Diritti dei successori, accettazione beneficiata, actio interrogatoria ed eredità giacente
La legge n. 219 del 2012 ha garantito l’uguaglianza dei diritti dei figli, trattandoli allo stesso modo indipendentemente dal contesto in cui sono stati concepiti.
In particolare, ha riformato la definizione di parentela, che, secondo l’articolo 74 del codice civile modificato, è ora esclusivamente legata al vincolo di sangue (la discendenza da un comune progenitore), senza tener conto se la procreazione sia avvenuta all’interno o fuori dal matrimonio. Tra le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 154 del 2013 c’è anche l’articolo 566 c.c., che riguarda la successione dei figli e che ha eliminato ogni differenza tra figli legittimi e naturali ed il riferimento all’istituto della commutazione previsto dall’art. 537 c.c..
L’equiparazione tra figli legittimi e figli nati fuori dal matrimonio nelle successioni ab intestato ha portato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 9066/2023 ad affermare che tale normativa si applica retroattivamente anche alle successioni aperte prima dell’entrata in vigore di questa disposizione al fine di evitare discriminazioni basate sullo stato di filiazione, senza che tale interpretazione contrasti con i principi costituzionali.
Nel caso in cui venga accettata l’eredità con beneficio di inventario, l’articolo 485 c.c. stabilisce che il chiamato che si trovi già in possesso dei beni ereditari deve redigere l’inventario entro tre mesi dall’apertura della successione o dalla sua notizia. Se il possesso dei beni avviene successivamente, come chiarito dalla Cass. n. 15587/2023, il termine di tre mesi per l’inventario decorre dal momento in cui il chiamato entra in possesso dei beni, non dall’apertura della successione. Pertanto, anche il possesso acquisito successivamente influisce sul termine per compiere l’inventario.
Inoltre, il possesso dei beni ha un impatto sulla possibilità di promuovere l’actio interrogatoria, che è stata esclusa dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 15587/2023, poiché l’azione serve a abbreviare il termine di prescrizione di cui all’articolo 480 c.c. e non già il termine di tre mesi previsto dall’art. 485 c.c. per la redazione dell’inventario.
Laddove non vi sia una valida accettazione dell’eredità, viene disposta l’apertura della curatela dell’eredità giacente, che cessa quando l’eredità viene accettata. In questo caso, la sentenza emessa nei confronti del curatore ha valore anche per coloro che, successivamente all’accettazione, acquisiscono la qualità di eredi poiché il giudicato ha effetto anche sugli eredi e su coloro che subentrano nei diritti dei beni affidati inizialmente al curatore.
Il decreto che chiude la curatela dell’eredità giacente e approva il rendiconto del curatore non può essere impugnato per cassazione, poiché non è un provvedimento decisivo e definitivo, non comportando alcun passaggio in cosa giudicata. La cessazione della curatela è legata esclusivamente all’accettazione dell’eredità da parte di un chiamato che non fosse già in possesso dei beni ereditari, senza che tale provvedimento abbia effetti giuridici sostanziali, salvo eventuali controversie sulle spese della procedura.
Una volta conclusa la procedura della curatela, se il professionista non ha indicato i criteri per la liquidazione del compenso, il giudice non può rigettare la domanda per mancanza di prove sul quantum, ma deve verificare, in base all’art. 2233 c.c., se l’attività svolta dal curatore possa essere assimilata a quella di altre attività professionali per le quali esistono tariffe o tabelle. Se ciò non è possibile, il giudice dovrà autonomamente determinare l’importo che ritiene congruo.