14 Mag Cassazione civile Sez. Lavoro sentenza n. 3228 del 6 marzo 2001
Testo massima n. 1
Nel rito del lavoro, il corretto esercizio del potere officioso conferito al giudice dalla norma di cui all’art. 421 c.p.c. in tema di ricerca di prove suppletive od integrative a supporto della domanda postula l’esistenza, in seno al processo, tanto di taluni elementi positivi, quanto l’assenza di altri, ed opposti, elementi ostativi, onde non travalicare l’ambito della disposizione de qua [ trasmodando nell’arbitrio scaturente dalla sovrapposizione della volontà del giudicante a quella delle parti in conflitto di interessi ], e non oltrepassare, così, il limite obbligato della terzietà che, comunque, deve sorreggere l’attività del giudicante [ e sulla quale i detti, ampliati poteri, pur applicati in senso lato, non possono prevalere ]. Elementi positivi devono, pertanto, essere considerati la circostanza che, dall’esposizione dei fatti compiuta dalle parti — o dall’assunzione degli altri mezzi di prova offerti dalle stesse — siano dedotti, pur se implicitamente, quei fatti e quei mezzi di prova idonei a sorreggere [ sia pur non compiutamente ] le rispettive ragioni con profili di decisività della controversia; il fatto che l’esplicazione dei poteri istruttori del giudice venga specificamente sollecitata dalla parte con riferimento alla qualificata integrazione sopradescritta; la impossibilità, soggettiva od oggettiva, di reperire o dedurre la prova carente, ovvero di integrare, ad opera della parte, quella lacunosa o polivalente, pur nella sua acclarata idoneità a sorreggere le ragioni dedotte; gli elementi negativi afferiscono, invece, ai limiti che l’attribuzione al giudice di poteri istruttori d’ufficio incontra, e concernono il rispetto del principio della domanda; l’onere di deduzione in giudizio dei fatti costitutivi, impeditivi od estintivi del diritto controverso; il rispetto del divieto di utilizzazione della conoscenza privata da parte del giudice; l’eventuale inerzia probatoria, ovvero l’eventuale rinuncia, esplicita o per facta concludentia, della parte, cui il giudice non può ovviare con il suo potere officioso.
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