Cass. civ. n. 9213 del 6 settembre 1990
Sezione Unite2>
Testo massima n. 1
Ad integrare la fattispecie del dolo processuale revocatorio ex art. 395 n. 1 c.p.c., non basta la semplice violazione del dovere di lealtà e di probità, richiedendosi, invece, un'attività intenzionalmente fraudolenta, concretantesi in artifizi o raggiri tali da pregiudicare o sviare la difesa avversaria, facendo apparire una situazione diversa da quella reale, e, quindi, da impedire al giudice la conoscenza della verità: requisiti, questi, ravvisabili anche nel mendacio o nel silenzio su fatti decisivi della causa, specie quando la stessa domanda giudiziale trovi fondamento su tale atteggiamento, ed il successivo comportamento processuale, attuativo di questo iniziale disegno fraudolento, sia tale da impedire un'efficiente attività difensiva della controparte o, comunque, da pregiudicare l'accertamento della verità. (Nella specie, alla stregua di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza con la quale i giudici del merito avevano ritenuto ininfluente, ai fini della revocazione della sentenza di condanna della Cassa Marittima al versamento di prestazioni assicurative per infortunio, la circostanza che il lavoratore, il quale le aveva giudizialmente rivendicate, non aveva in alcun modo fatto presente che analoghe prestazioni, per il medesimo infortunio, gli erano già state erogate dall'Inail).
Testo massima n. 2
Ai fini della fattispecie revocatoria di cui all'art. 395 n. 3 c.p.c., il requisito della decisività del documento va escluso nel caso in cui questo non sia, per sua natura, destinato a costituire la prova di un determinato fatto, ma rappresenti soltanto un mezzo di conoscenza di un fatto decisivo, prima ignorato e del quale l'interessato poteva procurarsi aliunde la conoscenza stessa; mentre, rispetto al documento dotato di tale requisito, è sufficiente ad integrare detta fattispecie l'assenza di colpa del soccombente nella mancata produzione del documento medesimo, di cui egli non abbia nemmeno potuto chiedere l'esibizione per avere ignorato, in modo egualmente incolpevole, la sua esistenza e la persona che lo deteneva, non richiedendosi anche che la mancata produzione sia imputabile a fatto dell'avversario.