Cass. civ. n. 4698 del 25 maggio 1987
Testo massima n. 1
Ad integrare il possesso ad usucapionem di una servitù prediale è necessario che, con l'esercizio continuo ed ininterrotto di una attività a vantaggio di un fondo e a carico di un altro, si accompagni anche l'intento di comportarsi e farsi considerare come titolare di quel diritto reale a cui corrisponde la concreta attuazione del potere di fatto. (Nella specie la Suprema Corte, enunciando il surriportato principio, ha escluso potersi ravvisare esercizio di fatto della servitù di tenere costruzioni a distanza inferiore a quella legale rispetto al fondo vicino, nell'avere il locatario di un cortile eseguito illegittimamente nello stesso dette costruzioni, senza che fosse dimostrato che il locatore, dante causa di chi pretendeva di unire tale possesso al proprio ai fini dell'usucapione della servitù, avesse acconsentito alla nuova destinazione del cortile e l'avesse accettata, comportandosi di conseguenza con l'animus rem sibi habendi).
Testo massima n. 2
Il possesso, secondo la dizione testuale dell'art. 1141 del codice civile, si presume in chi esercita il potere di fatto sulla cosa, sia cioè in relazione di contiguità fisica con la stessa sicché detta presunzione opera a vantaggio di chi è in relazione diretta ed immediata con la <em>res </em>ovvero con l'esercizio di un diritto reale diverso dalla proprietà, ma non anche di chi è in rapporto mediato con il bene ovvero non esercita direttamente il diritto reale su cosa altrui, dovendosi, in tal caso, accertare di volta in volta se effettivamente sussista l'elemento dell'<em>animus possidendi </em>e gravando il relativo onere probatorio sulla parte che invoca il possesso per fruirne gli effetti.