14 Mag Cassazione civile Sez. II sentenza n. 5396 del 6 novembre 1985
Testo massima n. 1
Il principio secondo cui l’impossibilità di fatto di usare della servitù o il venir meno dell’utilità della medesima non fanno estinguere la servitù se non è decorso il termine di venti anni ex artt. 1073 e 1074 c.c., si applica qualunque sia la causa dell’impossibilità di esercizio della servita, e cioè anche se tale causa si identifichi in fatti imputabili al proprietario del fondo servente od a quello del fondo dominante.
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Testo massima n. 2
L’azione confessoria servitutis — sia essa diretta al mero accertamento della servitù che all’accertamento e alla cessazione degli impedimenti e turbative — ha carattere reale e deve essere necessariamente esperita contro chi non solo contesti l’esistenza della servitù [ con o senza turbative ed impedimenti ], ma abbia altresì un rapporto attuale con il fondo servente, e cioè il proprietario, il comproprietario, il titolare di un diritto reale sul fondo od il possessore suo nomine, potendo solo nei confronti di tali soggetti esser fatto valere il giudicato di accertamento — contenente, anche implicitamente, l’ordine di astenersi da qualsiasi turbativa — o di rimessione in pristino, ai sensi dell’art. 2933 c.c. Pertanto, tale azione non può essere esperita nei confronti del venditore del fondo [ preteso ] dominante, anche se lo stesso — nel giudizio instaurato dal suo avente causa con azione confessoria nei confronti del proprietario del fondo [ preteso ] servente — abbia negato l’esistenza della servita potendo detto venditore essere chiamato a rispondere, dal compratore che abbia confidato ragionevolmente sull’esistenza della servitù, ovvero ne sia stato espressamente garantito, soltanto ai sensi dell’art. 1484 c.c.
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