14 Mag Cassazione penale Sez. I sentenza n. 3133 del 12 marzo 1998
Testo massima n. 1
I limiti imposti dall’art. 270 c.p.p., circa l’utilizzabilità dei risultati di intercettazioni in procedimenti diversi da quelli nei quali sono state disposte, riguardano l’utilizzabilità come elementi di prova, ma non precludono la possibilità di dedurre, dalle intercettazioni disposte in altro procedimento, notizie di nuovi reati quale punto di partenza per le relative indagini ed acquisizioni probatorie.
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Testo massima n. 2
In tema di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, l’art. 13 della legge 12 luglio 1991 n. 203 – che ha apportato modifiche all’art. 267 c.p.p. ampliando la possibilità di intercettazioni per reati particolarmente insidiosi e pericolosi – non ha soppresso, riguardo ad essi, la facoltà, conferita in generale dallo stesso art. 267 c.p.p. al P.M., di intervenire con decreto in via di urgenza; semmai, non formulando specifiche previsioni in proposito, ha implicitamente mantenuto i poteri del P.M. medesimo nei limiti della disciplina codicistica, consentendo soltanto al giudice di valutare con minor rigore i presupposti dell’intercettazione. L’art. 267, comma 2, c.p.p. prevede l’inutilizzabilità dei risultati dell’intercettazione così disposta soltanto in mancanza di tempestiva convalida, atto, quest’ultimo, che costituisce non già sanatoria, ma necessaria integrazione del precedente decreto del P.M.; ed invero è irrilevante la fase anteriore all’inizio effettivo delle operazioni, durante la quale non si è ancora verificata la lesione della libertà e segretezza delle comunicazioni, fase per la quale non può avere effetto la sanzione processuale apprestata dal legislatore [ vale a dire la inutilizzabilità ] che investe non la validità di atti ma i risultati dell’attività compiuta: ciò che rileva è il tempestivo esercizio dei poteri valutativi del giudice in ordine al bilanciamento dei confliggenti interessi di rilevanza costituzionale.
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