14 Mag Cassazione penale Sez. IV sentenza n. 9795 del 9 marzo 2001
Testo massima n. 1
Analogamente a quanto già avveniva con riguardo all’art. 25 dell’abrogato codice di rito, avente contenuto pressoché identico a quello del vigente art. 652 c.p.p., anche detto ultimo articolo dev’essere estensivamente interpretato, a salvaguardia del principio dell’unità della funzione giurisdizionale, nel senso che non solo l’assoluzione dell’imputato, all’esito di dibattimento, perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto o perché questo è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, ma anche l’assoluzione con la formula «il fatto non costituisce reato» [ adottata, di regola, per carenza dell’elemento psicologico del reato ] ha efficacia preclusiva nel giudizio civile per le restituzioni o il risarcimento del danno, ogni qual volta l’illecito civile [ come si verifica con riguardo a quello previsto dall’art. 2043 c.c. ] sia caratterizzato, dal punto di vista dell’elemento psicologico, in maniera identica all’illecito penale. Ne consegue che la parte civile è legittimata, sotto il profilo dell’interesse, ad impugnare, ai sensi dell’art. 576 c.p.p., anche la sentenza di proscioglimento pronunciata in giudizio con la formula «il fatto non costituisce reato.
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