10 Gen Art. 2638 — Ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza
Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società o enti [ 2639 ] e gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza [ 2545 quaterdecies, 2547, 2619 ], o tenuti ad obblighi nei loro confronti, i quai nelle comunicazioni alle predette autorità previste in base alla legge, al fine di ostacolare l’esercizio delle funzioni di vigilanza, espongono fatti materiali non rispondenti al vero, ancorchè oggetto di valutazioni [ 2426 ], sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei sottoposti alla vigilanza ovvero, allo stesso fine, occultano con altri mezzi fraudolenti, in tutto o in parte fatti che avrebbero dovuto comunicare, concernenti la situazione medesima, sono puniti con la reclusione da uno a quattro anni. La punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi [ 2640 ].
Sono puniti con la stessa pena gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili socetari, i sindaci e i liquidatori di società, o enti e gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza o tenuti ad obblighi nei loro confronti, i quali, in qualsiasi forma, anche omettendo le comunicazioni dovute alle predette autorità, consapevolmente ne ostacolano le funzioni.
La pena è raddoppiata se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.
Agli effetti della legge penale, le autorità e le funzioni di risoluzione di cui al decreto di recepimento della direttiva 2014/59/UE sono equiparate alle autorità e alle funzioni di vigilanza.
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”8″]
Massime correlate
Cass. pen. n. 42778/2017
Integra il reato di cui all’art. 2638 cod. civ. la condotta dell’amministratore di un istituto di credito il quale, attraverso l’artificiosa rappresentazione nel patrimonio di vigilanza di elementi positivi fittizi, costituiti da azioni ed obbligazioni acquistate da terzi con finanziamenti erogati in loro favore dallo stesso istituto creditizio, senza che tale circostanza venisse resa nota agli organi di vigilanza, abbia in tal modo occultato l’effettiva situazione economica della banca amministrata e determinato un effettivo e rilevante ostacolo alle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza. (Fattispecie in tema di concorso formale tra le ipotesi previste dal primo e dal secondo comma dell’art. 2638 cod. civ.).
Cass. civ. n. 8855/2017
Gli artt. 2368 c.c. e 190 del TUF, quest’ultimo in relazione al precedente art. 10, puniscono entrambi, il primo sotto il profilo penale, il secondo sotto l’aspetto amministrativo, la medesima condotta, consistente nella trasmissione alla CONSOB di una relazione, dal contenuto non veritiero, inerente verifiche di conformità sul collocamento di un prestito obbligazionario, con conseguente applicazione della sola disciplina penale, ex art. 9, comma 1, della l. n. 689 del 1981.
Cass. pen. n. 6884/2016
Il delitto di cui al primo comma dell’art. 2638 cod. civ. è un reato di mera condotta, integrato sia dall’omessa comunicazione di informazioni dovute che dal ricorso a mezzi fraudolenti volti ad occultare l’esistenza di fatti rilevanti per la situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, mentre il reato previsto dal secondo comma è un delitto di evento, che richiede la verificazione di un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di vigilanza, quale conseguenza di una condotta che può assumere qualsiasi forma, tra cui anche la mera omessa comunicazione di informazioni dovute; ne consegue che tra le due fattispecie è configurabile un concorso formale ex art. 81, comma primo, cod. pen., qualora la condotta illecita si concretizzi nella omessa comunicazione alle autorità di vigilanza di informazioni dovute. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto integrato il concorso formale tra i reati previsti dai primi due commi dell’art. 2638 cod. civ. nella condotta dei legali rappresentanti di una società cooperativa che avevano omesso di indicare nei bilanci societari una fidejussione rilasciata in favore di altra società, altresì omettendo di darne comunicazione al competente organo di revisione).
Cass. pen. n. 49362/2012
Il reato di ostacolo alle funzioni di vigilanza di autorità pubbliche prvisto dal secondo comma dell’art. 2638 cod. civ. è integrato anche dalla mera omessa comunicazione di informazioni dovute.
Cass. pen. n. 40164/2010
Ai fini della sussistenza del reato di ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza mediante l’occultamento di fatti è non solo necessario che gli stessi siano rilevanti per la situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società e che la loro comunicazione sia effettivamente pertinente all’interpello dell’ente di vigilanza, ma altresì che la condotta sia corredata dal ricorso a mezzi fraudolenti e non si risolva nel mero silenzio sulla loro esistenza.
Cass. pen. n. 17290/2006
Integra il reato di cui all’art. 2638 c.c. (Ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza), la condotta del presidente di un istituto di credito soggetto alla vigilanza che invii alla Banca d’Italia una nota, ancorché successiva all’ispezione, contenente controdeduzioni al verbale ispettivo, con la quale si espongano fatti materiali, oggetto di valutazioni, non rispondenti al vero — nella fattispecie consistenti nelle condizioni economiche e finanziarie che si riflettono sulle previsioni di perdite di un’azienda sottoposta a sequestro di prevenzione — considerato che si tratta di comunicazione pertinente e rilevante al fine dell’esercizio della funzione di vigilanza e che alla falsità dei fatti esposti consegue l’ostacolo alla vigilanza stessa.
Cass. pen. n. 44702/2005
In tema di false comunicazioni all’autorità di vigilanza, premesso che esiste continuità normativa tra la fattispecie prevista dall’abrogato art. 134 del D.L.vo n. 385/1993 e quella prevista dall’art. 2638 c.c., quale novellato dal D.L.vo n. 61/2002, deve ritenersi tuttora configurabile il reato anche nel caso in cui la falsità sia contenuta in giudizi estimativi delle poste di bilancio, atteso che dal novero dei «fatti materiali» indicati dall’attuale norma incriminatrice come possibile oggetto della falsità, vanno escluse soltanto le previsioni o congetture prospettate come tali, vale a dire quali apprezzamenti di carattere squisitamente soggettivo, e l’espressione, riferita agli stessi fatti, «ancorché soggetti a valutazione» va intesa in senso concessivo, per cui, in ultima analisi, l’oggetto della vigente norma incriminatrice viene a corrispondere a quello della precedente, che prevedeva come reato la comunicazione all’autorità di vigilanza di «fatti non corrispondenti al vero». (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha annullato la decisione di merito che aveva escluso la configurabilità del reato in un caso in cui la falsità era stata ravvisata nella dolosa sopravalutazione della posta di bilancio di un istituto bancario relativa ai crediti vantati nei confronti della clientela per avvenuta concessione di mutui e risultati, in effetti, di difficile o impossibile recupero).
Cass. pen. n. 21067/2004
Sussiste successione di leggi meramente modificativa, ex art. 2, comma terzo, c.p., tra la fattispecie di cui all’art. 134 D.L.vo n. 385 del 1993 e quella contenuta nell’art. 2638 c.c., introdotta dal D.L.vo n. 61 del 2002, in quanto la nuova normativa non ha comportato l’abolizione generalizzata delle anteriori fattispecie criminose, ma soltanto la successione di nuove norme incriminatrici che hanno parzialmente modificato il contenuto delle fattispecie di reato, allargando l’ambito della punibilità e modificando l’entità della pena. Ne deriva che ai fatti commessi nella vigenza dell’art. 134 D.L.vo n. 385 del 1993 è applicabile la disciplina contenuta nel vigente art. 2638 c.c., che prevede un trattamento più favorevole. (In applicazione di tale principio la S.C. ha ritenuto integrata la fattispecie, di cui al vigente art. 2638 c.c., nella condotta — già sanzionata dal previgente art. 134 succitato — di colui che, nella qualità di direttore di banca, abbia comunicato alla Banca d’Italia fatti non veri, omettendo di indicare perdite conseguenti ad una data operazione, al fine di ostacolare, e di fatto ostacolando, l’esercizio delle funzioni di vigilanza. In motivazione la S.C. ha, inoltre, evidenziato che sia la norma previgente che quella vigente descrivono un reato di pericolo che ha per oggetto l’esposizione, da parte dell’autore, di fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazione, sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei sottoposti alla vigilanza; che nel testo previgente era prevista l’omissione mediante «nascondimento» la quale costituisce un’ipotesi di «omissione fraudolenta» prevista nel nuovo testo ed, infine, che comune alle ipotesi contemplate nelle due fattispecie è l’elemento soggettivo che nel prevedere il fine «di ostacolare le funzioni di vigilanza» integra un’ipotesi di dolo specifico).
Cass. pen. n. 1252/2003
Tra la fattispecie di reato prevista dall’art. 134 D.L.vo 1 settembre 1993, n. 385 (in tema di tutela dell’attività di vigilanza bancaria e finanziaria) e quella prevista dall’art. 2638 c.c., così come novellato dall’art. 1 D.L.vo 11 aprile 2002, n. 61, sussiste rapporto di continuità normativa e non di abrogazione. La nuova norma tutela, infatti, lo stesso interesse giuridico, consistente nella correttezza dei rapporti tra ente controllato ed ente controllante al fine di consentire la piena legittimità ed efficacia dell’attività di controllo. Si differenzia dalla precedente per ampiezza di contenuto in quanto ha aggiunto, tra i soggetti attivi, i direttori generali, i sindaci ed i liquidatori e si riferisce ad attività di controllo di autorità pubbliche di vigilanza anche diverse dalla Banca d’Italia, cui si riferiva esclusivamente il menzionato art. 134. Le differenze tra le due norme non sono, dunque, strutturali, ma attengono a diverse modalità di difesa dello stesso bene. Essendovi continuità normativa, per i fatti pregressi deve essere applicata, ai sensi dell’art. 2, comma terzo, c.p., la norma più favorevole, da individuarsi nella nuova fattispecie, previa verifica che la concreta contestazione del fatto sia tale da integrare il reato anche nella nuova formulazione.
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