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Cassazione penale Sez. V sentenza n. 1749 del 2 luglio 1993

Cassazione penale Sez. V sentenza n. 1749 del 2 luglio 1993

Testo massima n. 1

La puntuale lettura della sentenza 31 gennaio 1991, n. 45 della Corte costituzionale e il disposto dell’art. 127, terzo comma, in riferimento all’art. 309, ottavo comma, c.p.p., rendono palese che non esiste il diritto dell’interessato detenuto in un luogo esterno al circondario, ad essere sentito nell’udienza camerale fissata per il riesame della misura cautelare, ma, piuttosto, che è stato riconosciuto al giudice di valutare l’opportunità di fare eccezione alla regola generale dell’audizione da parte del giudice di sorveglianza a richiesta [ che costituisce, in tal caso, un vero e proprio diritto ], per evitare di dare ingresso ad istanze meramente defatigatorie, intese ad ottenere il superamento dei termini per la pronuncia. [ Fattispecie nella quale la richiesta è stata ritenuta del tutto generica, essendosi limitato l’istante a chiedere di comparire, senza specificazioni di sorta e senza avvalersi del diritto di essere intanto sentito dal giudice di sorveglianza ].

Testo massima n. 2

Nel caso di più sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti, pronunciate in procedimenti distinti contro la stessa persona, non possono cumularsi in maniera costante e indiscriminata i benefici previsti dagli artt. 81 c.p. e 444 c.p.p.; ed essendo intangibile, a causa della formazione del giudicato, l’effetto premiale del rito di patteggiamento, può rimanere preclusa l’applicazione della disciplina del concorso formale o del reato continuato, pur quando ricorrano i presupposti dell’art. 81 c.p. Se tutti i reati da unificare [ e non solo una parte di essi, come nella diversa ipotesi dell’art. 137, secondo comma, att. c.p.p. ] sono stati giudicati ai sensi dell’art. 444 c.p.p., non è sufficiente che la pena complessiva rientri nei limiti di cui all’art. 81 c.p., ma è indispensabile che essa non superi due anni di reclusione o di arresto, soli o congiunti a pena pecuniaria. In particolare, non è applicabile la disciplina del reato continuato ex art. 671 c.p.p. sul solo presupposto dell’esistenza di un medesimo disegno criminoso, essendo necessario: a ] che l’applicazione della disciplina del reato continuato sia concordemente richiesta dall’interessato e dal P.M.; b ] che, in difetto della condizione sub a ], il disaccordo del P.M. sia ritenuto ingiustificato dal giudice dell’esecuzione; c ] che la pena complessiva concordata [ o comunque da determinare in concreto in applicazione dell’art. 81 c.p. ] non superi il limite dell’art. 444 c.p.p. e sia ritenuta congrua dal giudice dell’esecuzione.

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