14 Mag Cassazione civile Sez. II sentenza n. 3038 del 15 marzo 1995
Testo massima n. 1
La disposizione del primo comma dell’art. 975, a norma della quale «quando cessa l’enfiteusi, all’enfiteuta spetta il rimborso dei miglioramenti nella misura dell’aumento di valore conseguito dal fondo per effetto dei miglioramenti stessi, quali accertati al tempo della riconsegna», avendo lo scopo di favorire il miglioramento del fondo enfiteutico assicurando all’enfiteuta, in ogni caso di cessazione che comporti l’integrale ripristino del rapporto, i vantaggi economici delle opere eseguite ed incentivando, per tale via, l’interesse dello stesso all’adempimento puntuale dell’obbligo di miglioramento del fondo assunto con il contratto [ art. 960 c.c. ], non si riferisce solo ai casi di risoluzione incolpevole del rapporto, ma a tutti i casi di risoluzione, ed anche a quelli, quindi, dipendenti dall’enfiteuta, come del resto, è reso palese dalla lettera della norma, che non distingue.
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Testo massima n. 2
La disposizione del primo comma dell’art. 975, a norma della quale «quando cessa l’enfiteusi, all’enfiteuta spetta il rimborso dei miglioramenti nella misura dell’aumento di valore conseguito dal fondo per effetto dei miglioramenti stessi, quali accertati al tempo della riconsegna», ha lo scopo di favorire il miglioramento del fondo enfiteutico assicurando all’enfiteuta, in ogni caso di cessazione che comporti l’integrale ripristino del rapporto, i vantaggi economici delle opere eseguite ed incentivando, per tale via, l’interesse dello stesso all’adempimento puntuale dell’obbligo di miglioramento del fondo all’assunto con il contratto [ art. 960 c.c. ] e si riferisce, quindi, solo ai miglioramenti che si collocano nell’ambito del rapporto di enfiteusi e che, essendo ancora esistenti alla data della riconsegna, si traducono in un valore economico direttamente o indirettamente riconducibile alla legittima attività dell’enfiteuta [ o dei suoi danti causa ] e non ai miglioramenti realizzati dopo la cessazione del rapporto, nel tempo in cui l’enfiteuta ha mantenuto di fatto il possesso materiale del bene, per i quali sono, invece, applicabili i criteri previsti dall’art. 1150 c.c.
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