14 Mag Cassazione civile Sez. II sentenza n. 247 del 11 gennaio 1992
Testo massima n. 1
In tema di eccessiva onerosità sopravvenuta, nel caso in cui il convenuto, nell’esercizio della facoltà di disporre liberamente dei propri interessi, anziché chiedere di rimettere al giudice la determinazione del contenuto delle modifiche da apportare al contratto per ricondurlo ad equità, propone egli stesso il contenuto di dette modifiche, tale proposta, ove non accettata dalla controparte, perde il carattere di proposta negoziale rivolta a quest’ultima ed assume il connotato di una specifica domanda processuale con la conseguenza, in tal caso, che il giudice ex art. 112 c.p.c. può soltanto pronunciarsi sull’efficacia di questa ad impedire l’accoglimento della contrapposta domanda di risoluzione, non anche ridurre la somma offerta dal convenuto ritenendola eccessiva, perché così facendo deciderebbe ultra petita invadendo la sfera dispositiva delle parti.
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Testo massima n. 2
L’art. 1467 c.c. non impone al convenuto che voglia evitare la pronuncia di risoluzione del contratto di offrire una modifica delle condizioni contrattuali tale da ristabilire esattamente l’equilibrio tra le rispettive posizioni esistenti al momento della stipulazione, atteso che dalla combinazione logica dei tre commi dell’articolo in esame si evince che la sopravvenuta onerosità della prestazione considerata dà diritto alla risoluzione soltanto se è eccessiva [ 1 comma ] e non rientra nell’alea normale del contratto [ 2 comma ], con la conseguenza che l’offerta di modifica è da considerare equa se riporta il contratto in una dimensione sinallagmatica tale che se fosse sussistita al momento della stipulazione, la parte onerata non avrebbe avuto diritto di domandarne la risoluzione.
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