16 Mar Art. 146 — Rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena
L’esecuzione di una pena, che non sia pecuniaria, è differita:
- 1) se deve aver luogo nei confronti di donna incinta;
- 2) se deve aver luogo nei confronti di madre di infante di età inferiore ad anni uno;
- 3) se deve aver luogo nei confronti di persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria accertate ai sensi dell’articolo 286 bis, comma 2, del codice di procedura penale, ovvero da altra malattia particolarmente grave per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione, quando la persona si trova in una fase della malattia così avanzata da non rispondere più, secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili e alle terapie curative.
Nei casi previsti dai numeri 1) e 2) del primo comma il differimento non opera o, se concesso, è revocato se la gravidanza si interrompe, se la madre è dichiarata decaduta dalla responsabilità genitoriale sul figlio ai sensi dell’articolo 330 del codice civile, il figlio muore, viene abbandonato ovvero affidato ad altri, sempreché l’interruzione di gravidanza o il parto siano avvenuti da oltre due mesi.
- 1) se deve aver luogo nei confronti di donna incinta;
- 2) se deve aver luogo nei confronti di madre di infante di età inferiore ad anni uno;
- 3) se deve aver luogo nei confronti di persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria accertate ai sensi dell’articolo 286 bis, comma 2, del codice di procedura penale, ovvero da altra malattia particolarmente grave per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione, quando la persona si trova in una fase della malattia così avanzata da non rispondere più, secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili e alle terapie curative.
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”12″]
Massime correlate
Cass. pen. n. 43586/2017
In tema di differimento obbligatorio o facoltativo della pena ovvero di concessione della detenzione domiciliare per grave infermità fisica, il giudice dell’esecuzione può legittimamente porre a fondamento del diniego la condotta volontaria ed oppositiva del condannato, tesa strumentalmente ad amplificare le patologie che lo affliggono, atteso che, in tal caso, l’offerta terapeutica è resa inadeguata anche da una scelta imputabile al medesimo.
Cass. pen. n. 42276/2010
Il rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena, nei confronti del condannato affetto da sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) conclamata o da grave deficienza immunitaria, presuppone che la malattia sia giunta ad una fase così avanzata da escludere la rispondenza del soggetto ai trattamenti disponibili o alle terapie curative, e non richiede alcuna valutazione circa la compatibilità o meno della patologia con lo stato di detenzione.
Cass. pen. n. 41542/2010
Il differimento dell’esecuzione della pena per malattia psichiatrica è consentito unicamente allorché quest’ultima si risolva anche in malattia fisica. (Fattispecie concernente un caso di depressione maggiore, nel quale, anche per le cure disponibili in ambiente carcerario, si è esclusa la possibilità di rinvio dell’esecuzione).
Cass. pen. n. 33967/2004
Ai fini del rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena, nel caso previsto dall’art. 146, comma primo, n. 3, c.p., non basta che il condannato sia affetto da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria, ma occorre che sussista anche l’ulteriore condizione, riferibile a tutte le ipotesi precedentemente indicate nella norma, che la malattia sia giunta ad una fase così avanzata da escludere la rispondenza del soggetto ai trattamenti disponibili o alle terapie curative.
Cass. pen. n. 5818/2004
In tema di esecuzione della pena nei confronti di persona affetta da Aids conclamata o di grave deficienza immunitaria, accertata ai sensi del secondo comma dell’art. 286 bis cod proc. pen., l’obbligo di sospensione o di applicazione della detenzione domiciliare si determina per il giudice solo quando le patologie sono documentate secondo le procedure stabilite dalla legge e dai pertinenti decreti ministeriali. Nondimeno, nei casi in cui dette patologie risultino provate mediante una documentazione incompleta od irrituale, poichè la legge riconosce al giudice la possibilità di applicare anche d’ufficio la detenzione domiciliare, è comunque necessario che la diversa opzione di disporre l’esecuzione della pena in sede carceraria sia specificamente motivata, di guisa che l’assenza di indicazioni in proposito è sanzionata, a norma dell’art. 125 comma terzo c.p.p., con previsione di nullità del relativo provvedimento.
Cass. pen. n. 20480/2001
Nelle ipotesi in cui potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione della pena ai sensi degli articoli 146 e 147 c.p., il tribunale di sorveglianza ai sensi dell’art. 47 ter, comma 1 ord. pen. — può applicare ex officio ed indipendentemente da una richiesta in tal senso dell’interessato, la misura della detenzione domiciliare, al fine di contemperare le esigenze del condannato, in relazione alla tutela della salute, e le esigenze della collettività, in relazione ai profili di sicurezza pubblica —.
Cass. pen. n. 11233/2001
L’art. 146, comma 1, n. 3, c.p., nella parte in cui prevede il rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena qualora il condannato sia affetto da «malattia particolarmente grave» per effetto della quale le sue condizioni di salute risultino «incompatibili con lo stato di detenzione», intende chiaramente riferirsi ad una malattia fisica e non ad una infermità di natura psichica, in presenza della quale deve invece farsi applicazione della specifica disciplina dettata dall’art. 148. La «grave infermità fisica» prevista dall’art. 147, comma 1, n. 2, c.p. come causa di rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena dev’esser tale da far risaltare ictu oculi la possibilità che essa, nonostante la fruibilità di adeguate cure anche in stato di detenzione, dia luogo ad una sofferenza aggiuntiva derivante proprio dalla privazione della libertà in sé e per sé considerata e suscettibile quindi di rendere l’esecuzione della pena incompatibile con i beni costituzionalmente tutelati costituiti dal diritto alla salute e dal senso di umanità, dovendosi, peraltro, tener presente che una certa sofferenza aggiuntiva è comunque inevitabile ogni qual volta la pena debba essere eseguita nei confronti di soggetto in non perfette condizioni di salute, per modo che essa può assumere rilievo solo quando appaia di entità tale da superare i limiti dell’umana tollerabilità.
Cass. pen. n. 6952/2000
La previsione di cui all’art. 47ter, comma 1ter, dell’ordinamento penitenziario, introdotta dall’art. 4, comma 1, lett. a), della L. 27 maggio 1998, n. 165, secondo cui, «quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo dell’esecuzione della pena ai sensi degli artt. 146 e 147 del codice penale, il tribunale di sorveglianza, anche se la pena supera il limite di cui al comma 1, può disporre l’applicazione della detenzione domiciliare», ha la chiara finalità di colmare una lacuna della previgente normativa, per la quale, in presenza dei presupposti di fatto indicati negli artt. 146 e 147 c.p., s’imponeva un’alternativa secca tra carcerazione e libertà senza vincoli. L’innovazione viene quindi a configurare la polifunzionalità del regime detentivo che è mirato, per un verso, all’esigenza di effettività dell’espiazione della pena e del necessario controllo cui vanno sottoposti i soggetti pericolosi; per altro verso ad una esecuzione mediante forme compatibili con il senso di umanità, quale è quella costituita dalla detenzione domiciliare a termine, da disporsi in presenza di una negativa condizione soggettiva del condannato che non ne consenta la piena liberazione che deriverebbe dall’applicazione degli istituti di cui ai richiamati artt. 146 e 147 c.p.. È pertanto da escludere, avuto riguardo anche alla chiara lettera della disposizione in questione, che essa possa trovare applicazione sulla base di presupposti diversi da quelli che potrebbero dar luogo al rinvio obbligatorio o facoltativo dell’esecuzione della pena.
Cass. pen. n. 853/1998
In tema di liberazione condizionale, il fatto che il condannato si trovi in regime di differimento dell’esecuzione della pena, per la sussistenza di taluna delle ragioni indicate negli articoli 146 e 147 c.p., non può essere di ostacolo alla valutazione, da parte del competente tribunale, della sussistenza o meno delle condizioni previste dalla legge per la concedibilità del beneficio. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha annullato il provvedimento con il quale il tribunale di sorveglianza, investito di richiesta di liberazione condizionale avanzata da soggetto nei cui confronti era stato disposto il differimento della pena per ragioni di salute, aveva respinto detta richiesta ritenendola «prematura», in quanto la posizione dell’interessato sarebbe stata più adeguatamente valutabile una volta ripresa l’esecuzione della pena).
Cass. pen. n. 2683/1996
L’apprezzamento positivo della situazione d’inconciliabilità delle particolari condizioni di salute del condannato, malato di Aids, con il regime carcerario – presunto ex lege quando l’espiazione della pena possa avvenire con verosimile pregiudizio della salute del soggetto e di quella della popolazione carceraria – comporta conseguentemente, una volta accertata in concreto, il rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena, senza che sia consentito al giudice di optare di ufficio per la concessione della misura alternativa della detenzione domiciliare.
Corte cost. n. 438/1995
… (Omissis). Pur dovendosi quindi annettere al particolare e grave morbo di cui qui si tratta [ N.d.r. AIDS ] tutto il risalto che lo stesso merita e che l’ampia normativa di settore e la stessa coscienza collettiva gli ha ormai riconosciuto, la disposizione impugnata deve ritenersi non conforme al canone della ragionevolezza nella parte in cui non consente di accertare in concreto se, ai fini della esecuzione della pena, le effettive condizioni di salute del condannato siano o meno compatibili con lo stato detentivo. Allo stesso modo, spetterà al giudice verificare caso per caso in relazione alle strutture disponibili se l’esecuzione della pena possa avvenire senza pregiudizio per la salute della restante popolazione carceraria che, come si è detto, costituisce l’altro dei valori che la norma ha inteso tutelare. Accertamenti e verifiche del giudice, quelli sopra esposti, che porranno le pubbliche amministrazioni, ciascuna nel quadro delle proprie competenze ed opportunamente giacché la rigida e prevedibile sospensione del momento esecutivo esclude che la pena irrogata possa svolgere alcuna funzione di intimidazione e dissuasione. Del tutto vanificato sarebbe anche il profilo retributivo-afflittivo della pena, posto che la rinuncia sine die alla relativa esecuzione lascia sostanzialmente impunito il reato commesso, in una prospettiva di deresponsabilizzazione che si pone in contrasto con il principio sancito dall’art. 27, primo comma, della coordinate tra loro, di fronte all’esigenza di tenere conto del bisogno di cura del singolo e dell’attitudine della condizione restrittiva rispetto alla salvaguardia della salute della popolazione carceraria, predisponendo o incrementando le strutture idonee allo scopo, sia in ambito penitenziario sia nei presidi sanitari esterni cui ricorrere a norma dell’art. 11 dell’ordinamento penitenziario… (omissis).
Per questi motivi si dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 146, primo comma, numero 3, del codice penale, aggiunto dall’art. 2 del D.L. 14 maggio 1993, n. 139, convertito dalla legge 14 luglio 1993, n. 222, nella parte in cui prevede che il differimento ha luogo anche quando l’espiazione della pena possa avvenire senza pregiudizio della salute del soggetto e di quella degli altri detenuti.
Cass. pen. n. 1504/1994
Il primo comma, n. 3 dell’art. 146 c.p., come modificato dall’art. 2, D.L. 14 maggio 1993, n. 139, convertito dalla L. 14 luglio 1993, n. 222, prevede un’ipotesi di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena allorché il condannato sia affetto da infezione da HIV incompatibile con lo stato di detenzione; unico presupposto per l’applicabilità della norma in questione è dunque l’esistenza dell’affezione suddetta che sia incompatibile con il regime carcerario, situazione in presenza della quale deve obbligatoriamente disporsi il rinvio della pena. Conseguentemente, disposto il rinvio, ogni ulteriore comportamento dell’interessato produttore di eventuali illeciti penali non assume alcun rilievo giuridicamente valutabile ai fini di un’eventuale revoca del beneficio; soltanto il venir meno del presupposto (allo stato della scienza medica ipotizzabile solo come erronea iniziale valutazione dello stato di salute del condannato) implica per il competente giudice una riconsiderazione della nuova situazione fattuale sfociante, se del caso, nella revoca della sospensione dell’esecuzione della pena.
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