Art. 742 – Codice di procedura civile – Revocabilità dei provvedimenti

I decreti possono essere in ogni tempo modificati o revocati, ma restano salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca.

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Massime correlate

Cass. civ. n. 30200/2011

Il decreto della corte d'appello, emesso in un procedimento contenzioso avente ad oggetto l'attribuzione di una quota di T.F.R., ai sensi dell'art. 12 bis della legge 1º dicembre 1970, n. 898, ha valore di sentenza ed è idoneo a passare in giudicato, onde non è revocabile ai sensi dell'art. 742 c.p.c. - norma che riguarda i soli procedimenti di volontaria giurisdizione e che si riferisce proprio ai decreti conclusivi di tali procedimenti ma privi del carattere di decisorietà - essendo impugnabile, qualora ne sussistano i presupposti, con l'azione di revocazione di cui all'art. 395 c.p.c. Ne consegue che è inammissibile il ricorso per cassazione proposto avverso il decreto in tal caso emesso dalla corte d'appello su ricorso ex art. 742 c.p.c..

Cass. civ. n. 21190/2005

Il decreto con cui la Corte d'appello provvede, su reclamo delle parti ex art. 739 c.p.c., alla revisione delle condizioni inerenti ai rapporti patrimoniali fra i coniugi divorziati ed al mantenimento della prole, ha carattere decisorio e definitivo, ed è pertanto ricorribile per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., mentre non può essere revocato o modificato ai sensi dell'art. 742 c.p.c., il quale si riferisce unicamente ai provvedimenti camerali privi dei predetti caratteri di decisorietà e definitività; ne consegue che un eventuale provvedimento di revoca o modifica del decreto in questione ai sensi dell'art. 742 c.p.c. deve ritenersi privo di effetti giuridici, in quanto emanato dal giudice in carenza assoluta di potere giurisdizionale, e non è quindi impugnabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost.

Cass. civ. n. 11268/2004

La convalida del trattenimento dello straniero espulso dal territorio dello Stato disposto dal questore ai sensi dell'art. 14 del D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286, non è revocabile a norma dell'art. 742 c.p.c., in quanto tale norma non è invocabile tutte le volte che il provvedimento abbia, come nel caso, carattere decisorio e natura sostanziale di sentenza, non rilevando, in proposito, il richiamo al procedimento in camera di consiglio espresso nell'art. 13 bis, e la menzione, negli artt. 13 e 14 dello stesso decreto, degli artt. 737 ss. c.p.c.; né l'esclusione espressa della reclamabilità per i giudizi di espulsione (art. 13 bis del D.L.vo n. 286 del 1998, come modificato dall'art. 4 del D.L.vo 13 aprile 1999, n. 113), e non per quelli di convalida (art. 14, comma 6 del D.L.vo n. 286 del 1998), vale a consentire, per implicito, la reclamabilità di questi ultimi (la S.C. ha così annullato senza rinvio il provvedimento con il quale il tribunale aveva disposto, su istanza dell'espulso, la revoca del proprio precedente decreto di convalida).

Cass. civ. n. 4353/1993

In tema di provvedimenti di volontaria giurisdizione del giudice tutelare, sempre revocabili o modificabili a norma dell'art. 742 c.p.c., non è ipotizzabile una richiesta di riesame avanzata, anziché al giudice tutelare, al giudice (tribunale ordinario o tribunale per i minorenni) investito della competenza ad esaminare il reclamo (art. 45 disp. att. c.c.), il quale abbia già consumato tale potere respingendo il reclamo in precedenza proposto dal richiedente avverso il provvedimento del predetto giudice monocratico.

Cass. civ. n. 2395/1993

Il provvedimento in camera di consiglio, con il quale il tribunale decide, in materia di definizione delle imprese artigiane e di iscrizione nel relativo albo, sui ricorsi proposti contro le deliberazioni delle Commissioni regionali per l'artigianato, ai sensi dell'art. 7 della L. 8 agosto 1985, n. 443, rientra nell'ambito della volontaria giurisdizione – perché tendente alla tutela di situazioni soggettive riconducibili nella categoria dell'interesse legittimo – comportando un'attività oggettivamente amministrativa, connotata dalla modificabilità e revocabilità dei provvedimenti, ai sensi dell'art. 742 c.p.c., con il conseguente difetto di decisorietà e di idoneità al giudicato. Detto provvedimento deve essere, quindi, disapplicato in sede contenziosa quando difettino la competenza e i presupposti richiesti dalla legge per la sua concessione.

Cass. civ. n. 5173/1989

Il decreto della Corte d'appello con cui a norma dell'art. 801 c.p.c. è attribuita efficacia in Italia ad un provvedimento straniero di adozione di un minore non è revocabile, ai sensi dell'art. 742 c.p.c., atteso che, attribuendo al minore lo status di figlio adottivo, ha carattere decisorio e definitivo e, quindi, natura di sentenza.

Cass. civ. n. 1540/1983

Mentre la competenza a disporre la revoca di un provvedimento di volontaria giurisdizione per un preesistente vizio di legittimità o per un ripensamento sulle ragioni che indussero ad adottarlo spetta allo stesso giudice che lo ha emesso e, quindi, al giudice superiore se il provvedimento revocando sia stato adottato a seguito di reclamo, la competenza a disporre la revisione (totale o parziale) del provvedimento emesso in sede di reclamo, sulla base di fatti sopravvenuti, spetta al giudice competente ad emettere in primo grado il provvedimento stesso.

Cass. civ. n. 2546/1972

Il potere di revoca o di modifica dei provvedimenti di volontaria giurisdizione, al quale si riferisce l'art. 742 c.p.c., spetta unicamente al giudice che ha emesso il provvedimento e non può essere esercitato dal giudice del contenzioso, al quale spetta unicamente un sindacato di mera legittimità e non anche la rivalutazione dei motivi di opportunità o di convenienza che hanno indotto il giudice a provvedere o il riesame dei presupposti in base ai quali lo stesso giudice ha provveduto in un determinato senso. Nei limiti del sindacato di legittimità che il giudice del contenzioso può esercitare in ordine ad un provvedimento di volontaria giurisdizione al fine di disapplicarlo e, quindi, di negarne l'efficacia, rientra la verifica dell'esistenza di un presupposto di legge per l'emanazione del provvedimento, in quanto esso condiziona l'esercizio del potere del giudice nel caso concreto. Rientra in tali limiti anche l'ipotesi in cui il provvedimento sia stato emesso sul falso ed errato presupposto della sussistenza di una situazione di fatto che si è, poi, rivelata insussistente.

Cass. civ. n. 1936/1963

In tema di procedimenti in camera di consiglio, l'art. 742 c.p.c., disponendo che i decreti possono essere in ogni tempo modificati o revocati, restando salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi, in forza di convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca, prevede, ai fini della tutela dei diritti dei terzi, una situazione negoziale che si svolge secondo un ordine cronologico rigoroso, costituito dal provvedimento del giudice, dalla convenzione e poi dal decreto di modificazione o di revoca e ricollega la buona fede del terzo, che deve sussistere al momento della convenzione, alla preesistenza del provvedimento poi modificato o revocato. Pertanto, la norma non trova applicazione nei casi in cui il provvedimento del giudice, anziché anteriore, sia successivo alla convenzione dalla quale derivano i diritti di cui il terzo richiede la tutela. La possibilità di modificazione o di revoca dei provvedimenti pronunziati in camera di consiglio, la quale è giustificata dalla mancanza della cosa giudicata in relazione al loro contenuto non decisorio, non trova limiti neanche nel compimento del negozio rispetto al quale quel provvedimento funziona da presupposto. In tal caso il rigore del principio, che indurrebbe all'annullamento del negozio per il venire meno del suo presupposto, è temperato dall'esigenza della tutela del diritto acquistato dal terzo di buona fede. Siffatta tutela, è, peraltro, ricollegata all'esistenza del provvedimento che ne costituisce il presupposto necessario e indefettibile. In sua mancanza, non è neanche ammissibile un'indagine sulla buona fede del terzo nel caso concreto, non essendo questa in alcun modo configurabile o ipotizzabile.

Cass. civ. n. 3322/1960

A norma dell'art. 742 c.p.c. la revoca, la modificazione e la dichiarazione di invalidità dei provvedimenti di volontaria giurisdizione non incidono sui diritti acquisiti dai terzi, in base ai negozi autorizzati dai provvedimenti stessi, quando i terzi siano in buona fede. Ad escludere la buona fede del terzo non basta l'omesso accertamento dei vizi da cui l'atto sia inficiato, ma occorre la conoscenza dei vizi stessi. L'ignoranza del vizio, infatti, ancorché dipenda da colpa grave, importa sempre buona fede, e non rileva che lo stato d'ignoranza del vizio avrebbe potuto essere eliminato usando una diligenza anche minima. Colui che contrae con persona, che dispone di un provvedimento autorizzativo di volontaria giurisdizione, ed acquista da questa diritti, è terzo rispetto al provvedimento di autorizzazione, al quale è rimasto estraneo. In caso di revoca, di modificazione o di dichiarazione di invalidità di detto provvedimento autorizzativo il terzo può invocare la sua buona fede, cioè l'ignoranza del vizio o della causa di revoca o modificazione, a norma dell'art. 742 c.p.c., sempre che il negozio da lui concluso sia anteriore alla revoca, modificazione o dichiarazione di invalidità del provvedimento di volontaria giurisdizione. Il principio, stabilito dall'art. 742 c.p.c. circa l'inopponibilità ai terzi dei provvedimenti di volontaria giurisdizione, si applica anche alle ipotesi di invalidità dei provvedimenti medesimi per incompetenza del giudice.

Cass. civ. n. 2623/1959

A norma dell'art, 742 c.p.c., la revoca, la modificazione e la dichiarazione d'invalidità dei provvedimenti di volontaria giurisdizione non incidono sui diritti acquistati dai terzi in base ai negozi autorizzati dai provvedimenti stessi, sempre che ricorrano le seguenti condizioni: a) l'esistenza di un provvedimento autorizzativo di volontaria giurisdizione, anche se illegittimo, o viziato, mentre nessun diritto potrebbe derivare al terzo, sia pure di buona fede, da un provvedimento giuridicamente inesistente, mancante di quel minimo di elementi necessari perché possa essere riconosciuto come provvedimento di volontaria giurisdizione; b) che i diritti del terzo sorgano da un negozio giuridico concluso prima della revoca, modificazione o dichiarazione di illegittimità del provvedimento di volontaria giurisdizione; c) che il terzo sia di buona fede, ad escludere la quale basta, perciò, la semplice conoscenza da parte del terzo dei vizi che inficiavano il provvedimento di volontaria giurisdizione. L'accertamento della sussistenza della buona fede nel terzo e della sua conoscenza dei vizi del provvedimento autorizzativo al tempo della conclusione del negozio giuridico impugnato, costituisce un giudizio rimesso insindacabilmente al giudice di merito, come tale incensurabile in cassazione se sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi di logica o di diritto.