. 395 n. 1 c.p.c. non è sufficiente la sussistenza di un'attività deliberatamente fraudolenta della parte, ma è necessario anche che essa abbia determinato il convincimento del giudice e la conseguente sua decisione. (Nella specie la S.C., sulla base dell'esposto principio, ha confermato la sentenza con cui il giudice della revocazione aveva rigettato l'impugnazione rilevando che la decisione del giudice d'appello sottoposta a revocazione era stata determinata non tanto dall'ipotizzato doloso impiego di un atto falso, quanto dalla proposizione nel suo ambito di una querela di falso viziata da difetti procedurali).
Testo massima n. 2
Nel rito del lavoro, ai fini del giudizio sulla possibilità o meno che avrebbe avuto la parte interessata, nel giudizio definito con la sentenza impugnata per revocazione, di produrre documenti decisivi, la cui successiva disponibilità sia dalla stessa fatta valere ai sensi dell'art. 395, n. 3, c.p.c., deve considerarsi sia che il divieto di ius novorum specificamente posto dall'art. 437 trova applicazione per le prove costituende e non per quelle costituite, sia che la decadenza in cui incorre la parte che non menzioni i nuovi documenti già nell'atto di appello (ai sensi delle previsioni di cui agli artt. 414, 434 e 436) deve escludersi, in base al criterio ricavabile dall'art. 420 quinto comma, con riguardo a documenti sopravvenuti che la parte stessa non abbia potuto anteriormente produrre.