14 Mag Cassazione penale Sez. Unite sentenza n. 9 del 8 giugno 1999
Testo massima n. 1
L’applicazione della confisca non determina l’estinzione del preesistente diritto di pegno costituito a favore di terzi sulle cose che ne sono oggetto quando costoro, avendo tratto oggettivamente vantaggio dall’altrui attività criminosa, riescano a provare di trovarsi in una situazione di buona fede e di affidamento incolpevole. In siffatta ipotesi la custodia, l’amministrazione e la vendita delle cose pignorate devono essere compiute dall’ufficio giudiziario e il giudice dell’esecuzione deve assicurare che il creditore pignoratizio possa esercitare il diritto di prelazione sulle somme ricavate dalla vendita. [ Nell’affermare detto principio la Corte – giudicando in fattispecie di usura – ha altresì precisato che la tutela del diritto di pegno e la sua resistenza agli effetti della confisca non comporta l’estinzione delle obbligazioni facenti capo al condannato, che in tal modo trarrebbe comunque un vantaggio dall’attività criminosa, bensì determina la sola sostituzione del soggetto attivo del rapporto obbligatorio in virtù delle disposizioni sulla surrogazione legale di cui all’art. 1203 c.c., dato che al creditore garantito subentra lo Stato, il quale può esercitare la pretesa contro il debitore-reo per conseguire le somme che non ha potuto acquistare perché destinate al creditore munito di prelazione pignoratizia ].
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Testo massima n. 2
La Corte di appello chiamata a deliberare la novità degli elementi di prova a sostegno di una istanza di revisione ai fini della manifesta infondatezza deve, in osservanza dell’obbligo generale stabilito dall’art. 125, comma 3, c.p.p., fornire una sia pur sommaria giustificazione logica con cui dimostri di aver esaminato le risultanze sottoposte alla sua decisione. Laddove si limiti ad affermare in modo generico ed apodittico che le prove sopravvenute, specificamente indicate con la richiesta, o sono già state valutate nel precedente giudizio di cognizione o non sono idonee a dimostrare che il condannato deve essere prosciolto, la motivazione è soltanto apparente, e quindi inesistente, allorché essa non sia preceduta dalla doverosa indicazione di quali prove sarebbero già state valutate ovvero delle ragioni per cui esse sarebbero inidonee a smentire le prove su cui si è basata la sentenza di condanna.
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