14 Mag Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 1597 del 2 giugno 1997
Testo massima n. 1
In tema di misure cautelari personali può parlarsi di «giudicato cautelare», quale situazione valutabile naturalmente solo rebus sic stantibus, solo quando vi sia identità dei fatti posti a fondamento della misura, ferma la possibilità di applicare nuovamente la misura stessa ove sopravvengano elementi non ancora valutati. [ Nell’affermare il principio di cui in massima la Corte ha escluso che l’intervenuto proscioglimento dell’indagato con riferimento al reato associativo precludesse l’emissione di una misura per i reati fine, pur essendo i fatti materiali posti a base della prima misura sostanzialmente coincidenti con quelli della seconda, essendo la seconda misura basata su elementi di valutazione nuovi emersi e sottoposti all’attenzione dell’autorità giudiziaria con una successiva approfondita informativa della polizia giudiziaria ].
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Testo massima n. 2
Le condizioni per la rimessione devono ritenersi operanti non solo rispetto a quelle attività processuali riconducibili nella categoria del processo vero e proprio, ma anche in tutti i casi nei quali la legge processuale affida al giudice il compito di emettere decisioni corrispondenti all’esercizio della funzione giurisdizionale, anche se non sia stata ancora promossa l’azione penale a norma dell’art. 405 c.p.p. e, quindi, non sia stato ancora instaurato il rapporto inquadrabile nello schema concettuale del processo. Ne consegue che la richiesta di rimessione è ammissibile anche se proposta nella fase di chiusura delle indagini preliminari quando, a seguito della richiesta avanzata dal P.M. a norma dell’art. 408 c.p.p., il giudice per le indagini preliminari è chiamato a decidere se disporre, o non, l’archiviazione, essendo indubbio che, in tale situazione procedimentale, il giudice è investito di poteri decisori, di merito e di carattere processuale, che corrispondono all’esercizio della giurisdizione.
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