14 Mag Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 244 del 16 gennaio 1995
Testo massima n. 1
Non dà luogo a nullità la mancata traduzione del decreto di citazione a giudizio in grado di appello in una lingua nota all’imputato straniero che non conosca quella italiana, quando il giudizio di appello debba svolgersi con il rito camerale, ai sensi dell’art. 599 c.p.p. Ciò in quanto la facoltà di comparire all’udienza camerale non forma oggetto di speficica indicazione che debba essere contenuta in detto decreto, ma è soltanto indirettamente desumibile dal richiamo al citato art. 599 obbligatoriamente inserito, ai sensi dell’art. 601, comma 2, c.p.p., nel decreto stesso, per cui dalla sola notifica di quest’ultimo, quale che sia la lingua in cui esso è redatto, non deriva al destinatario la conoscenza dell’anzidetta facoltà.
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Testo massima n. 2
Pure a seguito della sentenza costituzionale n. 10 del 1993, agli imputati che non conoscono la lingua italiana non va fatto alcun avvertimento della loro facoltà di comparire all’udienza per l’appello in camera di consiglio con atto tradotto nella loro madre lingua. È ciò perché di tale avvertimento non è prevista l’inclusione nel decreto di citazione evincendosi la possibilità di comparire all’udienza camerale dal combinato disposto degli artt. 599, comma 1 e 127 c.p.p. Essendo, dunque, la detta facoltà prevista da disposizioni di legge, queste, prescindendo dalla conoscenza, sono obbligatorie, cosicché lo stesso imputato italiano che riceve la notifica del decreto di citazione, al pari dello straniero che lo riceva nella sua lingua o in un lingua per lui comprensibile, non sarebbe in condizione, per effetto della sola notifica, di essere informato di tale facoltà.
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