14 Mag Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 3065 del 14 dicembre 1999
Testo massima n. 1
Il reato di frode informatica [ art. 640 ter c.p. ] ha la medesima struttura e quindi i medesimi elementi costitutivi della truffa dalla quale si differenzia solamente perché l’attività fraudolenta dell’agente investe non la persona [ soggetto passivo ], di cui difetta l’induzione in errore, bensì il sistema informatico di pertinenza della medesima, attraverso la manipolazione di detto sistema. Anche la frode informatica si consuma nel momento in cui l’agente consegue l’ingiusto profitto con correlativo danno patrimoniale altrui. [ Nella specie l’agente, utilizzando il sistema telefonico fisso installato in una filiale della società italiana per l’esercizio telefonico, con la veloce e ininterrotta digitazione di numeri telefonici, in parte corrispondenti a quelli per i quali il centralino era abilitato e in parte corrispondenti a utenze estere, riusciva ad ottenere collegamenti internazionali, eludendo il blocco predisposto per le chiamate internazionali per le quali il sistema non era abilitato, così esponendo debitoriamente la società italiana per l’esercizio telefonico nei confronti dei corrispondenti organismi esteri autorizzati all’esercizio telefonico ].
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Testo massima n. 1
In tema di reato continuato, l’esclusione, a determinati fini, del carattere unitario [ in senso normativo ] dell’illecito deve essere specificamente prevista dalla legge, valendo, in mancanza di tassative esclusioni, il principio della unitarietà. Pertanto, ai fini del giudizio sulla rilevante gravità del danno, di cui all’aggravante prevista dall’art. 61, n. 7, c.p., non deve tenersi conto del danno cagionato da ogni singola violazione, ma deve aversi riguardo al complesso del danno cagionato dalla somma delle violazioni, difettando una norma che, ai fini in questione, consideri il reato continuato come una pluralità di episodi tra loro isolati.
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