14 Mag Cassazione civile Sez. I sentenza n. 658 del 26 gennaio 1988
Testo massima n. 1
Il secondo comma dell’art. 232 c.c., introdotto dalla riforma del diritto di famiglia di cui alla L. 19 maggio 1975, n. 151, circa i limiti della presunzione di concepimento durante il matrimonio in caso di separazione dei coniugi, non opera retroattivamente nei riguardi del figlio nato nel vigore della previgente normativa, nei cui confronti, pertanto, è applicabile detta presunzione, nonostante la separazione dei coniugi, mentre la sopravvenienza di quella riforma rileva in ordine all’azione esperibile per rimuovere lo status di figlio legittimo mediante la contestazione della paternità, che è l’azione contemplata dall’art. 235 n. 1 c.c., nuovo testo, in considerazione della disposizione transitoria dell’art. 229 della citata legge [ la quale prevede l’applicabilità delle norme sul disconoscimento anche ai nati prima dell’entrata in vigore della legge medesima ].
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Testo massima n. 2
La contestazione della legittimità del figlio da presumersi concepito in costanza di matrimonio [ vi sia o meno pure il possesso di stato ], in relazione al presupposto della paternità, può essere effettuata solo con l’azione di disconoscimento di cui all’art. 235 [ nuovo testo ] c.c. e, quindi, da parte dei soggetti, nei termini ed alle condizioni all’uopo previste, indipendentemente dal fatto che vi sia stata declaratoria di nullità del matrimonio per impotenza del marito [ con gli effetti del matrimonio putativo ai sensi dell’art. 128 c.c. ], atteso che, pure in questo caso, non è esperibile l’azione di contestazione della legittimità di cui all’art. 248 [ nuovo testo ] c.c., la quale configura disposizione residuale, per le contestazioni diverse da quelle inerenti alla paternità. L’estensione di tale principio alla suddetta ipotesi di nullità del matrimonio manifestamente non pone le citate norme in contrasto con gli artt. 2, 24, 29 primo comma e 30 primo comma della Costituzione, in relazione alle conseguenze derivanti dall’inutile decorso del termine per l’azione di disconoscimento, vertendosi in tema di scelte del legislatore ordinario correlate all’inerzia della parte nell’avvalersi degli strumenti apprestati dall’ordinamento.
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