14 Mag Cassazione penale Sez. I sentenza n. 4836 del 16 maggio 1985
Testo massima n. 1
Il criterio distintivo tra l’omicidio preterintenzionale e quello volontario va individuato nella diversità dell’elemento psicologico. Nel primo, dove è voluto solo l’evento minore [ percosse o lesioni ] e non è, invece, voluto l’evento più grave [ morte ], che pur costituisce conseguenza diretta della condotta dell’agente, l’elemento psicologico è costituito dal dolo, riferibile all’evento minore e misto a colpa, che è in relazione all’evento maggiore. Nondimeno, se queste componenti siano insussistenti o restino comunque escluse, l’omicidio deve qualificarsi volontario se l’agente abbia voluto anche l’evento più grave; e ciò si realizza sia nel caso che l’agente se lo sia rappresentato come conseguenza diretta della propria azione od omissione [ dolo diretto ] sia quando se lo sia rappresentato come indifferente rispetto a quello di lesioni [ dolo indiretto alternativo ] ovvero anche nell’ipotesi che se lo sia configurato come probabile o opinabile e, ciononostante, abbia agito anche a costo di cagionarlo, così accettandone il rischio e, in definitiva, mostrando di volerlo cagionare [ dolo indiretto eventuale ]. Ne consegue che l’agente, il quale nel corso di un litigio con altro individuo, aggredisca quest’ultimo, adoperando un robusto e pesante bastone e lo colpisca in maniera reiterata verso le parti vitali dell’organismo anche dopo che questo sia caduto a terra dopo i primi colpi, commette omicidio volontario e non già omicidio preterintenzionale, in quanto si è quantomeno potuta rappresentare la morte dell’avversario quale conseguenza della propria azione criminosa.
Articoli correlati
[adrotate group=”13″]