19 Mar Giustizia: arriva la mediazione obbligatoria, ed è polemica
Dal 21 marzo, prima di intraprendere una causa civile bisognerà rivolgersi a un “mediatore”. Per Unioncamere garantirà maggiore efficienza, mentre gli avvocati denunciano costi e ritardi. E un ricorso al Tar del Lazio potrebbe fermare tutto
Non c’è solo la riforma della giustizia, definita da Berlusconi “epocale” e che sarà presentata il 10 marzo in un Consiglio dei ministri straordinario, ad animare il mondo giudiziario italiano. Con il decreto milleproroghe è diventata infatti obbligatoria a partire dal 21 marzo la “mediazione” per il processo civile. Prima di poter andare davanti a un giudice, il cittadino che voglia intraprendere una causa civile, dovrà presentarsi davanti a una figura denominata “mediatore” insieme alla controparte, per cercare di trovare una forma di conciliazione. A differenza di quanto accade in altri Paesi, questa non sarà solo una tra le opzioni possibili, ma un obbligo.
La norma ha però scatenato un’ondata di proteste nell’avvocatura: uno sciopero delle udienze è stato proclamato dal 16 al 22 marzo dall’Organismo unitario dell’Avvocatura (Oua), sigla che riunisce tutte le associazioni forensi, e sempre l’Oua, insieme all’Unione camere civili e a numerosi consigli dell’Ordine degli avvocati ha presentato un ricorso contro il provvedimento che approderà davanti al Tar del Lazio il 9 marzo.
Tra gli aspetti più controversi della “mediazione”, che l’Oua definisce “una pasticciata procedura che comporterà costi e ritardi” proprio la sua obbligatorietà, che secondo l’associazione degli avvocati allungherà i tempi del procedimento per chi è deciso ad andare comunque davanti al giudice. Un altro punto dibattuto è il costo, che andrà da 250 a 9mila euro senza comprendere alcuna assistenza legale, per cui chi, davanti al mediatore, vorrà farsi assistere da un avvocato dovrà pagarlo di tasca sua e affrontare spese aggiuntive.
Altra nota dolente, per i legali civilisti, sta nel fatto che non sia prevista, nella mediazione, la “competenza territoriale”: il cittadino potrebbe cioè essere convocato anche a centinaia di chilometri da casa; infine i legali denunciano la scarsa, dal loro punto di vista, qualifica professionale dei mediatori: sarà sufficiente infatti una laurea triennale e un corso di 50 ore per poter esercitare. “Basta praticamente una settimana per diventare mediatori – sottolinea il presidente delle camere civili Renzo Menoni – e nel caso ad esempio di controversie mediche, il cittadino si affiderebbe a costoro senza la garanzia né di un avvocato né di un medico legale”.
Intanto, però, i vari ordini professionali si sono già attrezzati per dotarsi di “mediatori”, e, fa sapere Unioncamere (organizzazione che riunisce le Camere di commercio), sono 160 “le strutture già accreditate al Registro degli organismi di mediazione tenuto dal ministero della Giustizia”. La riforma della mediazione civile e commerciale, secondo il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, permetterà di accorciare i tempi del sistema giudiziario e rappresenta “un’occasione importante per restituire efficienza e risorse alla giustizia civile e tutelare gli interessi del mercato”.
Difende la mediazione anche la Simed (Società italiana mediazione): fondata nel 1993 per promuovere le forme di giustizia alternativa nel nostro Paese, conta più di 200 soci appartenenti a vari ordini professionali.
Il presidente di Simed, l’avvocato Michele De Meo, interpellato da Sky.it, fa un’arringa difensiva del provvedimento: “E’ l’Europa – dice – che da 12 o 13 anni ce lo chiede, si tratta di un modo per cercare di risolvere contrattualmente le controversie, come già accade in tanti rami del diritto civile ” e spiega così l’obbligatorietà: “In Italia, senza obbligo non lo fa nessuno: invece in questo modo si spinge l’avvocato a informarsi per vedere se si può trovare un accordo con l’aiuto di un facilitatore”. Anche le contestate caratteristiche del mediatore, per De Meo, sono “punti in più”: “Il mediatore deve trovare un modo fantasioso e intelligente per far risolvere la controversia dagli stessi litiganti, l’importante è sapere far emergere i bisogni delle parti e far trovare loro il modo per trasformarli in un buon accordo. Il tipo di laurea non è di per sé discriminante”. “Anzi – scherza – che il mediatore non sia laureato in legge potrebbe addirittura essere addirittura un vantaggio”.
(Fonte Sky.it, di Giulia Floris)