08 Feb Si susseguono le decisione dopo l’abrogazione delle tariffe forensi: ecco quella del Tribunale di Varese
Si susseguono le pronunce dei Tribunali in merito alla liquidazione delle tariffe forensi a seguito dell’introduzione dell’art. 9 del D.L. n. 1/2012.
E’ giunta notizia della sentenza resa in data 3 febbraio 2012 dal Tribunale di Varese, il quale ha così disposto che: “L’abrogazione delle tariffe forensi, ai sensi dell’art. 9 d.l. 1/2012, comporta che il giudice, per la liquidazione del compenso all’Avvocato, debba applicare l’art. 2225 cod. civ. In applicazione della norma in esame, per la quantificazione del compenso, il giudice può fare riferimento agli standards liquidativi in precedenza applicati e alla somma calcolata dallo stesso difensore mediante la nota spese di cui all’art. 75 disp. att. c.p.c. Nella determinazione del compenso, occorre tenere presente che il soggetto che esercita la professione forense, indipendentemente dagli atti specifici compiuti, svolge un servizio di pubblica necessità e quindi contribuisce alla realizzazione delle finalità di Giustizia nel processo, aspetto che impone di rispettare la professione dell’Avvocato non frustrandone la funzione mediante un compenso inadeguato o insufficiente”.
Segue il testo integrale della decisione:
TRIBUNALE DI VARESE
… Omissis …
Fatto
Con la domanda introduttiva del giudizio, l’attore assumeva di avere prestato, in qualità di commercialista, la sua collaborazione professionale in favore del convenuto per le attività registrate nelle fatture allegate all’atto di citazione, ed emesse a cavallo tra il 2006 e il 2008. Deduceva di avere maturato un compenso per Euro 5.693,89 e che, a fronte della regolare esecuzione della prestazione intellettuale, il debitore non aveva adempiuto l’obbligazione pecuniaria, anche nonostante l’ultimo sollecito, del 12 novembre 2010. Al convenuto l’atto di citazione veniva notificato in data 28 dicembre 2010 (notifica n sue mani); non comparendo nonostante la notificazione, il convenuto veniva dichiarato contumace all’udienza del 22 aprile 2011. All’udienza del 20 maggio 2011 venivano ammesse le prove richieste dalla parte attrice, come articolate nella memoria istruttoria del 12 maggio 2011. In data 30 settembre 2011 venivano assunte le prove e, in particolare, veniva sentito il testimone citato dalla parte attrice. La causa veniva rinviata all’udienza del 3 febbraio 2012 per la discussione orale della causa ai sensi dell’art. 281-sexies c.p.c.
Diritto
In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca ai sensi dell’art. 1218 c.c. deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (Cass. civ., Sez. Unite, 30/10/2001, n. 13533 in Corriere Giur., 2001, 12, 1565; Cass. civ., Sez. Unite, 24/03/2006, n. 6572). E, infatti, la disciplina dell’onere della prova assume un rilievo particolare nell’ambito dell’inadempimento delle obbligazioni contrattuali, ove il Codice civile (art. 1218) introduce una presunzione – definita dalla dottrina – “semplificante”, in deroga alla regola generale dell’art. 2697 c.c., accollando al debitore, che non abbia eseguito esattamente la prestazione dovuta, l’onere di provare che l’inadempimento o il ritardo siano stati provocati da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, salvo, ovviamente, provare fatti estintivi, modificativi o impeditivi dell’altrui pretesa (Trib. Varese, sez. I, ord. 18 novembre 2009 in Giur. di Merito, 2010, 2, 394).
Nel caso di specie, il creditore ha offerto piena prova dei fatti costitutivi del suo diritto avendo fornito valido supporto probatorio del contratto dedotto in citazione, della pattuizione del compenso stabilito con il debitore, della intervenuta esecuzione delle prestazioni e del complessivo ammontare della pretesa creditoria rimasta insoddisfatta. La piattaforma probatoria è in questi termini arricchita dalla testimonianza del teste P, sentita all’udienza del 30 settembre 2011. Si tratta di un testimone credibile, avendo percepito direttamente i fatti, in quanto collaboratrice dello studio attore al momento del fatto e per il periodo oggetto delle fatture. Il teste ha confermato che lo Studio attore ha effettivamente e realmente eseguito tutte le prestazioni di cui alle fatture prodotte in atti (dalla numero 1 alla numero 9), in favore del convenuto, ed ha pure confermato che le parti si erano accordate per il corrispettivo poi richiesto dal creditore. Peraltro, ha anche affermato che il suddetto corrispettivo non è stato versato dal convenuto (prova di tipo negativo non gravante sul creditore). A fronte della completa e univoca prova offerta dal creditore, il debitore non ha allegato l’intervenuto adempimento e, anzi, al contrario, il creditore ha offerto elementi di giudizio di senso diametralmente opposto.
La somma costituisce debito di valuta (poiché certa nell’ammontare ab origine) e, pertanto, sono dovuti gli interessi legali (dalla costituzione in mora) ma non la rivalutazione monetaria. L’importo, maggiorato degli interessi dall’attualità, con decorrenza dalla messa in mora, è di Euro 5.800,00.
Alla luce dei rilievi sin qui esposti, la domanda dell’attore deve trovare accoglimento. In conseguenza della soccombenza, il convenuto va condannato alle spese del processo. Il difensore della parte attrice ha versato in atti propria nota spese redatta ai sensi D.M. 8 aprile 2004 n. 127 (regolamento recante determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati per le prestazioni giudiziali, in materia civile, amministrativa, tributaria, penale e stragiudiziali).
Il Decreto-Legge 24 gennaio 2012, n. 1 (in G.U. 24 gennaio 2012, n. 19), recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, ha previsto, all’art. 9, comma I, l’abrogazione delle tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico. L’art. 9 citato, al comma II, prevede che – ferma restando l’abrogazione delle tariffe – nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del ministro vigilante. Un primo precedente giurisprudenziale intervenuto in materia (Trib. Cosenza, ord. 26 gennaio 2012, est. G. Greco) ha ritenuto che lo jus superveniens (ritenuto immediatamente applicabile alle controversie pendenti) abbia di fatto comportato la caducazione del criterio liquidatorio tariffario, da parte del giudice, a prescindere dalla presenza di una controversia tra avvocato e cliente ma in ogni caso in cui il magistrato debba procedere alla determinazione del compenso spettante al difensore per l’attività professionale profusa nell’esercizio del mandato. Sulla base di tale presupposto, lo stesso Ufficio giudiziario (Trib. Cosenza, ord. 1 febbraio 2012 in www.cassazione.net), con ricchezza di argomentazioni, ha rimesso gli atti alla Corte Costituzionale reputando censurabile, sotto diversi profili di costituzionalità, l’art. 9 del d.l. 1/2012, nella parte in cui non prevede una disciplina transitoria fino alla entrata in vigore del Decreto Ministeriale preannunciato dall’art. 9, comma II, decreto cit.
Nonostante il pregio delle ragioni da cui trae linfa l’ordinanza calabrese di remissione, reputa questo Tribunale che, per la liquidazione del compenso dell’Avvocato, in difetto di normativa ministeriale, non si registri un vacuum legis sospettabile di incostituzionalità.
Giova ricordare, infatti, che, in assenza di tariffe professionali, il sistema normativo contiene una difesa immunitaria ad hoc posto che l’art. 2225 c.c., quale norma generale, statuisce che in loro assenza il giudice può liquidare il compenso in relazione al risultato ottenuto dal professionista e al lavoro normalmente necessario per ottenerlo. Trattasi di disposizione legislativa che non consegna al giudicante una “delega in bianco”, a rischio di arbitraria discrezionalità, in quanto non è equitativa in senso tecnico (v. Trib. Bologna, Sez. II, 28 giugno 2010), tenuto conto dei parametri oggettivi cui si ancora la liquidazione e del costume pretorio formatosi in calce all’art. 2225 c.c., che consente anche il riferimento a prestazioni analoghe (v. ad es., Trib. Milano, 31 luglio 2001 in Riv. Critica Dir. Lav., 2001, 1036). Ebbene, in assenza di un riferimento tariffario, dovendo stabilire il giusto compenso (e, quindi, non meramente “equo”), il giudice ben può fare riferimento anche ai parametri che precedentemente venivano applicati, per orientarsi nella statuizione finale, dovendosi precisare che l’abrogazione delle tariffe non è intervenuta perché queste non fossero corrette o adeguate, ma per una finalità diversa, collocata nell’ottica di una implementazione della concorrenza dei mercati. Ciò vuol dire che, ricorrendo all’art. 2225 cod. civ., il giudice, guardando agli standards liquidativi in precedenza applicati, e tenendo conto dell’attività processuale in concreto svolta dall’Avvocato, può procedere alla liquidazione del compenso del difensore in modo adeguato e nel rispetto della finalità proprie delle Tariffe, che debbono compensare, in un’ottica retributiva (e non indennitaria), il rappresentante legale per la prestazione intellettuale svolta. In quest’opera di liquidazione del compenso, peraltro, il magistrato non può considerare il professionista legale come un mero professionista intellettuale, in quanto, come è noto, il soggetto che esercita la professione forense, indipendentemente dagli atti specifici compiuti, svolge un servizio di pubblica necessità (Cass. pen., Sez. V, 28 aprile 2005, n. 22496 in Riv. Pen., 2006, 6, 749) e quindi contribuisce alla realizzazione delle finalità di Giustizia nel processo, aspetto che impone di rispettare la professione dell’Avvocato non frustrandone la funzione mediante un compenso inadeguato o insufficiente. Va, poi, soprattutto rilevato che il d.l. 1/2012 non ha abrogato l’art. 75 disp. att. c.p.c. L’enunciato in esame prevede che “il difensore al momento del passaggio in decisione della causa deve unire al fascicolo di parte la nota delle spese, indicando in modo distinto e specifico gli onorari e le spese, con riferimento all’articolo della tariffa dal quale si desume ciascuna partita”. Ebbene, la disposizione de qua deve ritenersi abrogata nel rinvio alla Tariffa, in virtù dell’art. 9, comma IV, del d.l. 1/2012 ma non anche nella parte in cui prevede che l’Avvocato, comunque, presenti la nota del suo compenso. Per effetto dell’abrogazione tacita, il disposto normativo deve essere letto come se statuisse che il difensore al momento del passaggio in decisione della causa deve unire al fascicolo di parte la nota delle spese, indicando in modo distinto e specifico gli onorari e le spese. Orbene, la nota spese dell’Avvocato è un valido strumento del difensore per proporre, come già avveniva prima del d.l. 1/12, una liquidazione del suo compenso, così potendo il giudice farvi senz’altro riferimento, dove la ritenga adeguata. In tale giudizio, restano vitali e sempre attuali gli insegnamenti nomofilattici delle Sezioni Unite che, in merito all’ammontare della liquidazione delle spese del processo, hanno affermato che “le spese di lite vanno liquidate (…) in linea con il principio di adeguatezza e proporzionalità” i quali impongono “una costante ed effettiva relazione tra la materia del dibattito processuale e l’entità degli onorari per l’attività professionale svolta” (Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, sentenza 11 settembre 2007, n. 19014).
Ebbene, nel caso di specie, il difensore della parte vittoriosa, ha depositato la sua nota spese, richiedendo il compenso per Euro 250,00 a titolo di spese, Euro 629,00 a titolo di Diritti ed Euro 1.310,50 a titolo di onorari. Tenuto conto degli snodi del processo, della proficua attività svolta dal difensore e del risultato processuale ottenuto, il compenso appare del tutto congruo, adeguato, e giusto in relazione ai risultati ottenuti. A prescindere dal fatto che la nota spese sia stata liquidata con il riferimento alle Tariffe, la somma richiesta è senz’altro calcolata in modo congruo e compensa giustamente e correttamente l’attività svolta dall’Avvocato.
P.q.m.
Il Tribunale di Varese, Sezione Prima Civile, in composizione monocratica, in persona del giudice dott. Giuseppe Buffone, definitivamente pronunciando nel giudizio civile iscritto al n. …. dell’anno 2010, disattesa ogni ulteriore istanza, eccezione e difesa, così provvede:
1. Accerta e dichiara l’inadempimento di MF, per le ragioni di cui in parte motiva e, per l’effetto, condanna il convenuto MF, al versamento, in favore dell’attore, SP di Euro 5.800,00 oltre interessi legali dalla sentenza e sino al soddisfo.
2. Condanna il convenuto al rimborso delle spese del giudizio in favore dell’attore che, tenuto conto della natura della lite e del valore della causa
3. Liquida, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., in Euro 2.189,50 di cui Euro 250,00 per spese. Vanno aggiunti il rimborso dell’Iva e del Cpa giusta l’art. 11 legge 20 settembre 1980, n. 576.
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