Art. 832 – Codice civile – Contenuto del diritto

Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico [Cost. 42, 43, 44].

Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 33645/2022

In caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità, andata perduta, di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto, mediante concessione a terzi dietro corrispettivo, restando, invece, non risarcibile il venir meno della mera facoltà di non uso, quale manifestazione del contenuto del diritto sul piano astratto, suscettibile di reintegrazione attraverso la sola tutela reale.
In tema di risarcimento del danno da occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il proprietario è tenuto ad allegare, quanto al danno emergente, la concreta possibilità di godimento perduta e, quanto al lucro cessante, lo specifico pregiudizio subito (sotto il profilo della perdita di occasioni di vendere o locare il bene a un prezzo o a un canone superiore a quello di mercato), di cui, a fronte della specifica contestazione del convenuto, è chiamato a fornire la prova anche mediante presunzioni o il richiamo alle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza; poiché l'onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti, l'onere probatorio sorge comunque per i fatti ignoti al danneggiante, ma il criterio di normalità che generalmente presiede, salvo casi specifici, alle ipotesi di mancato esercizio del diritto di godimento, comporta che l'evenienza di tali fatti sia tendenzialmente più ricorrente nelle ipotesi di mancato guadagno.
In caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da mancato guadagno è lo specifico pregiudizio subito, rappresentato dall'impossibilità di concedere il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o di venderlo ad un prezzo più conveniente di quello di mercato.
In caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, se il danno da perdita subita di cui il proprietario chiede il risarcimento non può essere provato nel suo preciso ammontare, esso è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato.

Cass. civ. n. 39/2021

Nel caso di occupazione illegittima di un immobile, il danno subito dal proprietario, essendo collegato all'indisponibilità di un bene normalmente fruttifero, è oggetto di una presunzione relativa, che onera l'occupante della prova contraria dell'anomala infruttuosità di quello specifico immobile. (Cassa e decide nel merito, CORTE D'APPELLO ANCONA, 21/02/2018).

Cass. civ. n. 2951/2016

Il diritto al risarcimento dei danni subiti da un bene spetta a chi ne sia proprietario al momento del verificarsi dell'evento dannoso, e, configurandosi come un diritto autonomo rispetto a quello di proprietà, non segue quest'ultimo nell'ipotesi di alienazione, salvo che non sia pattuito il contrario. (Cassa con rinvio, App. Firenze, 09/01/2013)

Cass. civ. n. 23130/2015

Lo "ius aedificandi" trova fonte nel diritto di proprietà, del quale rappresenta una facoltà ex art. 832 c.c., sicché i diritti edificatori possono assumere autonoma rilevanza solo in quanto siano oggetto di un'apposita convenzione stipulata dal proprietario dell'area cui accedono; in assenza di tale convenzione, il trasferimento della proprietà del terreno (nella specie, per espropriazione forzata) comporta anche il trasferimento della capacità edificatoria attuale (nella specie, volumetria edificabile connessa a un piano di lottizzazione). (Rigetta, App. Milano, 18/06/2010).

Cass. civ. n. 14222/2012

In caso di occupazione senza titolo di un immobile altrui, l'esistenza di un danno "in re ipsa" subito dal proprietario, sul presupposto dell'utilità normalmente conseguibile nell'esercizio delle facoltà di godimento e di disponibilità del bene insite nel diritto dominicale, costituisce oggetto di una presunzione "iuris tantum", la quale non può operare ove risulti positivamente accertato che il "dominus" si sia intenzionalmente disinteressato dell'immobile ed abbia omesso di esercitare su di esso ogni forma di utilizzazione. (Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, che aveva liquidato il danno conseguente all'illegittima occupazione di un'autorimessa di proprietà esclusiva con tubazioni condominiali per l'intero periodo di detta occupazione, senza aver accertato se l'atteggiamento del proprietario, il quale si era accorto soltanto dopo circa un anno della presenza delle tubature, non fosse espressione di un intenzionale disinteresse per l'immobile, tale da indurre a circoscrivere il danno al solo periodo successivo alla scoperta dell'usurpazione).

Cass. civ. n. 19307/2008

L'acquirente di un bene è legittimato ad agire per il risarcimento del danno prodotto da un terzo anteriormente alla vendita in quanto dal perfezionamento del trasferimento consegue la titolarità del diritto di credito anche in mancanza di un'espressa cessione dell'azione ed anche se l'acquirente non era a conoscenza della preesistenza del danno salvo che, nell'ambito dell'autonomia negoziale delle parti, l'azione non sia stata riservata al venditore. (Rigetta, App. Catania, 13 dicembre 2002).

Cass. civ. n. 15915/2007

In tema di azione rivendicazione, la proprietà appartiene alla categoria dei diritti "autodeterminati", individuati in base alla sola indicazione del loro contenuto rappresentato dal bene che ne costituisce l'oggetto, cosicché nelle azioni ad essi relative, a differenza delle azioni accordate a tutela dei diritti di credito, la "causa petendi" si identifica con i diritti stessi, mentre il titolo, necessario alla prova del diritto, non ha alcuna funzione di specificazione della domanda. Non può pertanto ravvisarsi la nullità dell'atto di citazione per mancata indicazione del titolo in funzione del quale il bene immobile viene rivendicato. (Cassa con rinvio, App. Napoli, 28 Marzo 2003).

Cass. civ. n. 3634/2007

Ai sensi dell'art. 1069 c.c. le opere necessarie alla conservazione della servitù sono a carico del proprietario del fondo dominante che ha, perciò, facoltà di accedere al fondo servente per realizzarle, riconducendosi tale facoltà, di natura accessoria, al contenuto stesso del diritto di servitù, al cui normale esercizio è, quindi, strumentale. Pertanto, poiché nel nostro ordinamento il godimento del diritto di proprietà — ai sensi dell'art. 832 c.c. — viene esercitato entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dalla legge, nell'ambito dei limiti di natura privatistica rientra anche il divieto di impedire l'accesso al proprio fondo al proprietario del fondo dominante che intenda eseguire le opere previste dal citato art. 1069 c.c.

Cass. civ. n. 3089/2007

La proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei cosidetti diritti autodeterminati, individuati, cioè, sulla base della sola indicazione del relativo contenuto quale rappresentato dal bene che ne forma l'oggetto, con la conseguenza che la "causa petendi" delle relative azioni giudiziarie si identifica con i diritti stessi e non con il relativo titolo che ne costituisce la fonte, la cui eventuale deduzione non svolge, per l'effetto, alcuna funzione di specificazione della domanda, ma è rilevante ai soli fini della prova. (Nella specie, in applicazione di tale principio, è stata ritenuta ininfluente, sotto il profilo della novità della domanda, la circostanza che l'attore, nel richiedere la rimozione di un'aiuola posta dal vicino su una strada, in primo grado avesse dedotto la comproprietà della strada e, in grado di appello, un diritto di serviù di passaggio). (Rigetta, App. Torino, 16 Dicembre 2002).

Cass. civ. n. 24702/2006

I diritti assoluti - reali o di "status" - si identificano in sé e non in base alla loro fonte, come accade per i diritti di obbligazione, sicché, l'attore può mutare il titolo in base al quale chiede la tutela del diritto assoluto senza incorrere nelle preclusioni (artt. 183, 189 e 345 cod. proc. civ.) e negli oneri (art. 292 cod. proc. civ.) della modificazione della "causa petendi", né viene a concretarsi una violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato se il giudice accoglie il "petitum" sulla scorta di un titolo diverso da quello invocato. Infatti, la proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei cosiddetti "diritti autodeterminati", individuati, cioè, in base alla sola indicazione del loro contenuto, rappresentato dal bene che ne costituisce l'oggetto, onde, nelle azioni a difesa di tali diritti, la "causa petendi" si identifica con il diritto stesso (diversamente da quanto avviene in quelle a difesa dei diritti di credito, nelle quali la "causa petendi" si immedesima con il titolo), mentre il titolo, necessario ai fini della prova di esso, non ha alcuna funzione di specificazione della domanda. Ne consegue che, nel corso del giudizio inteso alla tutela del diritto di proprietà dall'altrui esercizio di una veduta, dedotto come illegittimo perché derivante dall'intervenuta trasformazione di un'originaria luce, mediante la condanna del convenuto al ripristino degli accorgimenti impeditivi della veduta previsti dall'art. 901 cod. civ., l'allegazione di un titolo - quale l'insussistenza di una servitù di veduta - diverso rispetto a quello posto originariamente a fondamento della domanda - quale il diritto ad ottenere la conformazione dell'apertura alle caratteristiche della luce - altro non rappresenta se non un'integrazione delle difese, aggiungendosi un ulteriore elemento di valutazione a quello precedentemente dedotto, che non dà luogo alla proposizione di una domanda nuova, così come non implica alcuna rinunzia a che il primo titolo dedotto venga anch'esso se del caso preso in considerazione, e, tanto meno, influisce in alcun modo sulle conclusioni, che restano, comunque, cristallizzate nel medesimo "petitum" consistente nella richiesta di accertamento della lesione del diritto di proprietà e di pronunzia idonea all'eliminazione della situazione lesiva. Conseguentemente, decisa la controversia in primo grado sulla base dell'un titolo, non è preclusa in secondo grado la decisione sulla scorta dell'altro o di entrambi, giacchè trattasi di argomentazioni difensive intese a specificare le ragioni della tutela del diritto reale in discussione che non immutano l'originario "thema decidendum" e possono, pertanto, essere svolte dalla parte interessata non solo nell'atto di appello ma lungo tutto il corso del giudizio di secondo grado. (Rigetta, App. Roma, 10 Novembre 2004).

Cass. civ. n. 26973/2005

Con riferimento alla categoria dei diritti "autodeterminati", ai fini della precisazione della "causa petendi" non è necessaria la corretta indicazione delle norme applicabili al caso e dei relativi istituti giuridici, essendo invece sufficiente la chiara indicazione dei fatti costitutivi del diritto azionato, sicchè sussiste "mutatio libelli" vietata in appello solo quando all'iniziale domanda si sostituisca una pretesa intrinsecamente diversa, sulla quale sia del tutto mancato, in primo grado, il contraddittorio. In particolare, per quanto riguarda la proprietà e gli altri diritti reali di godimento, la "causa petendi" si identifica con il diritto stesso e non, come nei diritti di credito, con il titolo che ne costituisce la fonte, la cui deduzione, necessaria ai soli fini della prova, non ha la funzione di specificazione della domanda. (Nella specie la sentenza di primo grado aveva respinto la domanda di declaratoria della acquisizione di una servitù di passaggio sulla base di titolo contrattuale, mentre quella di secondo grado, confermata dalla S.C., aveva accolto la domanda ritenendo la servitù costituita per destinazione del padre di famiglia, poichè gli elementi di fatto e le vicende giuridiche esposti dall'attore nella domanda inizialmente formulata erano sufficienti a delineare, anche in mancanza di una espressa menzione dell'art. 1062 cod. civ., la destinazione del padre di famiglia quale fatto costitutivo del diritto di transito oggetto della controversia).

Corte cost. n. 153/1977

Sono costituzionalmente illegittime le seguenti disposizioni della L. 11 febbraio 1971, n. 11: a) artt. 4, comma 3, e 15, comma 1 (< >); b) art. 12, comma 1 (< >); c) dell'art. 14, comma 2 (che attribuisce all'affittuario coltivatore diretto la facoltà di esecuzione di miglioramenti che sia in grado di compiere col lavoro proprio e della famiglia senza nemmeno dare comunicazione al proprietario del fondo).

Corte cost. n. 155/1972

La legge 11 febbraio 1971 n. 11, avente per oggetto "nuova disciplina dell'affitto dei fondi rustici", nel dettare negli artt. 3 e 4, primo comma, le nuove norme sulla formazione del canone con riferimento a tutti gli affittuari, siano essi coltivatori diretti o imprenditori non coltivatori, viola l'art. 3 della Costituzione il quale postula che a situazioni differenziate tra loro non possa praticarsi identico trattamento: ed invero, la compressione del beneficio fondiario mentre trova una valida giustificazione se si risolve in un vantaggio per l'affittuario che coltivi direttamente la terra con le forze di lavoro proprie e dei suoi familiari, si presenta invece priva di razionalità quando essa determina un arricchimento dell'affittuario imprenditore che faccia lavorare da altri la terra presa in fitto.

Corte cost. n. 55/1968

Il concetto di proprietà privata non può venire inteso come dominio assoluto ed illimitato sui beni propri, dovendosi invece ritenerlo caratterizzato dall'attitudine ad essere sottoposto, nel suo contenuto, ad un regime determinabile con legge ordinaria. Il legislatore può perfino escludere la proprietà privata di certe categorie di beni, oltre che imporre limitazioni, in via generale, o autorizzare imposizioni in via particolare, le quali peraltro non possono mai eccedere, senza indennizzo, quella portata al di là della quale il sacrificio imposto venga ad incidere sul bene oltre ciò che è connaturale al diritto dominicale, quale viene riconosciuto nell'attuale momento storico, assumendo così carattere espropriativo. I commi secondo e terzo dell'art. 42 Cost. vanno insieme considerati e coordinati per ricavarne, alla stregua di quello che, in base all'ordinamento giuridico attuale, rappresenta il vigente concreto regime di appartenenza dei beni, l'identificazione dei casi nei quali, nell'ipotesi della imposizione di limiti, si verifichi una incidenza negativa a titolo individuale sulla proprietà riconosciuta secondo il regime stesso, ed occorre conseguentemente far luogo all'indennizzo.
La garanzia della proprietà privata è condizionata nel sistema della Cost., dagli artt. 41 al 44, alla subordinazione a fini dichiarati, ora di utilità sociale, ora di funzione sociale, ora di equi rapporti sociali, ora di interesse ed utilità generale. Ciò con maggior ampiezza e vigore di quanto è stabilito negli artt. 832 e 845 c.c., i quali, per il contenuto del diritto di proprietà fondiaria in particolare, richiamano rispettivamente, i limiti e gli obblighi stabiliti "dall'ordinamento giuridico" e le regole particolari per scopi di pubblico interesse. Secondo i concetti sempre più progredienti di solidarietà sociale, resta escluso che il diritto di proprietà possa venire inteso come dominio assoluto ed illimitato sui beni propri, dovendosi invece ritenerlo caratterizzato dall'attitudine di essere sottoposto nel suo contenuto, ad un regime che la Costituzione lascia al legislatore di determinare. In tale determinazione il legislatore può persino escludere la proprietà privata di certe categorie di beni, come può imporre, sempre per categorie di beni, talune limitazioni in via generale, ovvero autorizzare imposizioni a titolo particolare, con diversa graduazione e più o meno accentuata restrizione delle facoltà di godimento e di disposizione. Ma tali imposizioni a titolo particolare non possono mai eccedere, senza indennizzo, quella portata al di là della quale il sacrificio imposto venga ad incidere sul bene, oltre ciò che è connaturale al diritto dominicale, quale viene riconosciuto nell'attuale momento storico. Al di là di tale confine la limitazione assume carattere espropriativo. I commi 2 e 3 dell'art. 42 vanno insieme considerati e coordinati per ricavarne - alla stregua di quello che in base all'ordinamento giuridico attuale rappresenta il vigente, concreto regime di appartenenza dei beni - l'identificazione dei casi nei quali, incidendo essi negativamente, a titolo individuale sulla proprietà riconosciuta, secondo il regime stesso, occorre far luogo all'indennizzo.