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Art. 523 — Ratto a fine di libidine

Art. 523 — Ratto a fine di libidine

[ Chiunque, con violenza, minaccia o inganno, sottrae o ritiene, per fine di libidine un minore ovvero una donna maggiore di età, è punito con la reclusione da tre a cinque anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso a danno di persona che non ha ancora compiuto gli anni diciotto ovvero di una donna coniugata. ]

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. pen. n. 4426/1997

La privazione della libertà, attuata in danno del soggetto passivo della violenza sessuale con lo «specifico fine di libidine», previsto dall’abrogato art. 523 c.p. (ratto a fine di libidine) e, tuttavia, protratta per un tempo non coincidente con quello di consumazione della violenza sessuale, è tuttora punibile come ipotesi di sequestro di persona ai sensi dell’art. 605 c.p., poiché, al di là del fine perseguito, il soggetto che priva un altro della libertà personale non può andare esente da pena.

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Cass. pen. n. 3851/1997

A seguito dell’abrogazione dell’art. 523 c.p., la condotta materiale dell’abrogato delitto è ora sussumibile nella previsione dell’art. 605 c.p. Il ratto a fine di libidine era infatti costituito dai medesimi elementi del sequestro di persona, da cui si differenziava per il particolare fine dell’agente caratterizzato dalla libidine. Venuta meno la previsione speciale, quella generale conserva efficacia senza bisogno di modifica della contestazione, ma solo attraverso una diversa qualificazione giuridica.

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Cass. pen. n. 924/1997

I delitti di ratto a scopo di libidine o a scopo di matrimonio — previsti dagli artt. 523 e 522 c.p. ed abrogati per effetto della legge 15 febbraio 1996, n. 66 — pur avendo in comune con quello di sequestro di persona la privazione della libertà personale del soggetto passivo, si differenziavano da quest’ultima per la qualificazione del fine, essendo i suddetti reati di ratto caratterizzati, o dal fine di soddisfare la propria libidine, o da quello di indurre al matrimonio la parte offesa, mentre lo schema legale del sequestro di persona si completa con la semplice privazione della libertà personale del soggetto passivo, senza una particolare qualificazione del fine del soggetto attivo. Ne deriva che, venute meno le fattispecie di ratto a fine di libidine o di matrimonio, a seguito della nuova disciplina in materia di violenza sessuale introdotta con la suindicata legge n. 66 del 1996, non per questo devono andare esenti da sanzione quei comportamenti in cui siano ravvisabili violazioni di altre norme giuridiche tuttora vigenti; con conseguente configurabilità del delitto di sequestro di persona allorquando il soggetto attivo, per fine di libidine o per indurre al matrimonio la parte offesa, privi quest’ultima della libertà personale.

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Cass. pen. n. 10704/1996

Il rapporto di specialità già intercorrente tra l’art. 523 c.p. (ratto a fine di libidine) e l’art. 605 stesso codice (sequestro di persona) comporta che a seguito dell’abrogazione dell’art. 523 c.p., il ratto a fine di libidine, lungi dall’essere penalmente irrilevante, va punito come sequestro di persona, poiché, venuta meno la norma speciale, esso rientra nell’ambito di previsione della norma generale. Per i fatti commessi prima dell’entrata in vigore della legge 15 febbraio 1996, n. 66 (Norme contro la violenza sessuale) continua ad applicarsi, in forza di quanto disposto dall’art. 2, comma terzo, c.p., la norma di cui all’art. 523 c.p. abrogato, perché più favorevole al reo rispetto alla norma prevista dall’art. 605 c.p.

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Cass. pen. n. 8907/1996

La disposizione di cui all’art. 1 legge 15 febbraio 1996, n. 66 (norme contro la violenza sessuale), che recita: «Il capo primo del titolo dodicesimo del libro secondo del codice penale e gli articoli… sono abrogati», va interpretata nel senso che le condotte, realizzate nella vigenza delle precedenti statuizioni, non sono depenalizzate quando coincidono con quelle introdotte dalla nuova normativa ovvero con quelle comuni disciplinate in altre, già vigenti, ipotesi tipiche del codice penale. In tal caso si verifica una successione di leggi penali nel tempo regolata, per l’assenza di norme transitorie, dai criteri dettati dall’art. 2 c.p.». (Nella specie la S.C. ha osservato che, poiché i giudici avevano ritenuto il fatto di maggiore gravità ed avevano fissato la pena base in anni tre e mesi sei di reclusione, cioè in misura superiore al minimo – tre anni di reclusione – precedentemente previsto dall’art. 523 c.p., doveva essere ritenuta disposizione più favorevole quella precedente, poiché deve farsi riferimento ai massimi edittali (anni otto di reclusione – art. 605 c.p. – superiori, quindi ai cinque anni del ratto a fine di libidine).

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