14 Mag Cassazione penale Sez. III sentenza n. 1503 del 17 maggio 1966
Testo massima n. 1
Il reato ipotizzato nell’art. 443 c.p. sussiste quando non si possa parlare né di contraffazione né di adulterazione.
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Testo massima n. 1
L’ultimo comma dell’art. 440 c.p., che ipotizza non un distinto titolo di reato bensì una circostanza che aggrava la pena, menziona espressamente i medicinali: consegue che gli stessi elementi che costituiscono il reato nella forma semplice debbono sussistere, mancando una disposizione contraria, per il reato nella forma aggravata. Non può ritenersi contraffatto ai fini di cui all’art. 440 c.p. un medicinale composto, sol perché i componenti del medicinale stesso, genuini nella loro essenza, siano stati dosati in misura tale da rendere il medicinale medesimo più o meno inefficiente allo scopo, e siasi, sull’involucro esteriore, dichiarato invece un dosaggio diverso, tale da rendere quel medicinale adeguato, secondo i dettami della scienza, alla sua funzione. Secondo l’art. 440 c.p., l’espressione «adulterare» sta a significare alterare la natura genuina di una sostanza destinata alla alimentazione, attraverso un procedimento con cui si aggiungono o si sostituiscono elementi nocivi alla Salute. La semplice sottrazione di elementi necessari al medicinale per la sua idoneità allo scopo terapeutico non costituisce il predetto reato bensì eventualmente quello di cui all’art. 443 c.p.
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