Cass. pen. n. 2714 del 14 marzo 1996

Testo massima n. 1


Il reato di istigazione alla corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio (art. 322 comma 2 c.p.) si configura con la semplice condotta dell'offerta o della promessa di danaro o di altra utilità, purché seria, potenzialmente e funzionalmente idonea ad indurre il destinatario a compiere un atto contrario ai doveri di ufficio, tale da determinare una rilevante probabilità di causare un turbamento psichico nel pubblico ufficiale, sì che sorga il pericolo che egli accetti l'offerta o la promessa; idoneità che va valutata con un giudizio ex ante che tenga conto dell'entità del compenso, delle qualità personali del destinatario e della sua posizione economica e di ogni altra connotazione del caso concreto. Ne deriva che il reato è escluso soltanto se manchi la idoneità potenziale dell'offerta o della promessa a conseguire lo scopo perseguito dall'autore per l'evidente quanto assoluta impossibilità del pubblico ufficiale di tenere il comportamento illecito richiestogli.

Testo massima n. 2


In tema di istigazione alla corruzione (art. 322 c.p.), non è configurabile la desistenza volontaria (art. 56 comma 3 c.p.), trattandosi di reato di mera condotta, che si consuma con la semplice offerta o promessa dell'utilità da parte del privato istigatore, purché seria e concreta, finalizzata al compimento ad opera del pubblico ufficiale di un atto contrario ai doveri di ufficio.

Testo massima n. 3


Per la configurabilità dei delitti di istigazione alla corruzione (art. 322 c.p.) non rileva la tenuità della somma di denaro o del valore della cosa offerta al pubblico ufficiale. Tale tenuità non soltanto non esclude il reato, per la cui consumazione è irrilevante il verificarsi o meno del fine propostosi dall'agente, ma addirittura lo può rendere maggiormente lesivo del prestigio del pubblico ufficiale, ritenuta persona suscettibile di venir meno ai doveri accettando una offerta anche minima. D'altronde, le piccole regalie d'uso possono escludere la configurabilità soltanto del reato di corruzione per il compimento di un atto di ufficio, previsto dall'art. 318 c.p., giammai quello di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio previsto dall'art. 319 c.p., perché solo nel primo caso è possibile ritenere che il piccolo donativo di cortesia non abbia avuto influenza nella formazione dell'atto stesso.