16 Mar Art. 63 — Applicazione degli aumenti o delle diminuzioni di pena
Quando la legge dispone che la pena sia aumentata o diminuita entro limiti determinati, l’aumento o la diminuzione si opera sulla quantità di essa, che il giudice applicherebbe al colpevole, qualora non concorresse la circostanza che la fa aumentare o diminuire.
Se concorrono più circostanze aggravanti, ovvero più circostanze attenuanti, l’aumento o la diminuzione di pena si opera sulla quantità di essa risultante dall’aumento o dalla diminuzione precedente.
Quando per una circostanza la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o si tratta di circostanza ad effetto speciale, l’aumento o la diminuzione per le altre circostanze non opera sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta. Sono circostanze ad effetto speciale quelle che importano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo.
Se concorrono più circostanze aggravanti tra quelle indicate nel secondo capoverso di questo articolo, si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave; ma il giudice può aumentarla [ 132 2 ].
Se concorrono più circostanze attenuanti tra quelle indicate nel secondo capoverso di questo articolo, si applica soltanto la pena meno grave stabilita per le predette circostanze; ma il giudice può diminuirla [ 132 2 ].
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”12″]
Massime correlate
Cass. pen. n. 36104/2017
La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa”o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale.
Cass. pen. n. 18278/2017
Nell’ipotesi di concorso tra più circostanze aggravanti ad effetto speciale, poiché l’aggravante di cui all’art. 7 del D.L. n. 152 del 1991 (convertito in L. n. 203 del 1991) è esclusa dal giudizio di bilanciamento, ai fini del calcolo degli aumenti di pena irrogabili, non si applica la regola generale prevista dall’art. 63, comma quarto, cod. pen., bensì l’autonoma disciplina derogatoria di cui al citato art. 7, che prevede l’inasprimento della sanzione da un terzo alla metà. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la decisione che, applicando la disciplina di cui all’art. 63, comma quarto cod. pen., aveva escluso l’aggravante di cui all’art. 7 D.L. n. 152 del 1991 ritenendo più grave quella di cui al secondo comma dell’art. 629 cod. pen.).
Cass. pen. n. 5597/2017
In tema di circostanze aggravanti, il principio di cui all’art. 63, comma quarto, cod. pen., secondo cui in caso di concorso tra circostanze ad effetto speciale non si applica il cumulo materiale, ma la pena per la circostanza più grave aumentata fino ad un terzo, opera anche in caso di concorso tra circostanze aggravanti indipendenti e ad effetto speciale, atteso che le prime devono considerarsi alla stregua di queste ultime, perchè influiscono sulla pena ordinaria del reato, imponendo autonomi limiti edittali. (In applicazione del principio, la S.C. ha annullato la sentenza di merito che, nel calcolare la pena all’imputato condannato per violenza sessuale aggravata ai sensi dell’art. 609-ter, comma primo, cod. pen. – ritenuta aggravante indipendente – e dell’art. 99, commi 4,5 e 6, cod. pen. – ritenuta aggravante ad effetto speciale – ed in continuazione con altri reati, aveva operato sulla pena risultante dall’applicazione della prima aggravante, ritenuta più grave, l’intero aumento per la recidiva).
Cass. pen. n. 28276/2016
Nell’ipotesi di concorso tra più circostanze aggravanti ad effetto speciale, poichè l’aggravante di cui all’art. 7 del D.L. n. 152 del 1991 (convertito in L. n. 203 del 1991) è esclusa dal giudizio di bilanciamento, ai fini del calcolo degli aumenti di pena irrogabili, non si applica la regola generale prevista dall’art. 63, comma quarto, cod. pen., bensì l’autonoma disciplina derogatoria di cui al citato art. 7, che prevede l’inasprimento della sanzione da un terzo alla metà. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretto l’aumento di pena per la circostanza aggravante di cui all’art. 7 D.L. n. 152 del 1991, operato sull’ipotesi di estorsione aggravata di cui all’art. 629, comma secondo, cod. pen.).
Cass. pen. n. 40765/2015
Nella determinazione del trattamento sanzionatorio, il giudice di merito non può valutare un fatto integrante una specifica circostanza attenuante o aggravante sia ai fini della quantificazione della pena base che ai fini della sua successiva attenuazione o aggravamento, atteso che, ai sensi dell’art. 63, comma primo cod. pen., l’aumento o la diminuzione della pena previsti da circostanze tipizzate presuppongono una base di calcolo che esclude dai suoi elementi di valutazione lo stesso fatto integrante la circostanza. (In applicazione di tale principio, la Corte ha escluso che l’ingente quantitativo di stupefacente detenuto e i precedenti penali specifici potessero essere addebitati all’imputato sia ai fini della quantificazione della pena base che del suo aggravamento, ai sensi degli artt. 80 T.U. Stup. e 99 cod. pen.).
Cass. pen. n. 17386/2011
Ai fini della verifica dei limiti edittali stabiliti per l’arresto in flagranza, e, più in generale, della determinazione della pena agli effetti dell’applicazione delle misure cautelari, non si deve tener conto della recidiva reiterata.
Cass. pen. n. 40114/2010
Nel concorso tra le aggravanti di cui all’art. 628, comma terzo, c.p. e la recidiva specifica reiterata ed infraquinquennale (art. 99, comma quarto, c.p.), la circostanza più grave, ex art. 63, comma quarto, c.p., va identificata nella recidiva.
Cass. pen. n. 18513/2010
Allorchè concorrano due circostanze ad effetto speciale (nella specie, recidiva specifica di cui all’art. 99, comma secondo, c.p. e aggravante di cui all’art. 585 stesso codice), è illegittima l’applicazione di distinti aumenti di pena, dovendosi, in base al disposto dell’art. 63, comma quarto, c.p., applicare solo l’aumento connesso alla circostanza più grave, con la possibilità, per il giudice, di aumentare la pena così stabilita.
Cass. pen. n. 28258/2008
In tema di concorso di circostanze del reato, il giudizio di bilanciamento ha carattere unitario e riguarda tutte le circostanze coinvolte nel procedimento di comparazione, sia quelle comuni che ad effetto speciale, in quanto la disciplina differenziata per queste ultime riguarda solo l’applicazione degli aumenti o delle diminuzioni di pena e non il concorso di circostanze attenuanti ed aggravanti.
Cass. pen. n. 1182/2008
In tema di cause di estinzione del reato, il principio del favor rei per cui, nel dubbio sulla data di decorrenza del termine di prescrizione, il momento iniziale va fissato in modo che risulti più favorevole all’imputato, va applicato solo in caso di incertezza assoluta sulla data di commissione del reato o, comunque, sull’inizio del termine di prescrizione, ma non quando sia possibile eliminare tale incertezza, anche se attraverso deduzioni logiche, del tutto ammissibili.
Cass. pen. n. 4051/2000
In materia di stupefacenti, l’aggravante prevista per chi induce al reato una persona dedita all’uso di droga, costituisce una circostanza ad effetto speciale, atteso che prevede un aumento edittale della pena da un terzo alla metà e che a tale massimo deve farsi riferimento, non rilevando per contro che il giudice possa discrezionalmente determinare l’aumento nel limite inferiore. (In applicazione di tale principio la Corte ha rigettato il ricorso con il quale si sosteneva, ai fini del computo del termine massimo della custodia cautelare, che l’aggravante de qua non rientri fra quella ad effetto speciale, non determinando automaticamente un aumento di pena superiore al terzo).
Cass. pen. n. 4621/2000
In tema di estorsione, poiché è sufficiente la presenza di una sola aggravante perché si verifichi l’aumento della pena edittale sino a venti anni, il concorso di più circostanze previsto dall’art. 628 c.p. (cui l’art. 629 rinvia per la determinazione della pena) determina un ulteriore aumento della sanzione applicabile, ai sensi del comma quarto dell’art. 63 c.p.
Cass. pen. n. 135/2000
In caso di concorso delle aggravanti speciali previste per la rapina dall’art. 628 terzo comma c.p. (e richiamate per l’estorsione dall’art. 629 secondo comma c.p.) il giudice, ai sensi dell’art. 63 quarto comma c.p., nell’esercizio del suo potere discrezionale può, invece di considerare le stesse assorbite nella sanzione autonomamente stabilita per la rapina o l’estorsione aggravata, aumentare la pena edittale prevista per siffatti delitti sino ad un terzo: trattasi invero di circostanze che hanno carattere autonomo in quanto si diversificano reciprocamente per il loro contenuto, né si pongono in rapporto tale da consentire di ritenerle l’una comprensiva dell’altra.
Cass. pen. n. 16/1998
Ai fini della determinazione dei termini di durata massima della custodia cautelare, nel caso concorrano più circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisca una pena di specie diversa da quella ordinaria di reato o circostanze ad effetto speciale, si deve tener conto, ai sensi dell’art. 63, comma quarto, c.p.p., della pena stabilita per la circostanza più grave, aumenta di un terzo, e tale aumento costituisce cumulo giuridico delle ulteriori pene e limite legale dei relativi aumenti per le circostanze meno gravi del tipo già detto che mantengono la loro natura. (Fattispecie relativa a reato di rapina aggravata a norma dell’art. 628, comma terzo, c.p. con l’ulteriore aggravante di cui all’art. 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203).
Cass. pen. n. 1611/1996
In materia di individuazione dei limiti di pena, anche per quanto riguarda la individuazione dei termini massimi di durata della custodia cautelare, in caso di ricorrenza di circostanze aggravanti, la pena per il delitto tentato deve essere calcolata facendo riferimento al delitto circostanziato tentato e non al delitto tentato circostanziato, deve cioè operarsi la diminuzione di pena prevista per il tentativo dopo aver calcolato gli aumenti per le circostanze aggravanti, siano esse ordinarie che ad effetto speciale o punite con pena autonoma.
Cass. pen. n. 2036/1996
Per la determinazione della pena agli effetti dell’applicazione delle misure cautelari, in caso di concorso delle aggravanti ad effetto speciale del reato di estorsione si deve far riferimento all’art. 629, comma secondo, c.p., che stabilisce la pena della reclusione da sei a venti anni e della multa da lire due milioni a lire sei milioni se concorre «taluna», cioè una sola, delle circostanze indicate nel terzo comma dell’art. 628 c.p. Ne consegue l’applicazione, nell’ipotesi di concorso di due o più delle suddette circostanze, della norma generale di cui all’art. 63, comma quarto, c.p., che prevede il potere del giudice di aumentare la pena, sicché il reato di estorsione rientra nella categoria di quelli puniti con pena superiore ai venti anni di reclusione, per i quali il termine di custodia cautelare per la fase del giudizio è di un anno e sei mesi.
Cass. pen. n. 2125/1996
La disposizione dell’art. 63, comma 4, c.p., che prevede la facoltà del giudice, nel concorso di più circostanze ad effetto speciale, di aumentare la pena stabilita per la circostanza più grave, attiene esclusivamente alla concreta entità del trattamento sanzionatorio all’esito del giudizio di merito, mentre la disciplina della determinazione della pena ex art. 278 c.p.p., siccome ricollegata a esigenze di cautela di natura processuale, è in grado di assicurarne la realizzazione solo attraverso il sistema di calcolo ivi considerato. E invero la circostanza aggravante ad effetto speciale resta ontologicamente tale anche se la norma penale, per ragioni di mitigazione punitiva, attribuisce al giudice la facoltà di aumentare solo fino a un terzo la pena stabilita per la circostanza più grave o di pari gravità. Ne consegue, che ai fini della determinazione della pena edittale, in relazione ai termini di durata massima della custodia cautelare ex art. 303 c.p.p., deve tenersi conto di tutte le eventuali circostanze ad effetto speciale, e non soltanto della più grave di esse. (Fattispecie relativa a reato di estorsione pluriaggravata a norma degli artt. 629, comma 2, c.p., in relazione all’art. 628, comma 3, nn. 1 e 3, c.p.).
Cass. pen. n. 829/1995
La misura della diminuzione della pena per ciascuna delle circostanze attenuanti applicate costituisce l’oggetto di una tipica facoltà discrezionale del giudice di merito, il quale, per adempiere al relativo obbligo di motivazione, non è tenuto ad una analitica enunciazione di tutti gli elementi presi in considerazione, ma può limitarsi alla sola enunciazione dell’elemento o degli elementi resisi determinanti per la soluzione adottata, la quale è insindacabile in sede di legittimità qualora sia immune da vizi logici di ragionamento.
Cass. pen. n. 2024/1994
Il rimedio previsto dall’art. 130 c.p.p. (correzione di errori materiali) non può trovare applicazione quando la correzione richiesta ha per oggetto non già un errore od un’omissione materiale ma un errore concettuale che attiene alla formazione della decisione giudiziale e alla quantificazione della pena e perciò emendabile solo attraverso i normali mezzi di impugnazione. (Principio affermato con riferimento a fattispecie nella quale il ricorrente chiedeva correzione del computo della pena, stabilita con sentenza passata in giudicato, per essere stata calcolata — malgrado la riconosciuta prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti — una sola diminuzione della pena base anziché due, quante, cioè, erano le attenuanti ravvisate).
Cass. pen. n. 8914/1992
L’ipotesi di cui all’art. 73 comma quinto d.p.r. n. 309/90 non costituisce un’autonoma figura di reato, ma ha solo natura giuridica di circostanza attenuante ad effetto speciale (art. 63 c.p.) del reato di cui al primo comma dello stesso articolo. Ne consegue che ai fini della determinazione della competenza per materia, non si tiene conto di tale circostanza a norma dell’art. 4 c.p.p.
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