10 Gen Art. 2043 — Risarcimento per fatto illecito
Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno [ 2058 ].
[adrotate group=”6″]
Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”8″]
Massime correlate
Cass. civ. n. 2483/2018
In tema di risarcimento del danno per fatto illecito, quanto più le conseguenze della condotta altrui sono suscettibili di essere previste e superate attraverso l’adozione, da parte dello stesso danneggiato, delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze del caso concreto, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del suo comportamento imprudente nella produzione del danno, fino al punto di interrompere il nesso eziologico tra condotta e danno quando lo stesso comportamento sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale. (Nella fattispecie, da inquadrarsi all’interno dell’art. 2043 c.c., la S.C., accogliendo il ricorso, ha ritenuto che la Corte d’Appello avesse omesso di verificare e valutare l’incidenza causale della condotta di una bambina nove anni, caduta da un precipizio situato a cinque metri dalla sede stradale, rispetto alla responsabilità da condotta omissiva colposa dell’ente pubblico territoriale.).
Cass. civ. n. 651/2018
Con riferimento agli interessi pretensivi, l’ingiustizia del danno si configura in relazione alla consistenza della protezione che l’ordinamento riserva all’istanza di ampliamento della sfera giuridica del pretendente, essendo necessario che egli sia titolare non già di una mera aspettativa, bensì di una situazione suscettibile di determinare un oggettivo affidamento circa la consecuzione, secondo la disciplina applicabile ed un criterio di normalità, di un esito favorevole.
Cass. civ. n. 30922/2017
In tema di responsabilità civile, la comparazione tra causa umana imputabile e causa naturale è esclusivamente funzionale a stabilire, in seno all’accertamento della causalità materiale, la valenza assorbente dell’una rispetto all’altra, sicché non può operarsi una riduzione proporzionale della responsabilità in ragione della minore gravità dell’apporto causale del danneggiante, in quanto una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile.
Cass. civ. n. 27800/2017
La responsabilità della P.A., ai sensi dell’art. 2043 c.c., per l’esercizio illegittimo della funzione pubblica, è configurabile qualora si verifichi un evento dannoso che incida su un interesse rilevante per l’ordinamento e che sia eziologicamente connesso ad un comportamento caratterizzato da dolo o colpa, non essendo sufficiente la mera illegittimità dell’atto a determinarne automaticamente l’illiceità, sicché il criterio di imputazione è correlato ad una più complessa valutazione, estesa all’accertamento dell’elemento soggettivo e della connotazione dell’azione amministrativa come fonte di danno ingiusto.
Cass. civ. n. 27524/2017
In tema di responsabilità civile, qualora la produzione di un evento dannoso risulti riconducibile alla concomitanza di una condotta umana e di una causa naturale, l’autore del fatto illecito risponde, in base ai criteri della causalità naturale, di tutti i danni che ne sono derivati, a nulla rilevando che gli stessi siano stati concausati anche da eventi naturali, che possono invece rilevare ai fini della stima del danno (causalità giuridica); in particolare, in caso di danno alla salute, qualora il danneggiato sia affetto da una patologia invalidante pregressa ed irreversibile, il danno risarcibile deve essere determinato considerando sia la differenza tra lo stato di invalidità complessivamente presentato dal danneggiato dopo il fatto illecito e lo stato patologico pregresso, sia la situazione che si sarebbe determinata se non fosse intervenuto il fatto lesivo imputabile. (Nella specie, relativa all’investimento di un pedone già affetto da invalidità per disturbi psichici, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che non aveva ridotto la responsabilità del conducente, ma escluso dal novero dei danni risarcibili l’invalidità di cui la vittima, comunque, sarebbe stata portatrice anche se non fosse stata investita).
Cass. civ. n. 25644/2017
Nell’ipotesi di un contratto di appalto pubblico divenuto inefficace per effetto dell’annullamento dell’aggiudicazione da parte dell’organo di controllo, la P.A. è tenuta al risarcimento del danno per le perdite e i mancati guadagni subiti dal privato aggiudicatario, qualificandosi tale responsabilità come “da contatto qualificato” tra le parti, assimilabile anche se non coincidente con quella di tipo contrattuale, in quanto derivante dalla violazione da parte dell’amministrazione del dovere di buona fede, di protezione e di informazione che ha comportato la lesione dell’affidamento incolpevole del privato sulla regolarità e legittimità dell’aggiudicazione. Ne consegue, pertanto, l’applicabilità del termine decennale di prescrizione ex art. 2946 c.c., che decorre dalla data dell’illecito e che è da considerarsi interrotto a seguito dell’impugnazione da parte del privato dell’atto amministrativo ritenuto illegittimo, purché la P.A., chiamata a risarcire il danno, sia stata parte del processo amministrativo.
Cass. civ. n. 22801/2017
In tema di responsabilità civile, qualora la produzione di un evento dannoso possa apparire riconducibile alla concomitanza di più fattori causali, ognuno di questi deve essere autonomamente apprezzato per determinare in che misura abbia contribuito al verificarsi del danno, sia che abbia operato come concausa, sia che abbia dato luogo ad un autonomo segmento causale provocando soltanto un aggravamento delle conseguenze pregiudizievoli.
Cass. civ. n. 92/2017
In presenza di fatti imputabili a più persone, coevi o succedutisi nel tempo, deve essere riconosciuta a tutti un’efficacia causativa del danno, ove abbiano determinato una situazione tale che, senza l’uno o l’altro di essi, l’evento non si sarebbe verificato, mentre deve attribuirsi il rango di causa efficiente esclusiva ad uno solo dei fatti imputabili quando lo stesso, inserendosi quale causa sopravvenuta nella serie causale, interrompa il nesso eziologico tra l’evento dannoso e gli altri fatti, ovvero quando il medesimo, esaurendo sin dall’origine e per forza propria la serie causale, riveli l’inesistenza, negli altri fatti, del valore di concausa e li releghi al livello di occasioni estranee. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che ha ritenuto egualmente responsabili del danno subito dai creditori di un fallimento sia il curatore, per non avere compilato il modulo di autorizzazione al prelievo anche con le generalità dell’effettivo beneficiario del pagamento, sia la banca presso la quale era depositato l’attivo realizzato dalla procedura, per avere indebitamente consegnato ad un collaboratore del curatore un assegno poi pagato a soggetto non creditore).
Cass. civ. n. 47/2017
In tema di responsabilità civile, applicati nella verifica del nesso causale tra la condotta illecita ed il danno i principi posti dagli artt. 40 e 41 c.p., e fermo restando il diverso regime probatorio tra il processo penale, ove vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio”, e quello civile, in cui opera la regola della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non”, lo standard di cd. certezza probabilistica in materia civile non può essere ancorato esclusivamente alla cd. probabilità quantitativa della frequenza di un evento, che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato, secondo la cd. probabilità logica, nell’ambito degli elementi di conferma, e, nel contempo, nell’esclusione di quelli alternativi, disponibili in relazione al caso concreto.
Cass. civ. n. 24295/2016
Ove sia fatta valere, a fondamento della domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c. nei confronti della P.A., la lesione di un interesse pretensivo, – concretantesi, nel caso di specie, nella preclusione della possibilità di partecipazione a gare pubbliche per la illegittima mancata iscrizione dell’impresa all’Albo nazionale costruttori per le categorie di lavori ed importi indicati – occorre valutare, sulla base degli elementi di fatto forniti dal danneggiato ed in via presuntiva e probabilistica, la sussistenza “ex ante” di concrete e non ipotetiche possibilità di conseguire vantaggi economici apprezzabili; l’accertamento e la liquidazione di tale perdita va condotta in via equitativa ed il giudice deve dare conto del processo logico e valutativo seguito.
Cass. civ. n. 4439/2014
L’errore compiuto dal giudice di merito nell’individuare la regola giuridica in base alla quale accertare la sussistenza del nesso causale tra fatto illecito ed evento è censurabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., mentre l’eventuale errore nell’individuazione delle conseguenze che sono derivate dall’illecito, alla luce della regola giuridica applicata, costituisce una valutazione di fatto, come tale sottratta al sindacato di legittimità se adeguatamente motivata.
Cass. civ. n. 2422/2014
Gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano sono la condotta, l’elemento psicologico, il danno ingiusto e il nesso causale. Ne consegue che, ove il giudice ritenga insussistente uno qualsiasi di tali elementi, la domanda di risarcimento del danno va rigettata senza necessità di accertare la sussistenza degli altri.
Cass. civ. n. 759/2014
Ai fini della liquidazione del danno patrimoniale futuro, patito dai genitori per la morte del figlio in conseguenza del fatto illecito altrui, è necessaria la prova, sulla base di circostanze attuali e secondo criteri non ipotetici ma ragionevolmente probabilistici, che essi avrebbero avuto bisogno della prestazione alimentare del figlio, nonché del verosimile contributo che il figlio avrebbe versato per le necessità della famiglia.
Cass. civ. n. 12401/2013
In tema di responsabilità civile, poiché l’omissione di un certo comportamento rileva, quale condizione determinativa del processo causale dell’evento dannoso, soltanto quando si tratti di omissione di condotta imposta da una norma giuridica specifica (omissione specifica), ovvero, in relazione al configurarsi della posizione del soggetto cui si addebita l’omissione, siccome implicante l’esistenza a suo carico di particolari obblighi di prevenzione dell’evento poi verificatosi e, quindi, di un generico dovere di intervento (omissione generica) in funzione dell’impedimento di quell’evento, il giudizio relativo alla sussistenza del nesso causale non può limitarsi alla mera valutazione della materialità fattuale, bensì postula la preventiva individuazione dell’obbligo specifico o generico di tenere la condotta omessa in capo al soggetto; l’individuazione di tale obbligo si connota, pertanto, come preliminare all’apprezzamento di una condotta omissiva sul piano della causalità giuridica, nel senso che, se prima non si individua, in relazione al comportamento che non risulti tenuto, il dovere generico o specifico che lo imponeva, non è possibile apprezzare l’omissione del comportamento sul piano causale.
Cass. civ. n. 4043/2013
In tema di responsabilità civile, perché sorga un’obbligazione risarcitoria aquiliana occorre non soltanto un fatto lesivo, retto dalla causalità materiale, ma anche un danno conseguenza di questo, retto dalla causalità giuridica, la cui imputazione presuppone il riscontro di alcuna delle fattispecie normative ex artt. 2043 e segg. c.c., consistenti tutte nella descrizione di un nesso, che leghi storicamente un evento ad una condotta, a cose o ad accadimenti di altra natura, collegati con una particolare relazione al soggetto chiamato a rispondere.
Cass. civ. n. 2637/2013
Il risarcimento del danno da fatto illecito può derivare solo da comportamenti ritenuti illeciti e sanzionabili nel momento in cui si pone in essere la condotta, in quanto nessuno può essere assoggettato a sanzione in relazione a comportamenti che la legge non considerava illeciti al tempo in cui il soggetto ha agito. (Principio enunciato con riferimento a condotte poste in essere prima della data di deposito di sentenze della Corte di giustizia CE, che prevedevano un aggravamento della responsabilità rispetto alla disciplina in vigore alla data in cui erano stati posti in essere i comportamenti allegati a fondamento della domanda risarcitoria).
Cass. civ. n. 13693/2012
L’affermazione dell’esistenza di un nesso causale tra due fenomeni costituisce sempre il frutto di un’attività di giudizio e valutazione, e non già di semplice percezione di un fatto concreto. Ne consegue che la prova testimoniale non può mai avere ad oggetto l’affermazione o la negazione dell’esistenza del nesso di causalità tra una condotta ed un fatto illecito, ma può solo limitarsi a descrivere i fatti obiettivi, restando poi riservato al giudice stabilire se quei fatti possano essere stati la causa del danno.
Cass. civ. n. 9528/2012
In materia di rapporto di causalità nella responsabilità extracontrattuale, in base ai principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p., qualora la condotta abbia concorso, insieme a circostanze naturali, alla produzione dell’evento, e ne costituisca un antecedente causale, l’agente deve rispondere per l’intero danno, che altrimenti non si sarebbe verificato. Non sussiste, invece, nessuna responsabilità dell’agente per quei danni che non dipendano dalla sua condotta, che non ne costituisce un antecedente causale, e si sarebbero verificati ugualmente anche senza di essa, né per quelli preesistenti. Anche in queste ultime ipotesi, peraltro, debbono essere addebitati all’agente i maggiori danni, o gli aggravamenti, che siano sopravvenuti per effetto della sua condotta, anche a livello di concausa, e non di causa esclusiva, e non si sarebbero verificati senza di essa, con conseguente responsabilità dell’agente stesso per l’intero danno differenziale.
Cass. civ. n. 7272/2012
Affinché i genitori di una persona di giovane età, deceduta per colpa altrui, possano ottenere il risarcimento del danno patrimoniale per la perdita degli emolumenti che il figlio avrebbe loro verosimilmente elargito una volta divenuto economicamente autosufficiente, non è sufficiente dimostrare né la convivenza tra vittima ed aventi diritto, né la titolarità di un reddito da parte della prima, ma è necessario dimostrare o che la vittima contribuiva stabilmente ai bisogni dei genitori, ovvero che questi, in futuro, avrebbero verosimilmente e probabilmente avuto bisogno delle sovvenzioni del figlio.
Cass. civ. n. 4253/2012
In tema di danno patrimoniale conseguente alla morte di un congiunto per fatto illecito addebitabile ad un terzo, è risarcibile il pregiudizio subito per effetto del venir meno di prestazioni aggiuntive, in denaro o in altre forme comportanti un’utilità economica, erogate in vita dal congiunto deceduto, spontaneamente e in assenza di obbligo giuridico, ai figli o ai nipoti, a condizione che preesistesse una situazione di convivenza (ovvero una concreta pratica di vita, in cui rientri l’erogazione di provvidenze all’interno della famiglia allargata), in mancanza della quale, non essendo altrimenti prevedibile con elevato grado di certezza un beneficio durevole nel tempo, non può sussistere perdita che si risolva in un danno patrimoniale.
Cass. civ. n. 4172/2012
La responsabilità della P.A., ai sensi dell’art. 2043 c.c., per l’esercizio illegittimo della funzione pubblica è configurabile qualora si verifichi un evento dannoso incidente su un interesse rilevante per l’ordinamento ed eziologicamente connesso ad un comportamento della p.a. caratterizzato da dolo o colpa, non essendo sufficiente la mera illegittimità dell’atto a determinarne automaticamente l’illiceità. Ne consegue che l’annullamento dell’atto lesivo (nella specie il provvedimento di contestazione di violazioni in materia di pesca, poi annullato dall’autorità giudiziaria a seguito della normativa sopravvenuta) non è sufficiente ad integrare il fondamento di una domanda risarcitoria, dovendosi indagare anche sull’elemento soggettivo (dolo o colpa) nella condotta della p.a.
Cass. civ. n. 3876/2012
In tema di risarcimento del danno, affinché una condotta commissiva o omissiva possa essere fonte di responsabilità, ai sensi dell’art. 2043 c.c., è necessario che sia configurabile in capo al responsabile un obbligo giuridico di impedire l’evento dannoso, che può nascere, oltre che da una norma di legge o da una previsione contrattuale, anche da una specifica situazione che esiga una determinata attività a tutela di un diritto altrui, senza che sia astrattamente configurabile per il solo fatto che il preteso responsabile abbia posto in essere un’attività lecita, dalla quale siano derivati al terzo pregiudizi che questi, con l’uso dell’ordinaria diligenza nella cura del proprio bene danneggiato, avrebbe potuto evitare. (Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto il convenuto responsabile delle infiltrazioni di acqua piovana causate dalla rimozione di una tettoia di copertura, posta all’interno di un’area di sua proprietà esistente nello spazio fra i fabbricati abitativi delle due parti, non potendosi considerare in sé atto lesivo l’esecuzione di detta opera astrattamente legittima, né rimproverare il proprietario dell’area prima coperta, in mancanza di eventuali specifici obblighi, per la mancata adeguata impermeabilizzazione del relativo pavimento).
Cass. civ. n. 2085/2012
In tema di responsabilità per omissione, il giudice, nel valutare la c.d. causalità omissiva, deve verificare che l’evento non si sarebbe verificato se l’agente avesse posto in essere la condotta doverosa impostagli, con esclusione di fattori alternativi, ed il relativo accertamento deve essere condotto attraverso l’enunciato “controfattuale”, ponendo al posto dell’omissione il comportamento alternativo dovuto, onde verificare se la condotta doverosa avrebbe evitato il danno lamentato dal danneggiato. (Nella specie, relativa al danno riportato dal dipendente di un’impresa scivolato sui gradini di una scala priva di corrimano, la cui istallazione è obbligatoria ex art. 16 del d.p.r. n. 547 del 1955, la Corte, cassando la sentenza di secondo grado, ha ritenuto che l’onere della prova fosse stato assolto dal danneggiato con la dimostrazione degli elementi costitutivi del fatto).
Cass. civ. n. 12408/2011
I criteri di liquidazione del danno biologico previsti dall’art. 139 cod. ass., per il caso di danni derivanti da sinistri stradali, costituiscono oggetto di una previsione eccezionale, come tale insuscettibile di applicazione analogica nel caso di danni non derivanti da sinistri stradali.
Cass. civ. n. 12278/2011
Il risarcimento del danno da uccisione di un prossimo congiunto spetta non soltanto ai membri della famiglia legittima della vittima, ma anche a quelli della famiglia naturale, come il convivente “more uxorio” ed il figlio naturale non riconosciuto, a condizione che gli interessati dimostrani la sussistenza di un saldo e duraturo legame affettivo tra essi e la vittima assimilabile al rapporto coniugale.
Cass. civ. n. 5120/2011
L’attività della P.A., anche nel campo della pura discrezionalità, deve svolgersi nei limiti posti della legge e dal principio primario del “neminem laedere”, di cui all’art. 2043 c.c.; è, pertanto, consentito al giudice ordinario accertare se vi sia stato, da parte della stessa P.A., un comportamento doloso o colposo, che, in violazione della norma e del principio indicati abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo. Infatti, stanti i principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione di cui all’art. 97 Cost., la P.A. è tenuta a subire le conseguenze stabilite dall’art. 2043 c.c., ponendosi tali principi come limiti esterni alla sua attività discrezionale. Ne consegue che è correttamente motivata la sentenza di merito la quale condanni l’amministrazione finanziaria al risarcimento del danno per avere, nonostante le diffide, tardivamente annullato, in sede di autotutela, e solo a seguito di ulteriori sollecitazioni del commercialista del contribuente, un atto impositivo illegittimamente emesso, così causando al contribuente medesimo un pregiudizio patrimoniale rappresentato dalle spese sostenute per essersi rivolto al detto professionista e per essere stato costretto a recarsi più volte a colloquio presso gli uffici dell’amministrazione.
Cass. civ. n. 25395/2010
In tema di azione avanti all’A.G.A. tendente ad ottenere, nei confronti della P.A., il risarcimento del danno da attività provvedimentale illegittima, il principio della non necessità della pregiudiziale impugnativa del provvedimento amministrativo, già affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione con riferimento al sistema normativo conseguente alla legge 21 luglio 2000, n. 205, è confermato dall’art. 30 del d.l.vo 2 luglio 2010, n. 104 (c.d. codice del processo amministrativo) secondo cui: a) l’azione di condanna della P.A. può essere proposta contestualmente ad altra azione o, nei soli casi di giurisdizione esclusiva e nei casi di cui al presente articolo, anche in via autonoma (comma 1); b) può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria (comma 2); c) la domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo (comma 3).
Cass. civ. n. 16123/2010
In tema di responsabilità civile, il nesso causale è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 c.p., per il quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all’interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano – ad una valutazione “ex ante” – del tutto inverosimili, ferma restando, peraltro, la diversità del regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi: nel senso che, nell’accertamento del nesso causale in materia civile, vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, mentre nel processo penale vige la regola della prova `oltre il ragionevole dubbio”. Ne consegue, con riguardo alla responsabilità professionale del medico, che, essendo quest’ultimo tenuto a espletare l’attività professionale secondo canoni di diligenza e di perizia scientifica, il giudice, accertata l’omissione di tale attività, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell’evento lesivo e che, per converso, la condotta doverosa, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito il verificarsi dell’evento stesso.
Cass. civ. n. 13830/2010
In tema di responsabilità civile, affinché la violazione di una norma possa costituire causa o concausa di un evento, é necessario che essa sia preordinata ad impedirlo; in caso contrario la condotta trasgressiva del contravventore assume autonoma rilevanza giuridica, non perd costitutiva di un rapporto di causalità con l’evento, in relazione al quale diviene un mero antecedente storico occasionale. (Nella specie, relativa ad un sinistro mortale occorso ad un soggetto che, alla guida della sua auto, era stato trafitto da una sbarra di ferro posta in corrispondenza dell’accesso all’argine di un fiume, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto sussistente la responsabilità della P.A. che aveva la custodia, cura e manutenzione dell’argine e degli impianti e dispositivi ad essi inerenti, essendo stato accertato sia che il divieto di transito era stato apposto per impedire di accedere alle sommità arginali del fiume utilizzandole come strada e non per impedire di avvicinarsi alla sbarra, posta dopo il cartello e priva di un sistema di fissaggio che, se adottato, sarebbe stato idoneo ad impedire l’evento, sia che la mobilità di tale sbarra era stata la causa esclusiva dello sfondamento del parabrezza dell’auto, sicché la trasgressione del conducente al divieto di transito era degradata a mera occasione dell’evento).
Cass. civ. n. 13431/2010
In tema di risarcimento del danno, i postumi d’invalidità personale di piccola entità (c.d. micropermanente) – in quanto non superiori al 10 per cento – non incidendo sulla capacità del danneggiato di produrre reddito, non hanno rilevanza sul danno di natura patrimoniale, ma riguardando la menomazione del bene salute possono essere valutati soltanto sotto l’aspetto del danno biologico, salva la prova contraria, fondata su specifiche circostanze, che essi abbiano prodotto conseguenze anche sulla capacità lavorativa specifica e, quindi, anche un danno patrimoniale, il quale, però, non può essere allegato con argomentazioni apodittiche ed astratte e, come tali, inammissibili.
Cass. civ. n. 10074/2010
Il diritto al risarcimento dei danno patrimo¬niale da lucro cessante non può farsi discendere in modo automatico dall’accertamento dell’invalidità permanente, poiché esso sussiste solo se tale invalidità abbia prodotto una riduzione della capacità lavorativa specifica. A tal fine, danneggiato è tenuto a dimostrare, anche tramite presunzioni, di svolgere un’attività produttiva di reddito e di non aver mantenuto, dopo l’infortunio, una capacità generica di attendere ad altri lavori confacenti alle sue attitudini personali; trattandosi di minore, il risarcimento di tale danno andrà calcolato sulla base di una previsione della sua futura attività lavorativa, da compiersi tenendo conto degli studi effettuati e delle sue inclinazioni, nonché della posizione economico-sociale della famiglia di appartenenza.
Cass. civ. n. 7352/2010
In tema di accertamento probatorio, qualora l’accertamento abbia natura medico-legale e sia diretto a verificare la dipendenza causale di una determinata malattia rispetto ad un’attività lavorativa, trova applicazione il criterio secondo il quale deve ritenersi acquisita la prova del nesso causale nel caso sussista un’adeguata probabilità, sul piano scientifico, della risposta positiva; ove, invece, l’accertamento, basato su elementi indiziari, riguardi i fatti materiali, la valutazione probabilistica è ammissibile ma si inserisce nell’ambito dell’apprezzamento discrezionale rimesso al giudice di merito circa l’idoneità probatoria di un determinato quadro indiziario. (Nella specie, relativa ad una controversia per il riconoscimento del beneficio della maggiorazione contributiva per esposizione alle fibre di amianto, nella quale il CTU aveva escluso che una probabilità inferiore al 95 per cento fosse idonea a consentire di affermare, con ragionevole certezza scientifica, il superamento per un periodo ultradecennale del grado di esposizione all’amianto fissato dalla legge, il giudice di merito aveva interpretato tale conclusione, di per sé contestata solo in via astratta dai ricorrenti, nel senso che le mansioni svolte dai lavoratori avevano comportato una esposizione minore rispetto ai colleghi di lavoro; la S.C., in applicazione del principio di cui alla massima, ha escluso che la sentenza fosse connotata da illogicità).
Cass. civ. n. 4326/2010
Ai fini dell’accoglimento della domanda di risarcimento del danno per la lesione dell’interes¬se pretensivo al conseguimento di un’autorizzazione amministrativa, deve valutarsi – mediante un giudizio prognostico – la fondatezza o meno dell’istanza della parte sulla base della normativa applicabile, così da riconoscere il risarcimento solo se la richiesta di autorizzazione, secondo un criterio di normalità, che dà fondamento ad un oggettivo affidamento, sarebbe stata accolta; conseguentemente, la responsabilità della P.A. non può derivare automaticamente dall’annullamento dell’atto di diniego da parte del giudice amministrativo, dovendo invece essere accertata la colpa dell’Amministrazione come apparato, la quale sussiste quando l’atto assunto come lesivo viola le regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, che il giudice ordinario valuta come limiti esterni alla discrezionalità. (Nella specie, relativa al diniego di autorizzazione alla installazione di un cartellone pubblicitario, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva negato il risarcimento anche in considerazione di un parere negativo della Soprintendenza e della circostanza che il contratto per lo sfruttamento pubblicitario del cartellone, della cui mancata esecuzione la società richiedeva il ristoro, era stato stipulato nonostante la conoscenza del predetto parere, e prevedeva la risoluzione “ipso iure”, per l’ipotesi di diniego dell’autorizzazione).
Cass. civ. n. 698/2010
La P.A. può essere riconosciuta responsabile, ai sensi dell’art. 2043 c.c., per il mancato o ritardato annullamento di un atto illegittimo (nella specie, un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate) nell’esercizio del potere di autotutela, ove un siffatto comportamento abbia cagionato un danno al privato (nella specie, consistente nelle spese, non solo legali, sostenute per proporre il ricorso avverso il provvedimento illegittimo), giacché tale danno deriva dallo stesso atto illegittimo, mentre l’esercizio del potere di autotutela da parte della P.A. si configura soltanto come il mezzo che avrebbe potuto eliminarne tempestivamente gli effetti. Infatti, la sussistenza del requisito dell’ingiustizia del danno non può essere esclusa in ragione di una pretesa indebita interferenza della giurisdizione sulle modalità di esercizio del potere amministrativo, giacché si tratta unicamente dell’accertamento, rimesso al giudice del merito, degli effetti pregiudizievoli causati dall’atto illegittimo, per non esser la RA. tempestivamente intervenuta ad evitarli tramite i mezzi che la legge ad essa attribuisce.
Cass. civ. n. 4/2010
In materia di rapporto di causalità nella responsabilità extracontrattuale, nel caso in cui concause naturali non imputabili al danneggiante concorrano con il comportamento di quest’ultimo nella determinazione dell’evento dannoso, deve ritenersi che l’autore della condotta illecita sia responsabile per intero di tutte le conseguenze da essa scaturenti secondo un rapporto di consequenzialità ordinaria, poiché, in tale ipotesi, non si può operare una riduzione proporzionale in ragione della minore gravità della sua colpa (difettando il presupposto di una pluralità di comportamenti umani colpevoli); tuttavia, qualora, configurandosi il suddetto concorso causale (in tutte le sue componenti, umane e naturali) con l’insorgenza dell’evento dannoso, si accerti che il danneggiato già presentava condizioni e/o postumi patologici di qualsiasi origine e natura, di questi non si deve tener conto ai fini della liquidazione dei danni, trattandosi di condizioni non direttamente causate dalla condotta del danneggiante.
Cass. civ. n. 26514/2009
Nelle cosiddette vendite “a catena” spettano all’acquirente due azioni: quella contrattuale, che sorge solo nei confronti del diretto venditore, in quanto l’autonomia di ciascun trasferimento non gli consente di rivolgersi contro i precedenti venditori (restando salva l’azione di rivalsa del rivenditore nei confronti del venditore intermedio); quella extracontrattuale, che è esperibile dal compratore contro il produttore, per il danno sofferto in dipendenza dei vizi che rendono la cosa pericolosa, anche quando tale danno si sia verificato dopo il passaggio della cosa nell’altrui sfera giuridica. Ne consegue che incorre nella violazione di un principio informatore in tema di responsabilità civile il giudice di pace che nel giudizio di equità promosso per il risarcimento del danno da pubblicità ingannevole relativo ad una marca di sigarette – riconosca il produttore responsabile sia a titolo extracontrattuale che a titolo contrattuale.
Cass. civ. n. 15895/2009
In tema di responsabilità civile extracontrattuale, il nesso causale tra la condotta illecita ed il danno civile è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 c.p., in base al quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla scorta del quale, all’interno della serie causale, occorre dare rilievo solo a quegli eventi che non appaiono – ad una valutazione “ex ante” – del tutto inverosimili; ne consegue che, ai fini della riconducibilità dell’evento dannoso ad un determinato comportamento, non è sufficiente che tra l’antecedente ed il dato consequenziale sussista un rapporto di sequenza, essendo invece necessario che tale rapporto integri gli estremi di una sequenza possibile, alla stregua di un calcolo di regolarità statistica, per cui l’evento appaia come una conseguenza non imprevedibile dell’atecedente. (Nella specie, in virtù dell’enunciato principio, la Corte ha ritenuto insindacabile il rigetto, contenuto nella sentenza impugnata, della domanda di risarcimento dei danni di cui all’art. 2043 c.c., proposta nei confronti del vettore per la perdita di un piego che recava la dizione “stampati”, sul rilievo che non era ragionevolmente opinabile che il vettore potesse, anche usando una straordinaria diligenza, supporre che nella busta non erano contenuti “stampati”, ma “atti giudiziari” di estrema importanza, il cui mancato recapito aveva determinato la decadenza dell’impugnazione di una sentenza).
Cass. civ. n. 11048/2009
Nella liquidazione del danno alla persona causato da sinistri stradali è inibito al giudice, per determinare il danno biologico lieve o da micro-permanente, fare riferimento alle tabelle medico-legali approvate con D.M. 3 luglio 2003, quando il sinistro si sia verificato in data anteriore all’entrata in vigore del suddetto decreto, avvenuta l’11 settembre 2003. Il decreto, che si pone in rapporto di specialità rispetto alla generale disciplina di cui all’art. 2056.c.c., non ha efficacia retroattiva, a meno che le parti non ne chiedano concordemente l’applicazione. In mancanza di tale accordo, il giudice del merito è tenuto a liquidare il risarcimento mediante una valutazione equitativa personalizzata che tenga conto della tipologia delle lesioni e delle condizioni soggettive della vittima, esponendo nella motivazione della sentenza i criteri a tal fine adottati.
Cass. civ. n. 10285/2009
In tema di responsabilità civile, poichè l’omissione di una condotta rileva, quale condizione determinativa del processo causale dell’evento dannoso, soltanto quando si tratti di omissione di un comportamento di cautela imposto da una norma giuridica specifica, ovvero da una posizione del soggetto che implichi l’esistenza di particolari obblighi di prevenzione dell’evento, una volta dimostrata in giudizio la sussistenza dell’obbligo di osservare la regola cautelare omessa ed una volta appurato che l’evento appartiene al novero di quelli che la norma mirava ad evitare attraverso il comportamento richiesto, non rileva, ai fini dell’esonero dalla responsabilità, che il soggetto tenuto a detta osservanza abbia provato la non conoscenza in concreto dell’esistenza del pericolo. (Nella specie la S.C. ha ritenuto non correttamente motivata la sentenza impugnata nella parte in cui quest’ultima, nel rigettare la richiesta risarcitoria avanzata dall’Aereolinee Itavia s.p.a. contro i Ministeri della Difesa, dell’Interno e delle Infrastrutture, pur ammettendo l’esistenza di precise norme giuridiche che imponevano al Ministero della Difesa di assicurare l’obbligo della sicurezza dei cieli e di impedire l’accesso ad aerei non autorizzati, ha ritenuto necessario, ai fini della condanna, che sussistesse in capo a detti organi la conoscenza del fatto che nei cieli circolassero aerei pericolosi, posto che la presumibile presenza di detti aerei era proprio ciò che l’adempimento dell’obbligo di sorveglianza, omesso nella specie, mirava ad evitare).
Cass. civ. n. 975/2009
Qualora la produzione di un evento dannoso, quale la morte di un paziente, sia riconducibile, sotto il profilo eziologico, alla concomitanza della condotta del sanitario e del fattore naturale rappresentato dalla situazione patologica del soggetto deceduto (la quale non sia legata all’anzidetta condotta da un nesso di dipendenza causale), il giudice deve procedere, eventualmente anche con criteri equitativi, alla valutazione della diversa efficienza delle varie concause, onde attribuire all’autore della condotta dannosa la parte di responsabilità correlativa, cosa da lasciare a carico del danneggiato il peso del danno alla cui produzione ha concorso a determinare il suo stato personale.
Cass. civ. n. 26925/2008
In tema di erronea comunicazione al lavoratore, da parte dell’Inps, della posizione contributiva utile al pensionamento, l’ente risponde del danno derivatone per inadempimento contrattuale, salvo che provi che la causa dell’errore sia esterna alla sua sfera di controllo e l’inevitabilità del fatto impeditivo nonostante l’applicazione della normale diligenza. (Nella specie, all’erronea comunicazione al lavoratore del numero dei contributi versati, apparentemente sufficienti al conseguimento della pensione, erano seguite le dimissioni del lavoratore; l’Inps, convenuto per il risarcimento dei danni subiti dal lavoratore per l’erronea comunicazione, aveva imputato l’errore a registrazioni nell’archivio magnetico non corrispondenti alla documentazione di supporto).
Cass. civ. n. 25028/2008
In tema di responsabilità civile aquiliana, il nesso causale è regolato dai principi di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen. per i quali un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (cosiddetta teoria della “condicio sine qua non”) nonchè dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base della quale, all’interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiono – ad una valutazione “ex ante” – del tutto inverosimili. Il rigore del principio dell’equivalenza delle cause, di cui all’art. 41 cod. pen., in base al quale, se la produzione di un evento dannoso é riferibile a più azioni od omissioni, deve riconoscersi ad ognuna di esse efficienza causale, trova il suo temperamento nella causalità efficiente, desumibile dal secondo comma dell’art. 41 cod. pen., in base al quale l’evento dannoso deve essere attribuito esclusivamente all’autore della condotta sopravvenuta, solo se questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata di rigetto della domanda di risarcimento dei danni provocati alla mobilia e alle suppellettili dell’appartamento condotto in locazione dagli attori dall’incendio sviluppatosi nell’appartamento soprastante, rispettivamente di proprietà e condotto dai convenuti, evidenziando che i giudici di merito avevano correttamente ritenuto sussistente il caso fortuito, in quanto, in base alla consulenza tecnica, l’incendio in questione era stato di origine dolosa perchè causato da un terzo rimasto ignoto entrato dalle finestre, lasciate aperte dalla convenuta, durante l’assenza della medesima,circostanza quest’ultima, peraltro, che non poteva ritenersi concausa dell’incendio cagionato dal terzo ignoto, in quanto la chiusura degli infissi non avrebbe certo scoraggiato chi voleva appiccare il fuoco).
Cass. civ. n. 25016/2008
La responsabilità contrattuale può concorrere con quella extracontrattuale allorquando il fatto dannoso sia imputabile all’azione o all’omissione di più persone tutte obbligate al risarcimento del danno correlato al loro comportamento, sicché in ipotesi di vendita a terzi di un immobile in violazione dell’obbligo contrattualmente assunto dal venditore nei confronti del precedente acquirente, la responsabilità contrattuale dell’alienante può concorrere con quella extracontrattuale del successivo acquirente quando il danneggiato provi o la dolosa preordinazione volta a frodarlo o comunque la compartecipazione all’inadempimento dell’alienante in virtù dell’apporto dato nella violazione degli obblighi assunti nei confronti del primo acquirente.
Cass. civ. n. 23725/2008
Il diritto al risarcimento del danno da fatto illecito concretatosi in un evento, mortale va riconosciuto – con riguardo sia al danno morale, sia a quello patrimoniale, che presuppone, peraltro, la prova di uno stabile contributo economico apportato, in vita, dal defunto al danneggiato – anche al convivente “more uxorio” del defunto stesso, quando risulti dimostrata tale relazione caratterizzata da tendenziale stabilità e da mutua assistenza morale e materiale; a tal fine non sono sufficienti né le dichiarazioni rese dagli interessati per la formazione di un atto di notorietà, né le indicazioni dai medesimi fornite alla P.A. per fini anagrafici. (Nella specie la S.C. ha confermato
sul punto la sentenza impugnata nella parte in cui aveva, appunto, escluso che la ricorrente, che aveva contratto matrimonio canonico privo di effetti civili con la vittima, potesse vantare diritti risarcitori per la morte dell’uomo, essendo mancata la prova dell’esistenza di una relazione tendenzialmente stabile e di una mutua assistenza morale e materiale tra i due).
Cass. civ. n. 12455/2008
In tema di risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi, l’accertata illegittimità della condotta della P.A. o di suo organi, derivante dal ritardo, dall’inerzia o dalla mancata istruzione del procedimento, che si traducono nella violazione dell’obbligo di portarlo comunque a compimento (in modo favorevole o sfavorevole per l’istante), non è sufficiente ai fini dell’affermazione della responsabilità aquiliana, occorrendo altresì che risulti danneggiato l’interesse, al bene della vita al quale è correlato l’interesse legittimo dell’istante, e che detto interesse risulti meritevole di tutela alla luce dell’ordinamento positivo. In riferimento al rilascio di una concessione edilizia, l’accertamento di tale interesse implica un giudizio prognostico sulla fondatezza dell’istanza, da condursi in riferimento alla normativa di settore ed agli elementi offerti dall’istante, onde stabilire se costui fosse titolare di una situazione suscettibile di determinare un oggettivo affidamento circa la conclusione positiva del procedimento. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva escluso la responsabilità di un Comune per il rifiuto della concessione edilizia richiesta per la realizzazione di un parcheggio interrato, ritenendo non configurabile un’aspettativa giuridicamente tutelata dell’istante, in quanto l’autorizzazione a tal fine concessa dal consiglio comunale ed il parere favorevole emesso dalla commissione edilizia erano subordinati all’adozione ed all’approvazione del piano regolatore generale).
Cass. civ. n. 11917/2008
Il principio in forza del quale gli atti e comportamenti di un pubblico dipendente non sono riferibili all’amministrazione, se dettati da fini assolutamente estranei ad essa e non legati da un nesso di necessaria occasionalità con le funzioni del dipendente stesso, opera nel campo dell’illecito aquiliano e non è estensibile al diverso caso della responsabilità per inadempimento contrattuale, ove l’imputazione all’amministrazione dell’atto del dipendente incontra i soli limiti derivanti dalle norme di legge e dai patti che regolano il relativo contratto. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva addebitato alla P.A. l’inadempimento dell’obbligo contrattuale di assicurare e garantire la regolarità del gioco del lotto e dell’estrazione ad esso relativa, essendo stato accertato in sede penale che l’estrazione cui si riferiva la giocata effettuata dall’attore era stata «truccata» da alcuni dipendenti pubblici incaricati delle operazioni di sorteggio).
Cass. civ. n. 864/2008
Nel caso che un dipendente della P.A. abbia commesso un atto illecito e si accerti che ciò è avvenuto in quanto i superiori gerarchici del dipendente stesso hanno omesso di emanare le direttive opportune per prevenire la commissione, da parte dei lavoratori ad essi subordinati, di atti come quello predetto (vigilando poi sull’applicazione delle direttive medesime), è configurabile la responsabilità diretta della P.A. per il comportamento omissivo di detti superiori, sussistendo sia la riferibilità di tale atto alla stessa P.A. (una volta assodato che nella fattispecie concreta la predetta emanazione rientrava tra i compiti di chi aveva funzioni dirigenziali nella struttura amministrativa in questione), sia l’esistenza di un rapporto di causalità tra il comportamento omissivo di detti superiori e l’evento dannoso (una volta accertato che nel caso concreto senza l’omissione in questione non si sarebbe realizzato l’atto illecito del dipendente subordinato direttamente produttivo del danno) in base alla regola secondo cui causa causae est causa causati. (Nella specie la S.C., in applicazione dell’enunciato principio, ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto sussistente la responsabilità diretta della P.A. in ordine alla morte di un carabiniere ausiliario causata da un colpo di arma da fuoco sparato imprudentemente da altro carabiniere ausiliario per indurre il primo a partecipare ad una partita di pallavolo, stante il comportamento illecito dei superiori gerarchici del carabiniere, che aveva esploso il colpo, consistito nel non aver dato le opportune direttive ed istruzioni in ordine agli adempimenti riguardanti la custodia e l’uso delle armi alla fine del servizio, vigilando poi sulla loro applicazione).
Cass. civ. n. 576/2008
In tema di responsabilità civile aquiliana —nella quale vige, alla stregua delle regole di cui agli artt. 40 e 41 c.p., il principio dell’equivalenza delle cause temperato da quello della causalità adeguata — il nesso di causalità consiste anche nella regola della preponderanza dell’evidenza o del «più probabile che non» ne consegue che — sussistendo a carico del Ministero della sanità (oggi Ministero della salute), anche prima dell’entrata in vigore della legge 4 maggio 1990, n. 107, un obbligo di controllo e di vigilanza in materia di raccolta e distribuzione di sangue umano per uso terapeutico — il giudice, accertata l’omissione di tali attività con riferimento alle cognizioni scientifiche esistenti all’epoca di produzione del preparato, ed accertata l’esistenza di una patologia da virus HIV, HBV o HCV in soggetto emotrasfuso o assuntore di emoderivati, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell’insorgenza della malattia e che, per converso, la condotta doverosa del Ministero, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito il verificarsi dell’evento.
Cass. civ. n. 26527/2007
Deve escludersi la responsabilità dello Stato nei confronti di terzi per i danni causati dal comportamento colposo o doloso di un dipendente quando il fatto lesivo è commesso al di fuori dell’esercizio delle proprie funzioni e per finalità estranee o contrarie ad esse, dovendo essere accertato che tra l’espletamento delle mansioni inerenti il servizio e il fatto produttivo del danno vi sia un nesso di occasionalità necessaria, idoneo quanto meno ad averne agevolato in modo decisivo la realizzazione. (Nel caso di specie la S.C. ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva escluso la responsabilità del Ministero dell’Interno per l’aggressione compiuta da un agente di polizia nei confronti di un terzo fuori dell’orario di lavoro e non nell’esercizio delle proprie funzioni, ritenendo irrilevante la successiva redazione di una relazione di servizio giustificativa del fatto).
Cass. civ. n. 22370/2007
In tema di gara ad evidenza pubblica, l’aggiudicazione in favore di chi abbia presentato un’offerta anomala per eccesso di ribasso, non è preclusa dall’art. 21, comma 1 bis, legge 11 febbraio 1994 n. 109 (e neppure dall’art. 82 D.L.vo 12 aprile 2006 n. 163 che lo ha sostituito), ma deve essere congruamente motivata, nel rispetto della regola di buona amministrazione che impone alla P.A. di dare conto delle sue scelte tra diversi aspiranti a contrarre e di indicare le ragioni per cui l’offerta dell’aggiudicatario è la più conveniente. Quando ciò non accada, viene leso l’interesse legittimo (pretensivo) allo svolgimento di una corretta gara di cui sono titolari i partecipanti non vincitori, i quali possono agire per far valere la responsabilità aquiliana dell’amministrazione ed ottenere il risarcimento del danno ingiusto derivante dalla c.d. perdita di chances cioè dal venir meno, per effetto della condotta non
jure della stazione appaltante, dell’occasione di ottenere l’utilità patrimoniale conseguibile con la gara. (Principio affermato dalla Suprema Corte, in applicazione dei principi formulati nella sentenza delle SS.UU. n. 500 del 1999, in relazione a controversia introdotta prima dell’entrata in vigore del D.L.vo n. 80 del 1998).
Cass. civ. n. 21619/2007
Nel cosiddetto sottosistema civilistico, il nesso di causalità (materiale) — la cui valutazione in sede civile è diversa da quella penale (ove vale il criterio dell’elevato grado di credibilità razionale che è prossimo alla «certezza») — consiste anche nella relazione probabilistica concreta tra comportamento ed evento dannoso; secondo il criterio (ispirato alla regola della normalità causale) del «più probabile che non» esso si distingue dall’indagine diretta all’individuazione delle singole conseguenze dannose (finalizzata a delimitare, a valle, i confini della già accertata responsabilità risarcitoria) e prescinde da ogni valutazione di prevedibilità o previsione da parte dell’autore, la quale va compiuta soltanto in una fase successiva ai fini dell’accertamento dell’elemento soggettivo (colpevolezza). (Nella fattispecie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ravvisato il nesso causale tra il comportamento omissivo del sanitario che aveva ritardato di inviare il paziente presso un centro di medicina iperbarica e l’aggravamento delle lesioni subite dal paziente che probabilmente avrebbe potuto essere evitato).
Cass. civ. n. 20986/2007
Affinchè ricorra la responsabilità della P.A. per un fatto lesivo posto in essere dal proprio dipendente — responsabilità il cui fondamento risiede nel rapporto di immedesimazione organica — deve sussistere, oltre al nesso di causalità fra il comportamento e l’evento dannoso, anche la riferibilità all’amministrazione del comportamento stesso, la quale presuppone che l’attività posta in essere dal dipendente sia e si manifesti come esplicazione dell’attività dell’ente pubblico, e cioè tenda, pur se con abuso di potere, al conseguimento dei fini istituzionali di questo nell’ambito delle attribuzioni dell’ufficio o del servizio cui il dipendente è addetto. Tale riferibilità viene meno, invece, quando il dipendente agisca come un semplice privato per un fine strettamente personale ed egoistico che si riveli assolutamente estraneo all’amministrazione — o addirittura contrario ai fini che essa persegue — ed escluda ogni collegamento con le attribuzioni proprie dell’agente, atteso che in tale ipotesi cessa il rapporto organico fra l’attività del dipendente e la P.A. (Nella specie, il giudice di merito aveva condannato la P.A. ritenendo riconducibile alle finalità istituzionali della stessa il comportamento di un vigile urbano che, intervenuto per fermare alcuni giovani che stavano scavalcando il muro di cinta di uno stadio, aveva percosso uno di essi con schiaffi e calci e poi lo aveva ucciso con un colpo di pistola; la S.C. ha cassato la sentenza impugnata poiché il giudice di merito non aveva accertato se il vigile, la cui condotta nella fase iniziale era connessa all’espletamento del compito istituzionale di controllo sull’ordine pubblico, avesse successivamente agito, come dimostrato dalle parole rivolte nei suoi confronti: «se non te le ho date ieri te le do ora» per un fine strettamente personale ed egoistico assolutamente estraneo alle attività della P.A., così dando sfogo al risentimento provocato da un diverbio con quel giovane avvenuto il giorno precedente).
Cass. civ. n. 19357/2007
Ai fini della risarcibilità del danno patrimoniale conseguente alla riduzione della capacità lavorativa, il giudice, oltre a dover accertare in quale misura la menomazione fisica abbia inciso sulla capacità lavorativa specifica (e questa, a sua volta, sulla capacità di guadagno), è tenuto altresì a verificare se e in quale misura in tale soggetto persista o residui, dopo e nonostante l’infortunio patito, una capacità ad attendere al proprio o ad altri lavori confacenti alle sue attitudini e condizioni personali e ambientali idonei alla produzione di altre fonti di reddito, in luogo di quelle perse o ridotte, e solo nell’ipotesi in cui, in forza di detti complessivi elementi di giudizio, risulti una riduzione della capacità di guadagno e, in forza di questa, del reddito effettivamente percepito, tale ultima diminuzione è risarcibile sotto il profilo del lucro cessante. La relativa prova incombe al danneggiato e può essere anche presuntiva, purché sia certa la riduzione della capacità di lavoro specifica. Il grado di invalidità personale determinato dai postumi permanenti di una lesione all’integrità psico-fisica non si riflette automaticamente sulla riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica e, quindi, di guadagno, spettando al giudice del merito valutarne in concreto l’incidenza; sicché, nel caso in cui la persona che abbia subito una lesione dell’integrità fisica già eserciti un’attività lavorativa e il grado d’invalidità permanente sia tuttavia di scarsa entità (cosiddette «micropermanenti»), un danno da lucro cessante derivante dalla riduzione della capacità lavorativa in tanto è configurabile in quanto sussistano elementi per ritenere che, a causa dei postumi, il soggetto effettivamente ricaverà minori guadagni dal proprio lavoro, essendo ogni ulteriore o diverso pregiudizio risarcibile a titolo di danno non patrimoniale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, in base ad adeguata motivazione, aveva escluso che le lesioni subite dal danneggiato in sinistro stradale — determinanti un’incapacità lavorativa specifica dell’uno per cento — fossero idonee a ripercuotersi negativamente nell’esplicazione dell’attività di avvocato dal medesimo svolta e a determinare la lamentata diminuzione dei suoi redditi).
Cass. civ. n. 15233/2007
Chi agisce per il risarcimento dei danni non è tenuto a dare la prova della piena proprietà del bene danneggiato ma solo della titolarità della situazione sostanziale che è oggetto del rapporto giuridico controverso, poiché anche colui che si trovi ad esercitare un potere materiale sulla cosa può agire in giudizio per il risarcimento del danno derivante dal danneggiamento della stessa. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione del giudice di merito che, con motivazione logica e quindi insindacabile in sede di legittimità, aveva escluso la titolarità del diritto al risarcimento in capo alla parte che lamentava i danni provocati alla sua casa, in conseguenza di lavori in corso).
Cass. civ. n. 14759/2007
In tema di responsabilità civile il giudice di merito deve accertare separatamente dapprima la sussistenza del nesso causale tra la condotta illecita e l’evento di danno, e quindi valutare se quella condotta abbia avuto o meno natura colposa o dolosa. Ne consegue che, nell’ipotesi di responsabilità del medico, è viziata la decisione la quale escluda il nesso causale per il solo fatto che il danno non potesse essere con certezza ascritto ad un errore del sanitario, posto che il suddetto nesso deve sussistere non già tra l’errore ed il danno, ma tra la condotta ed il danno, mentre la sussistenza dell’eventuale errore rileverà sul diverso piano della imputabilità del danno a titolo di colpa. In tema di responsabilità civile, per l’accertamento del nesso causale tra condotta illecita ed evento di danno non è necessaria la dimostrazione di un rapporto di consequenzialità necessaria tra la prima ed il secondo, ma è sufficiente la sussistenza di un rapporto di mera probabilità scientifica. Ne consegue che il nesso causale può essere ritenuto sussistente non solo quando il danno possa ritenersi conseguenza inevitabile della condotta, ma anche quando ne sia conseguenza altamente probabile e verosimile.
Cass. civ. n. 13953/2007
Il grado di invalidità di una persona, determinato dai postumi permanenti di una lesione alla sua integrità psicofisica, non si riflette automaticamente nella stessa misura sulla riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica e, quindi, di guadagno, spettando al giudice del merito valutarne in concreto l’incidenza, la quale è da escludersi quando non risulti che la persona danneggiata, a causa delle infermità riscontrate, sia stata adibita a mansioni inferiori alle precedenti ovvero, nello svolgimento delle mansioni pregresse, abbia subito contrazioni del suo reddito.
Cass. civ. n. 13400/2007
In materia di rapporto di causalità nella responsabilità extracontrattuale, in base ai principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p., qualora la condotta abbia concorso, insieme a circostanze naturali, alla produzione dell’evento, e ne costituisca un antecedente causale, l’agente deve rispondere per l’intero danno, che altrimenti non si sarebbe verificato. Non sussiste, invece, nessuna responsabilità dell’agente per quei danni che non dipendano dalla sua condotta, che non ne costituisce un antecedente causale, e si sarebbero verificati ugualmente anche senza di essa, né per quelli preesistenti. Anche in queste ultime ipotesi, peraltro, debbono essere addebitati all’agente i maggiori danni, o gli aggravamenti, che siano sopravvenuti per effetto della sua condotta, anche a livello di concausa, e non di causa esclusiva, e non si sarebbero verificati senza di essa, con conseguente responsabilità dell’agente stesso per l’intero danno differenziale. (Nella specie, la S.C., sulla scorta del principio da ultimo specificato, ha confermato la sentenza impugnata che, con riferimento all’azione di un lavoratore che aveva agito per il risarcimento del danno nei confronti del suo datore di lavoro per suoi ripetuti comportamenti vessatori, aveva riconosciuto la responsabilità dello stesso datore per i soli danni a lui imputabili a titolo differenziale per le ulteriori conseguenze patologiche di tipo depressivo che erano derivate dalla sua condotta, inquadrabile come mera concausa rispetto al quadro clinico del dipendente già affetto in precedenza da una situazione psichica compromessa, sulla quale, perciò, aveva prodotto un effetto di aggravamento e non di causa esclusiva).
Cass. civ. n. 13061/2007
La responsabilità della RA. per l’esercizio illegittimo della funzione pubblica non consegue al dato obiettivo dell’adozione di un provvedimento illegittimo, dovendo il giudice ordinario svolgere una più penetrante indagine estesa anche alla condotta e alla sua qualificabilità in termini di colpa non già del funzionario agente (da riferire ai parametri della negligenza o imperizia), quanto della P.A. intesa come apparato, configurabile là dove l’adozione e l’esecuzione dell’atto illegittimo, lesivo dell’interesse del danneggiato, risulti avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione. Ne consegue che non può, in linea di principio, escludersi la rilevanza dell’errore scusabile commesso dalla P.A., da valutarsi con riferimento al caso concreto in base ad accertamento da effettuarsi
ex ante dal giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità in presenza di congrua motivazione. (Nell’affermare il suindicato principio, la S.C. ha confermato la sentenza della corte di merito che aveva escluso la configurabilità di una condotta negligente di una AUSL, la quale, facendo riferimento ai dati ufficialmente comunicati dalle Amministrazioni comunali all’uopo specificamente preposte, in assenza di elementi idonei a far insorgere dubbi circa l’attendibilità dei medesimi o deponenti per la necessità di particolari verifiche e controlli al riguardo aveva adottato una delibera di determinazione di zona carente per un posto di medicina generale convenzionata nell’ambito territoriale di alcuni Comuni dell’Abruzzo, successivamente annullata dal Consiglio di Stato per vizio di eccesso di potere, essendo il dato concernente la popolazione di uno dei medesimi Comuni risultato erroneo).
Cass. civ. n. 10830/2007
Se la parte che agisce in via risarcitoria deduce a sostegno della propria domanda fatti che possono indifferentemente comportare responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, il suo esclusivo riferimento alle norme sulla responsabilità extracontrattuale non impedisce al giudice di qualificare diversamente la domanda a condizione che i fatti coincidano con quelli dedotti dalla parte e non vengano in rilievo elementi di differenziazione della disciplina delle due forme di responsabilità sui quali non si sia formato il contraddittorio. (Fattispecie in cui i genitori di una alunna minore, infortunatasi nel corso dell’orario scolastico, hanno convenuto in giudizio per ottenere il risarcimento del danno subito dalla figlia il Ministero della Pubblica Istruzione e l’insegnante cui l’alunna era affidata, deducendo responsabilità ex articolo 2048 c.c.; il giudice del merito ha accolto la domanda proposta nei confronti del Ministero e l’ha qualificata come domanda di accertamento della responsabilità contrattuale della pubblica amministrazione).
Cass. civ. n. 8520/2007
Il risarcimento del danno da fatto illecito costituisce debito di valore e, in caso di ritardato pagamento di esso, gli interessi non costituiscono un autonomo diritto del creditore, ma svolgono una funzione compensativa tendente a reintegrare il patrimonio del danneggiato, qual era all’epoca del prodursi del danno, e la loro attribuzione costituisce una mera modalità o tecnica liquidatoria. Ne consegue che, impugnato il capo della sentenza contenente la liquidazione del danno, non può invocarsi il giudicato in ordine alla misura legale degli interessi precedentemente attribuiti e il giudice dell’impugnazione (o del rinvio), anche in difetto di uno specifico rilievo sulla modalità di liquidazione degli interessi prescelta dal giudice precedente, può procedere alla riliquidazione della somma dovuta a titolo risarcitorio e dell’ulteriore danno da ritardato pagamento, utilizzando la tecnica che ritiene più appropriata al fine di reintegrare il patrimonio del creditore (riconoscendo gli interessi nella misura legale o in misura inferiore, oppure non riconoscendoli affatto, potendo utilizzare parametri di valutazione costituiti dal tasso medio di svalutazione monetaria o dalla redditività media del denaro nel periodo considerato), restando irrilevante che vi sia stata impugnazione o meno in relazione agli interessi già conseguiti e alla misura degli stessi.
Cass. civ. n. 6227/2007
L’illegittimità dell’atto adottato dall’amministrazione per un’errata interpretazione di una norma ambigua adottata dall’amministrazione medesima, non può far presumere la colpa dell’agente e, per esso, della P.A. che lo abbia incaricato, non potendosi equiparare l’applicazione da parte della RA. del testo di legge adottato dall’amministrazione medesima, al soggetto fisico che attua una propria disposizione precedentemente messa per iscritto, l’interpretazione di una legge non consistendo nel ricostruire una determinata volontà soggettiva, ma nel ricostruire senso e portata, di un impersonale testo normativo (principio applicato in fattispecie in cui il Commissario della Regione Campania, nell’effettuare la ricognizione del personale alle dipendenze del disciolto patronato scolastico, che doveva essere trasferito al Comune, aveva omesso di inserire negli elenchi due dipendenti le quali, all’esito del giudizio amministrativo, aveva proposto aziona risarcitoria nei confronti del Comune e della Regione).
Cass. civ. n. 4791/2007
A norma dell’art. 2043 c.c., ai prossimi congiunti di un soggetto in giovane età, deceduto in conseguenza del fatto illecito addebitabile ad un terzo (come nel caso di morte conseguente a sinistro stradale fondato su responsabilità altrui), compete anche il risarcimento del danno patrimoniale futuro qualora questo, sulla scorta di oggettivi e ragionevoli criteri rapportati alle circostanze del caso concreto, si prospetti come effettivamente probabile sulla scorta di parametri di regolarità causale, ipotesi che ricorre nel caso in cui il giovane deceduto, anche alla luce del tipo di studi intrapreso, avrebbe presumibilmente trovato un utile impiego, la cui retribuzione, al di là della sua ipotetica entità, sarebbe senz’altro stata devoluta, almeno in parte, ai bisogni familiari, e, perciò, dei prossimi congiunti istanti. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che non si era conformata al principio enunciato ed ai criteri presuntivi individuati, avendo negato il riconoscimento del suddetto danno patrimoniale futuro in favore della madre di un giovane, figlio unico convivente, deceduto in conseguenza di un incidente stradale, sul presupposto che non svolgeva, al momento della scomparsa, alcuna attività lavorativa, né aveva acquisito alcuna qualifica professionale, frequentando soltanto un corso di elettronica ed esercitando una mera attività amatoriale, sicché non era presumibile che egli avrebbe trovato in breve tempo lavoro, né che la sua retribuzione avrebbe permesso di versare un contributo alla madre, vedova e pensionata).
Cass. civ. n. 2771/2007
II diritto del privato al risarcimento del danno prodotto dall’illegittimo esercizio della funzione pubblica prescinde dalla qualificazione formale della posizione di cui è titolare il soggetto danneggiato in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo, dato che la tutela risarcitoria è fatta dipendere ed è garantita in funzione dell’ingiustizia del danno conseguente alla lesione di interessi giuridicamente riconosciuti. La tecnica di accertamento della lesione varia a seconda della natura dell’interesse legittimo nel senso che, se l’interesse è oppositivo, occorre accertare che l’ifiegittima attività dell’Amministrazione abbia leso l’interesse alla conservazione di un bene o di una situazione di vantaggio; mentre, se l’interesse è pretensivo, concretandosi la sua lesione nel diniego o nella ritardata assunzione di un provvedimento amministrativo, occorre valutare a mezzo di un giudizio prognostico, da condurre in base alla normativa applicabile, la fondatezza o meno della richiesta di parte, onde stabilire se la medesima fosse titolare di una mera aspettativa, come tale non tutelabile, o di una situazione che, secondo un criterio di normalità, era destinata ad un esito favorevole. (Sulla base di tale principio,
la S.C. ha confermato la sentenza che aveva negato il diritto al risarcimento del danno in un caso di perdita del posto di lavoro a seguito di annullamento di concorso, non essendo quest’ultima circostanza sufficiente a fondare la responsabilità, occorrendo la prova che l’interessato si trovava in una situazione soggettiva destinata, secondo un criterio di normalità, ad un esito favorevole del concorso, se questo si fosse svolto regolarmente).
Cass. civ. n. 1183/2007
Nel vigente ordinamento alla responsabilità civile è assegnato il compito precipuo di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, anche mediante l’attribuzione al danneggiato di una somma di denaro che tenda a eliminare le conseguenze del danno subito mentre rimane estranea al sistema l’idea della punizione e della sanzione del responsabile civile ed è indifferente la valutazione a tal fine della sua condotta. E quindi incompatibie con l’ordinamento italiano l’istituto dei danni punitivi che, per altro verso, non è neanche riferibile alla risarcibilità dei danni patrimoniali o morali. Tale risarcibilità è sempre condizionata all’accertamento della sofferenza o della lesione determinata dall’illecito e non può considerarsi provata in re ipsa. E inoltre esclusa la possibilità di pervenire alla liquidazione dei danni in base alla considerazione dello stato di bisogno del danneggiato o della capacità patrimoniale dell’obbligato. (Nella specie era stata impugnata per cassazione la pronuncia di rigetto dell’istanza di delibazione di una sentenza statunitense che aveva condannato il produttore di un casco protettivo utilizzato dalla vittima di un incidente stradale. La sentenza aveva accertato il difetto di progettazione e costruzione della fibbia di chiusura del casco e aveva liquidato i danni secondo criteri che il giudice della delibazione aveva ritenuto propri dell’istituto dei danni punitivi punitive damages e come tali incompatibili con l’ordine pubblico interno).
Cass. civ. n. 16937/2006
Il principio della cumulabilità, nel nostro ordinamento, dei due tipi di responsabilità (contrattuale ed extracontrattuale) da illecito civile è legittimamente invocabile quando uno stesso fatto autonomamente generatore di danno integri gli estremi tanto dell’inadempimento contrattuale, quanto del torto aquiliano (come nel caso, ad esempio, delle lesioni subite dal lavoratore per inosservanza di norme antifortunistiche), ma non anche nell’ipotesi in cui un’attività prenegoziale astrattamente generatrice di danno (sostanziantesi nelle cosiddette «trattative») confluisca fisiologicamente nel negozio cui essa risultava funzionalmente e teleologicamente collegata, risultando, in tal caso, soltanto il negozio stesso l’eventuale fonte di responsabilità (contrattuale).
Cass. civ. n. 15259/2006
La responsabilità della P.A., ai sensi dell’articolo 2043 c.c., per l’esercizio illegittimo della funzione pubblica, la stessa è configurabile qualora si verifichi un evento dannoso incidente su un interesse rilevante per l’ordinamento ed eziologicamente connesso ad un comportamento della P.A. caratterizzato da dolo o colpa, non essendo sufficiente la mera illegittimità dell’atto a determinarne automaticamente l’illiceità. Ne consegue che il giudice ordinario è chiamato ad applicare un criterio di imputazione della responsabilità non correlato alla sola illegittimità del provvedimento, bensì ad una più complessa valutazione, estesa all’accertamento della colpa e della connotazione dell’azione amministrativa denunciata come fonte di danno ingiusto. Stante la diversità di ambito del giudizio dinanzi al giudice ordinario sulla domanda risarcitoria rispetto a quello che si svolge dinanzi al giudice amministrativo rivolto all’accertamento della illegittimità del provvedimento impugnato e al suo conseguente annullamento, deve escludersi che la pronuncia del giudice amministrativo di annullamento del provvedimento impugnato determini una preclusione da giudicato nel giudizio civile e impedisca all’autorità giudiziaria ordinaria l’esercizio del potere-dovere di procedere ad autonomo esame degli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria azionata.(Fattispecie relativa all’accertamento di responsabilità di un comune per i danni derivati alla società concessionaria per la costruzione di un complesso alberghiero a causa dell’annullamento in sede di autotutela della concessione).
Cass. civ. n. 13673/2006
Poichè anche la lesione da parte di un terzo di un diritto di credito, come quella di un diritto assoluto, può cagionare un danno ingiusto, questo è risarcibile ai sensi dell’art. 2043 c.c. (Nella specie la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito che aveva in astratto escluso senza verificare in concreto l’eventuale rilevanza della dedotta violazione di norme sulla circolazione di un assegno agli effetti della ipotizzata responsabilità extracontrattuale di due istituti di credito, ritenendo che tali irregolarità rilevassero esclusivamente sul piano del rapporto contrattuale fra banca e cliente).
Cass. civ. n. 12111/2006
In relazione alla responsabilità per danni da illecito omissivo, l’obbligo giuridico di impedire il verificarsi di un evento dannoso può sorgere in capo ad un soggetto non soltanto quando una norma o specifici rapporti gli impongano di attivarsi per impedire l’evento, ma anche quando tale obbligo possa derivare in base a principi desumibili dall’ordinamento positivo, non espresso, quindi, in forme specifiche, con conseguente dovere di agire e di comportamento attivo.
Cass. civ. n. 5677/2006
Premesso che il fatto colposo del danneggiato, idoneo a diminuire l’entità del risarcimento secondo l’art. 1227 primo comma c.c., compren¬de qualsiasi condotta negligente od imprudente che costituisca causa concorrente dell’evento, e, quindi, non soltanto un comportamento coevo o successivo al fatto illecito, ma anche un comportamento antecedente, purché legato da nesso eziologico con l’evento medesimo, allorquando il fatto colposo del danneggiante è antecedente al fatto illecito — cioè all’inadempimento ed alle sue conseguenze dannose nella responsabilità contrattuale ed alla condotta integrante il fatto ingiusto di cui all’art. 2043 c.c. ed alle sue conseguenze nella responsabilità extracontrattuale — la sua efficacia di concausa del danno cagionato dall’illecito, se è indubbio che possa estrinsecarsi con riferimento al danno-conseguenza della condotta di inadempimento o della condotta realizzante il fatto ingiusto, può altrettanto indubbiamente estrinsecarsi anche direttamente rispetto alla condotta costituente l’illecito, cioè può giocare ed essere apprezzata come concausa della condotta di inadempimento stesso o di quella determinativa del fatto ingiusto,
id est come concausa delle relative condotte illecite.
Cass. civ. n. 4980/2006
A norma dell’art. 2043 c.c., ai prossimi congiunti di un soggetto, deceduto in conseguenza del fatto illecito addebitabile ad un terzo (come nel caso di morte del lavoratore dovuta ad infortunio sul lavoro imputabile al datore di lavoro), compete il risarcimento del. danno anche patrimoniale, purché sia accertato in concreto che i medesimi siano stati privati di utilità economiche di cui già beneficiavano e di cui, presumibilmente, avrebbero continuato a beneficiare in futuro. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, con accertamento di merito non censurabile in sede di legittimità in quanto congruamente motivato, aveva ritenuto raggiunta la prova che la ricorrente non era a carico del figlio deceduto a seguito dell’infortunio, per cui, in difetto del riscontro che ella fosse stata privata di utilità economiche di cui già beneficiava, non poteva presumersi che in futuro la stessa ricorrente avrebbe ricevuto dal figlio, ove questi fosse rimasto in vita, una somma superiore a quella occorrente al proprio mantenimento, né tale presunzione si sarebbe potuta fondare sul mero dato della convivenza).
Cass. civ. n. 871/2006
In tema di illecito aquiliano, affinché rilevi il nesso di causalità tra un antecedente e l’evento lesivo, deve ricorrere la duplice condizione che si tratti di un antecedente necessario dell’evento, nel senso che questo rientri tra le conseguenze normali ed ordinarie del fatto, e che l’antecedente medesimo non sia poi neutralizzato, sul piano eziologico, dalla sopravvenienza di un fatto idoneo di per sè a determinare l’evento. (Nella specie, un assegnobancario trafugato e falsificato nella prima girata, era stato posto all’incasso, presentato nelle stanze di compensazione e pagato dalla banca trattaria: la S.C. ha reputato corretta la valutazione compiuta dal giudice di merito, il quale aveva ritenuto che l’autorizzazione al pagamento rilasciata dalla banca trattaria, in quanto sufficiente da sola a determinare l’evento dannoso, escludesse la concorrente responsabilità della banca girataria per l’incasso).
Cass. civ. n. 20454/2005
Al fine di affermare in concreto la sussistenza della responsabilità extracontrattuale della P.A. per esercizio illegittimo della funzione pubblica non può prescindersi dal requisito soggettivo richiesto dall’art. 2043 c.c. e cioè dall’accertamento della colpa (o del dolo), che non può essere automaticamente correlata alla accertata illegittimità del provvedimento amministrativo quando si riscontri, nella fattispecie concreta, l’esistenza di particolari circostanze (equivocità o contraddittorietà della normativa di riferimento, contrastanti orientamenti giurisprudenziali, novità delle questioni) che abbiano contribuito in misura determinante a condizionare negativamente l’operato dell’Amministrazione.
Cass. civ. n. 19974/2005
In tema di responsabilità civile, dovendosi ancorare il concetto di caso fortuito al criterio generale della prevedibilità con l’ordinaria diligenza del buon padre di famiglia, la quale si risolve in un giudizio di probabilità, non si può far carico al soggetto dell’obbligo di prevedere e prevenire, nell’infinita serie di accadimenti naturali o umani che possono teoricamente verificarsi, anche quegli eventi di provenienza esterna che presentino un così elevato grado di improbabilità, accidentalità o anormalità da poter essere parificati, in pratica, ai fatti imprevedibili. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto correttamente motivata la decisione del giudice di merito, che aveva escluso la responsabilità del gestore di una funivia per i danni derivanti dal crollo di un edificio adiacente alla stazione di partenza, e destinato ad ufficio, avendo accertato che lo stesso era stato travolto da una valanga di neve di proporzioni eccezionali, determinata dalla concomitanza di tre fattori, ciascuno dei quali di per sé insolito, come un abnorme accumulo di neve, la bassa temperatura della stessa e la presenza di venti fortissimi).
Cass. civ. n. 11609/2005
Un evento dannoso è da considerare causato sotto il profilo materiale da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (cosiddetta teoria della conditio sine qua non): ma nel contempo non è sufficiente tale relazione causale per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi, all’interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l’evento causante, non appaiano del tutto inverosimili (cosiddetta teoria della causalità adeguata o della regolarità causale, la quale in realtà, oltre che una teoria causale, è anche una teoria dell’imputazione del danno). In tal senso viene in rilievo una nozione di prevedibilità che è diversa da quella delle conseguenze dannose, cui allude l’art. 1225 c.c., ed anche dalla prevedibilità posta a base del giudizio di colpa, poiché essa prescinde da ogni riferimento alla diligenza dell’uomo medio, ossia all’elemento soggettivo dell’illecito, e concerne, invece, le re¬gole statistiche e probabilistiche necessarie per stabilire il collegamento di un certo evento ad un fatto. Nell’ambito di detta nozione di prevedibilità in tema di responsabilità aquiliana sono risarcibili anche i danni indiretti e mediati, purché appunto siano un effetto normale secondo il suddetto prin¬cipio della causalità adeguata. Tuttavia, in riferi¬mento all’illecito aquiliano per omissione colposa, detta nozione di prevedibilità statistica dev’essere adattata alla circostanza che in esso il giudizio causale assume come termine iniziale la condotta in quanto colposa (in senso proprio od improprio) e non la mera causalità materiale, di modo che per l’imputazione della responsabilità occorre che il danno sia una concretizzazione del rischio che la norma di condotta violata tendeva a prevenire, verificandosi un intreccio fra la causalità e la colpa, giacché la causalità nell’omissione non può essere meramente materiale, in quanto
ex nihilo nihil fit ed il suo accertamento postula un giudizio ipotetico sulla idoneità dell’azione prescritta e colpevolmente omessa ad impedire l’evento, pur restando, comunque, distinguibili il piano della causalità e quello della colpevolezza. Anche in relazione alla causalità nell’omissione in ordine all’illecito aquiliano resta applicabile il principio per cui, non avendo l’art. 2056 c.c. richiamato l’art. 1225 c:c., sono risarcibili sia i danni prevedibili che imprevedibili, atteso che le dette particolarità rilevano sul piano della causalità giuridica di cui all’art. 1223 c.c. e non su quello della causalità materiale di cui agli artt. 40 e 41 c.p.
Cass. civ. n. 3751/2005
In tema di risarcimento del danno (anche non patrimoniale), perché si configuri la responsabilità civile dell’autore di un fatto costituente reato non è richiesto che il fatto costituisca anche nel caso concreto un illecito penalmente sanzionato, essendo per converso sufficiente che esso corrisponda nella sua oggettività, ad una fattispecie astratta di reato.
Cass. civ. n. 15408/2004
In tema di risarcibilità del danno biologico, nel caso in cui intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni subite dalla vittima del danno e la morte causata dalle stesse, è configurabile un danno biologico risarcibile subito dal danneggiato, ed il diritto del danneggiato a conseguire il risarcimento è trasmissibile agli eredi, che potranno agire in giudizio nei confronti del danneggiante iure hereditatis. In tema di risarcimento dei danni, se il danneggiato si costituisce parte civile nel procedimento penale, la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento spiega efficacia di giudicato nel confronti suoi e di quanti furono parte in quel giudizio, ma la sua partecipazione al giudizio penale non preclude al danneggiato la possibilità di agire autonomamente in sede civile nei confronti di altri che ritenga — in ipotesi — corresponsabili nell’evento, nel qual caso il giudice civile potrà e dovrà procedere ad una nuova ed autonoma valutazione degli elementi di fatto già valutati dal giudice penale.
Cass. civ. n. 13077/2004
Il potere del Sindaco di emanare ordinanze contingibili ed urgenti ai fini di pubblico interesse, previsto dall’art. 153 R.D. 4 febbraio 1915, n. 48, costituisce manifestazione di prerogative statali, delle quali il Sindaco è partecipe nella veste di ufficiale di governo; ne consegue che dei danni derivanti ai privati dall’esercizio di tali poteri risponde lo Stato e non il Comune, anche sotto il profilo della violazione del dovere del neminem laedere in ipotesi di danno arrecato nell’esercizio di un potere discrezionale, quale quello attinente alla valutazione dell’urgenza del provvedimento e della sussistenza di un pubblico interesse, anche se il Sindaco si sia avvalso dell’opera di organi interni del Comune, ed anche se, come nella specie, il Sindaco si sia avvalso per l’esecuzione materiale dell’opera di un’impresa all’uopo designata, del tutto estranea alla organizzazione dell’ente territoriale.
Cass. civ. n. 7043/2004
La lesione di un interesse legittimo può essere fonte di responsabilità aquiliana, e quindi dar luogo a risarcimento del danno ingiusto, senza che rispetto al giudizio relativo al risarcimento del danno sia pregiudiziale l’accertamento dell’illegittimità dell’azione amministrativa da parte del giudice amministrativo. (Nella specie, la sentenza di merito, cassata sul punto, aveva sospeso il giudizio relativo al risarcimento del danno per mancata percezione di compensi da parte di direttore generale di azienda sanitaria locale, al quale la Regione aveva revocato la nomina a direttore generale e risolto il relativo contratto, ritenendo che fosse pregiudiziale l’accertamento dell’illegittimità del provvedimento di revoca).
Cass. civ. n. 5941/2004
Le illegittimità commesse dalla pubblica amministrazione nello svolgimento del procedimento di evidenza pubblica presupposto del contratto può dare luogo, in astratto, al risarcimento del danno anche se il danneggiato sia portatore di un interesse legittimo, dovendosi configurare come extracontrattuale la responsabilità dell’amministrazione per i danni cagionati nell’esercizio del potere provvedimentale.
Cass. civ. n. 4754/2004
I prossimi congiunti di persona deceduta a causa di un fatto illecito sono titolari iure hereditatis del diritto di agire quali eredi e nei limiti della relativa quota, per ottenere il risarcimento del danno biologico e di quello patrimoniale sofferto in vita dal defunto ed entrato a far parte del patrimonio di questi prima della sua morte, a condizione che sia intercorso un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni colpose e la morte causata dalle stesse, nè alla proponibilità di tale domanda da parte degli eredi osta la presentazione di altra domanda, volta a conseguire iure proprio nella qualità di prossimi congiunti del defunto, il risarcimento del danno morale, e dell’eventuale danno biologico o patrimoniale, subito direttamente a causa della morte del congiunto.
Cass. civ. n. 3867/2004
Tra lesione della salute e diminuzione della capacità di guadagno non sussiste alcun rigido automatismo. Ne consegue che in presenza di una lesione della salute, anche di non modesta entità, non può ritenersi ridotta in egual misura la capacità di produrre reddito, ma il soggetto leso ha sempre l’onere di allegare e provare, anche mediante presunzioni, che l’invalidità permanente abbia inciso sulla capacità di guadagno.
Cass. civ. n. 2423/2004
Presupposti della responsabilità diretta della pubblica amministrazione per atti compiuti dai suoi dipendenti sono l’esistenza di un rapporto di causalità tra l’atto o il comportamento del dipendente e l’evento dannoso e la riferibilità di tale atto alla stessa P.A. Nel compiere il relativo accertamento, il giudice deve stabilire altresì se il danno sia qualificabile come ingiusto, in relazione alla sua incidenza su di un interesse rilevante per l’ordinamento, e valutare secondo i normali criteri della prudenza la eventuale colpa dell’agente, nonché l’eventuale esistenza di norme regolamentari. (Fattispecie relativa all’uso di armi da parte di carabiniere che, per sventare una rapina, aveva esploso un colpo di pistola il quale aveva attinto, ferendolo, un terzo.)
Cass. civ. n. 19570/2003
La lesione di un interesse legittimo può essere fonte di responsabilità aquiliana, e quindi dar luogo a risarcimento del danno ingiusto, a condizione che risulti danneggiato, per effetto dell’attività illegittima della P.A., l’interesse al bene della vita al quale il primo si correla, e che detto interesse risulti meritevole di tutela alla stregua del diritto positivo, ma, qualora rilevi un interesse cosiddetto pretensivo(quale è quello di un aspirante alla nomina per la copertura di un posto di pubblico impiego all’esito di una procedura selettiva, nella specie direttore generale USL), il quale assicura solo che il bene in vista del quale è accordato sarà negato o concesso nel rispetto di determinate regole e non garantisce il conseguimento del bene suddetto, ne consegue che una volta conclusosi il procedimento di scelta del candidato l’interesse pretensivo ha trovato integrale soddisfazione, non vi è più spazio per far valere posizioni giuridicamente garantite e deve escludersi l’esistenza di un pregiudizio risarcibile. (Nella specie, la S.C. ha cassato, decidendo sulla domanda, la sentenza di merito che, in ipotesi di annullamento della delibera di nomina a direttore generale USL e conseguente inoperatività del connesso contratto, aveva condannato la P.A. al risarcimento del danno riconoscendo l’esistenza di un diritto soggettivo a seguito della nomina).
Cass. civ. n. 18945/2003
In tema di risarcimento del danno alla persona, la mancanza di un reddito al momento dell’infortunio per essere il soggetto leso disoccupato, può escludere il danno da invalidità temporanea, ma non anche il danno futuro collegato alla invalidità permanente che — proiettandosi per il futuro — verrà ad incidere sulla capacità di guadagno della vittima, al momento in cui questa inizierà una attività remunerata, salvo l’ipotesi che si tratti di disoccupazione volontaria, ovvero di un consapevole rifiuto dell’attività lavorativa
Cass. civ. n. 18467/2003
In tema di responsabilità civile, il comportamento irregolare del danneggiato può considerarsi concausa dell’evento dannoso solo quando abbia svolto, rispetto a quest’ultimo, ruolo di antecedente causale.
Cass. civ. n. 17940/2003
Il danno lamentato da un soggetto per la mancata partecipazione ad alcune pubbliche gare per il conferimento del servizio di accertamento e riscossione dell’imposta comunale sulle pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni, a causa della illegittima cancellazione dall’Albo Nazionale dei concessionari per la riscossione delle imposte sulla pubblicità, la iscrizione nel quale costituiva indispensabile requisito, va qualificato come danno per perdita di chanches e costituisce una ipotesi di danno patrimoniale futuro il cui ammontare può essere stabilito soltanto per presunzione, e liquidato in via equitativa, oppure attraverso il calcolo di probabilità, richiedente necessariamente l’ausilio di un esperto. La prova dell’esperimento di gare, nel periodo in cui sono perdurati gli effetti della cancellazione dall’Albo, basta a far presumere l’esistenza del danno, tradottosi nell’impossibilità di partecipare alle gare o di parteciparvi in condizioni di parità con gli altri concorrenti e, dunque, nella perdita della possibilità di realizzare probabili futuri guadagni, senza che occorra documentare gli inviti di partecipazione a tali gare, in quanto l’interessato avrebbe potuto esservi ammesso semplicemente su sua domanda.
Cass. civ. n. 8828/2003
Ove l’uccisione di una persona abbia leso in pari tempo situazioni giuridiche di soggetti diversi, legati alla vittima primaria da un vincolo coniugale o parentale, deve ritenersi sussistente, in capo al soggetto che ha posto in essere la condotta che ha causato la morte, l’elemento della prevedibilità dell’evento in relazione alla lesione, in danno dei superstiti, dell’interesse all’intangibilità delle relazioni familiari, atteso che la prevedibilità dell’evento dannoso deve essere valutata in astratto, e non in concreto, e che rientra nella normalità il fatto che la vittima sia inserita in un nucleo familiare, come coniuge, genitore, figlio o fratello.
Cass. civ. n. 488/2003
In tema di, responsabilità civile, qualora l’evento dannoso si ricolleghi a più azioni o omissioni il problema del concorso delle cause trova soluzione nell’art. 41, c.p. — norma di carattere generale, applicabile nei giudizi civili di responsabilità — in virtù del quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra dette cause e l’evento, essendo quest’ultimo riconducibile a tutte, tranne che si accerti la esclusiva efficienza causale di una di esse. In particolare, in riferimento al caso in cui una delle cause consiste in una omissione, la positiva valutazione sull’esistenza del nesso causale tra omissione ed evento presuppone che si accerti che l’azione omessa, se fosse stata compiuta, sarebbe stata idonea ad impedire l’evento dannoso ovvero a ridurne le conseguenze, e non può esserne esclusa l’efficienza soltanto perché sia incerto il suo grado di incidenza causale. (Nella specie, concernente un incidente stradale occorso su di un’autostrada a seguito del violento impatto di un autoveicolo contro lo spigolo di una galleria privo di barriera protettiva; in conseguenza del quale si verificava il decesso di uno dei passeggeri del veicolo, mentre il conducente ed un altro passeggero riportavano lesioni, la S.C., ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità della società concessionaria dell’autostrada, sull’assunto che la circostanza che era rimasta ignota la velocità e la traiettoria dell’autovettura non avrebbero permesso di ritenere che la presenza della barriera protettiva avrebbe evitato l’evento dannoso, ovvero ne avrebbe attenuato le conseguenze).
Cass. civ. n. 484/2003
In virtù del principio di regolarità causale, tutti gli antecedenti in mancanza dei quali un determinato evento dannoso non si sarebbe verificato debbono ritenersi causa del medesimo, salvo che non si accerti, ai sensi dell’art. 41, secondo comma, c.p., applicabile anche nel giudizio civile, che la causa prossima sia stata da sola idonea a produrla; accertato il concorso delle cause nella produzione dell’evento, la graduazione delle responsabilità ai fini del risarcimento dei danni deve essere effettuata avendo esclusivamente riguardo al loro grado di incidenza eziologica ed alla gravità della colpa di ciascuno dei concorrenti. (Nella specie, concernente un incidente stradale occorso tra due autoveicoli i cui conducenti, rispettivamente, procedevano a velocità elevata in un centro abitato e non rispettavano l’obbligo di precedenza, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, che aveva, dando rilievo assorbente al profilo — in sé — della proprietà temporale della relativa violazione, ritenuto il secondo conducente responsabile dei danni nella misura del 75% in quanto, violando l’obbligo di precedenza, avrebbe trasformato la condotta colposa del primo conducente da meramente potenziale a concretamente idonea a provocare il sinistro).
Cass. civ. n. 10898/2002
In tema di risarcimento del danno patrimoniale conseguente alla morte dei genitori, qualora i figli, a seguito di detto evento, siano stati accolti dai nonni e questi abbiano provveduto alle spese di mantenimento, istruzione ed educazione dei nipoti, sino al raggiungimento della loro indipendenza economica (nella fattispecie, fino al venticinquesimo anno di età), il pregiudizio patrimoniale risulta subito dai nonni medesimi, i quali hanno, pertanto, diritto al risarcimento delle dette spese, cui hanno dovuto far fronte, in totale sostituzione dei genitori; non pub, di conseguenza, attribuirsi un ulteriore risarcimento in favore dei figli per non aver beneficiato del sostentamento dei genitori, atteso che ciò configureerbbe una illegittima duplice liquidazione — ancorché in favore di beneficiari diversi — della stessa voce di danno.
Cass. civ. n. 10403/2002
È configurabile, ricorrendo i presupposti previsti dall’art. 2043 c.c., la responsabilità extracontrattuale di una società di revisione, per i danni derivati a terzi dall’attività di controllo e di certificazione del bilancio di una società quotata in borsa, anche nell’ipotesi di revisione volontaria, effettuata su incarico della società medesima. (Nella specie, la Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto la responsabilità extra-contrattuale della società di revisione per l’erronea certificazione dello stato patrimoniale di una società, compiuta su incarico di quest’ultima, nei confronti degli acquirenti delle quote societarie relative, che non avrebbero stipulato il contratto definitivo, esercitando il diritto di recesso stabilito nel preliminare, ove avessero conosciuto il reale e inferiore valore della società).
Cass. civ. n. 8157/2002
Gli atti che vengono compiuti dallo Stato nella conduzione di ostilità belliche si sottraggono totalmente al sindacato sia della giurisdizione ordinaria che della giurisdizione amministrativa, in quanto costituiscono manifestazione di una funzione politica, attribuita dalla Costituzione al Governo della Repubblica, rispetto alla quale non è configurabile una situazione di interesse protetto a che gli atti, in cui detta funzione si manifesta, assumano o meno un determinato contenuto. (In applicazione del principi di cui in massima, le Sezioni unite hanno dichiarato il difetto di giurisdizione sulla domanda di risarcimento del danno proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della difesa in relazione alla avvenuta distruzione, nel corso delle operazioni aeree della Nato contro la Repubblica federale di Jugoslavia, di un obiettivo non militare, e al conseguente decesso di alcuni civili).
Cass. civ. n. 4766/2002
La realizzazione dell’opera pubblica su fondo privato, qualora il decreto di occupazione sia stato annullato dal giudice amministrativo, comporta, configurandosi l’illegittimità ab origine dell’occupazione, che il fondo è acquisito alla mano pubblica al momento dell’irreversibile trasformazione del fondo, e con riferimento a tale momento, e non al passaggio in giudicato della sentenza, deve essere valutato il bene ai fini del risarcimento del danno, e decorrono gli interessi sulla somma liquidata.
Cass. civ. n. 4205/2002
I danni patrimoniali futuri risarcibili sofferti dal coniuge di persona deceduta a seguito di fatto illecito, ravvisabile nella perdita di quei contributi patrimoniali o di quelle utilità economiche che, sia in relazione ai precetti normativi (artt. 143, 433 c.c.) che perla pratica di vita improntata a regole etico-sociali di solidarietà e di costume, il defunto avrebbe presumibilmente apportato, assumono l’aspetto del lucro cessante, ed il relativo risarcimento è collegato ad un sistema presuntivo a più incognite, costituite dal futuro rapporto economico tra i coniugi e dal reddito presumibile del defunto, ed in particolare dalla parte di esso che sarebbe stata destinata al coniuge; la prova del danno è raggiunta quando, alla stregua di una valutazione compiuta sulla scorta dei dati ricavabili dal notorio e dalla comune esperienza, messi in relazione alle circostanze del caso concreto, risulti che il defunto avrebbe destinato una parte del proprio reddito alle necessità del coniuge o avrebbe apportato al medesimo utilità economiche anche senza che ne avesse bisogno.
Cass. civ. n. 2380/2002
L’ente pubblico è responsabile del danno morale provocato dalla condotta del suo dipendente, nell’esercizio delle incombenze a lui affidate, soltanto allorché tale condotta costituisca reato, il quale è accertabile incidenter tantum anche dal giudice civile in difetto di cognizione del giudice penale.
Cass. civ. n. 11955/2001
La risarcibilità dei danni derivanti ai soggetti privati dall’emanazione di atti o provvedimenti illegittimi della P.A., lesivi di situazioni di interes se legittimo, dipende in concreto dal necessario accertamento dell’effettività del danno e della sua ingiustizia, dall’esistenza di un nesso causale fra l’evento ed il comportamento illegittimo della P.A. e dalla sussistenza di una componente di dolo o colpa dell’amministrazione, che va verificata dal giudice in ragione di un esercizio dell’azione amministrativa che risulti in violazione di regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, che si pongono come limiti esterni alla discrezionalità. (Nella specie, la Suprema Corte, in applicazione di tale principio, ha confermato la sentenza di merito che aveva accolto la domanda di risarcimento proposta da un dipendente postale, che, avendo partecipato ad un concorso interno per l’inquadramento in una superiore qualifica, era stato ammesso con grave ritardo a sostenere la prova orale, a causa della formulazione, da parte della commissione esaminatrice, di un giudizio negativo erroneo nella valutazione della sua prova scritta).
Cass. civ. n. 10893/2001
La responsabilità del proprietario o del concessionario di un’autostrada nei confronti del conducente un autoveicolo ha natura extracontrattuale, in quanto il pagamento del pedaggio (ove previsto) non determina la nascita di un rapporto contrattuale, ma si risolve in una prestazione pecuniaria imposta all’utente per poter usufruire di un pubblico servizio.
Cass. civ. n. 10213/2001
La responsabilità aquiliana per fatto illecito di un’associazione non riconosciuta chiamata a rispondere con il proprio fondo comune (art. 37 c.c.) si fonda sul rapporto organico e sul generale principio che rende responsabili le persone fisiche e gli enti giuridici per l’operato dannoso di coloro che sono inseriti nell’organizzazione burocratica o aziendale.
Cass. civ. n. 9424/2001
In tema di espropriazione per pubblica utilità, qualora una cooperativa edilizia, cui il Comune espropriante abbia delegato il compimento della procedura espropriativa, oltre a conferire l’incarico della realizzazione del programma di alloggi sociali cui la stessa è finalizzata, non abbia ottenuto la pronuncia del decreto di esproprio prima della scadenza del termine dell’occupazione legittima, ma, consapevole della illegittimità del persistere di questa, abbia provveduto alla esecuzione dell’opera e reso irreversibile la destinazione pubblica dell’area permanendo nel possesso dell’immobile espropriato dopo la scadenza di detto termine, è alla cooperativa stessa che, in veste di autrice materiale della cosiddetto «occupazione acquisita», deve imputarsi l’illecito aquiliano risultante dal concorso della radicale trasformazione del bene e della illegittimità della occupazione in ragione del perdurare di questa senza titolo, ricadendo sul delegato l’onere di attivarsi affinché il decreto di esproprio intervenga tempestivamente; sussiste, tuttavia, in tale ipotesi, una corresponsabilità solidale dell’Ente delegante, il quale avrebbe dovuto promuovere la procedura espropriativa, atteso che questa si svolge non solo in nome e per conto del Comune, ma altresì d’intesa con esso, sicché è da ritenere che detto Ente conservi un potere di controllo o di stimolo dei comportamenti del delegato, il cui mancato o insufficiente esercizio obbliga lo stesso delegante, in presenza di tutti i presupposti, al relativo risarcimento ai sensi del combinato disposto degli artt. 2043 e 2055 c.c., ferma la necessità, una volta accertata la configurabilità dell’illecito aquiliano a carico del delegato, di quantificare, nel medesimo giudizio, ove richiesto dal delegato medesimo, la misura della colpa e del contributo causale nella determinazione dell’illecito ai fini di una possibile azione di rivalsa nei confronti del delegante.
Cass. civ. n. 7507/2001
Nel caso di lesioni personali seguite da trattamento sanitario che, in luogo di determinarne la guarigione, le abbiano aggravate (o abbiano addirittura provocato la morte del paziente), l’eventuale negligenza o imperizia dei medici non esclude, di per sè, il nesso di causalità tra la condotta lesiva dell’agente e l’evento finale, poiché la colpa del sanitario, ancorché grave, non pub rienersi causa autonoma ed indipendente rispetto al comportamento dell’autore dell’illecito che, provocando il fatto lesivo, ne abbia reso necessario l’intervento. L’intervento medico è, difatti, vicenda sicuramente tipica e prevedibile, mentre lo stesso errore professionale, non potendo, di per sè, ritenersi fatto del tutto imprevedibile o inverosimile, si inserisce del tutto legittimamente nella serie causale originata dall’azione offensiva rispetto alla quale costituisce, dunque, momento normale di evoluzione, poiché le modalità con cui i sanitari operano non realizzano quella situazione di sufficienza causale sopravvenuta nella determinazione dell’evento dalla quale il legislatore fa dipendere l’esclusione del rapporto di causalità rispetto a tutti gli antecedenti comunque riferibili all’evento.
Cass. civ. n. 6023/2001
L’individuazione del rapporto di causalità tra evento e l’ultimo fattore di una serie causale non esclude la rilevanza di quelli anteriori, che abbiano avuto come effetto di determinare la situazione su cui il successivo è venuto ad innestarsi, il limite alla configurazione del rapporto di causalità tra antecedente ed evento essendo rappresentato solo dalla idoneità della causa successiva ad essere valutata, per la sua eccezionalità rispetto al decorso causale innescato dal fattore remoto, come causa sufficiente ed unica del danno. (Nell’enunciare il principio di cui in massima, la Suprema Corte ha riconosciuto immune da censure la valutazione, contenuta nella sentenza impugnata, di sussistenza del nesso di causalità tra l’evento epatite da trasfusioni e un incidente stradale nel quale le lesioni prodotte avevano richiesto di eseguire sull’infortunato un intervento chirurgico, nel quale si era fatto ricorso alle trasfusioni).
Cass. civ. n. 2335/2001
In materia di rapporto di causalità nella responsabilità extracontrattuale, in base ai principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p., qualora le condizioni ambientali od i fattori naturali che caratterizzano la realtà fisica su cui incide il comportamento imputabile dell’uomo siano sufficienti a determinare l’evento di danno indipendentemente dal comportamento medesimo, l’autore dell’azione o della omissione resta sollevato, per intero, da ogni responsabilità dell’evento, non avendo posto in essere alcun antecedente dotato in concreto di efficienza causale; qualora, invece, quelle condizioni non possano dar luogo, senza l’apporto umano, all’evento di danno, l’autore del comportamento imputabile è responsabile per intero di tutte le conseguenze da esso scaturenti secondo normalità; in tal caso, infatti, non può operarsi una riduzione proporzionale in ragione della minore gravità della sua colpa, in quanto una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrente può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile. (Nella specie il giudice di merito aveva graduato percentual¬mente la responsabilità del medico in un caso in cui alla produzione del danno — tetraparesi spastica in neonato — avevano concorso il colposo ritardo nella somministrazione di farmaci ossitociti e nell’esecuzione del parto cesareo con conse¬guente asfissia neonatale del feto e un episodio di apnea verificatosi al trentaquattresimo giorno di vita; la Suprema Corte, in applicazione dell’esposto principio, ha cassati con rinvio).
Cass. civ. n. 16009/2000
L’istantaneità o la permanenza del fatto illecito extracontrattuale deve essere accertata con riferimento non già al danno, bensì al rapporto eziologico tra questo ed il comportamento contra ius dell’agente, qualificato dal dolo o dalla colpa. Mentre nel fatto illecito istantaneo tale comportamento è mero elemento genetico dell’evento dannoso e si esaurisce con il verificarsi di esso, pur se l’esistenza di questo si protragga poi autonomamente (fatto illecito istantaneo ad effetti permanenti), nel fatto illecito permanente il comportamento contra ius a produrre l’evento dannoso, lo alimenta continuamente per tutto il tempo in cui questo perdura, avendosi cosa coesistenza dell’uno e dell’altro.
Cass. civ. n. 15499/2000
In tema di invalidità, qualora i postumi permanenti, anche se di modesta entità o micropermanenti ai fini della liquidazione del danno biologico, menomino la capacità lavorativa specifica e producano una corrispondente diminuzione della capacità di guadagno e quindi del reddito derivante dall’attività in concreto svolta dal soggetto, la liquidazione del danno da lucro cessante deve avvenire con un criterio (quello tabellare) che sia idoneo ad assicurare un risarcimento proporzionato al pregiudizio ricevuto, sulla base del reddito professionale accertato.
Cass. civ. n. 15027/2000
In tema di danni alla persona, postumi permanenti di modesta entità (cosiddetta micropermanente), di norma, salva diversa prova contraria, il cui onere incombe sul danneggiato, non incidono concretamente sulla capacità lavorativa specifica, rimanendo valutabili soltanto come danno biologico, ove l’attività prestata dal danneggiato abbia carattere libero-professionale o impiegatizio, e, quindi, sia essenzialmente intellettuale. Al contrario, in caso di svolgimento di attività manuale particolarmente faticosa ed usurante (nella specie, attività di muratore), anche una invalidità inferiore alla percentuale del 10 per cento — convenzionalmente indicata come limite della micropermanente — è idonea a ridurre la capacità lavorativa specifica del danneggiato, incidendo sulle sue prospettive di guadagno.
Cass. civ. n. 12757/2000
I postumi permanenti di modesta entità (c.d. micropermanente) non si traducono, di regola, in una proporzionale riduzione della capacità lavorativa specifica. Resta, tuttavia, ferma la possibilità del danneggiato di dimostrare che il danno, sia pur lieve, abbia una concreta incidenza sulle sue possibilità di guadagno futuro.
Cass. civ. n. 10733/2000
L’usufruttuario ha un’autonoma legittimazione ad agire ai sensi dell’art. 2043 c.c. per il risarcimento del danno cagionato da un terzo al bene oggetto del suo diritto (nel caso di specie l’usufruttuario lamentava fatti integranti una riduzione del suo diritto di godimento, consistenti nel crollo del muro di contenimento del fabbricato in usufrutto).
Cass. civ. n. 10719/2000
Perché una persona giuridica possa essere chiamata a rispondere di danni morali non è necessario che un reato sia stato commesso dal proprio legale rappresentante, essendo invece sufficiente, per il rapporto di immedesimazione organica, che esso sia stato commesso anche solo in parte dal dipendente. In tema di nesso di causalità nell’illecito extracontrattuale, il principio dell’equivalenza delle cause posto dall’art. 41 c.p. sta a significare che tutti gli antecedenti in mancanza dei quali l’evento dannoso non si sarebbe verificato, sono causa efficiente di esso, salvo che sia intervenuta una causa prossima idonea da sola a produrlo, la quale interrompe il nesso causale a norma del secondo comma dello stesso art. 41.
Cass. civ. n. 7713/2000
Poiché l’articolo 2043 c.c., correlato agli artt. 2 ss. Costituzione, va necessariamente esteso fino a ricomprendere il risarcimento non solo dei danni in senso stretto patrimoniali ma di tutti i danni che almeno potenzialmente ostacolano le attività realizzatrici della persona umana, la lesione di diritti di rilevanza costituzionale va incontro alla sanzione risarcitoria per il fatto in sé della lesione (danno evento) indipendentemente dalle eventuali ricadute patrimoniali che la stessa possa comportare (danno conseguenza). (Nella specie,
in applicazione di tale principio la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva riconosciuto il diritto al risarcimento del danno, liquidato in via equitativa, del figlio naturale in conseguenza della condotta del genitore, tale riconosciuto a seguito di dichiarazione giudiziale, che per anni aveva ostinatamente rifiutato di corrispondere al figlio i mezzi di sussistenza con conseguente «lesione in sé» di fondamentali diritti della persona inerenti alla qualità di figlio e di minore).
Cass. civ. n. 3726/2000
In tema di responsabilità civile della pubblica amministrazione per avere illegittimamente adottato ed eseguito un provvedimento con sacrificio di una situazione di interesse protetto del privato, perché tale responsabilità sussista è necessario che la pubblica amministrazione abbia tenuto un comportamento doloso o colposo. Tuttavia, quando si sia formato il giudicato sull’annullamento pronunziato dal giudice amministrativo, la sentenza del giudice ordinario che dichiari equivalere la colpa all’illegittimità accertata non è affetto da vizio di violazione di norma di diritto, ma può essere censurata per difetto di motivazione, se il giudice non abbia tenuto in considerazione circostanze, la cui valutazione avrebbe potuto condurre ad escludere nel caso concreto l’esistenza della colpa. Ove la legge non impedisca in modo assoluto al privato di svolgere un’attività ma ne subordini l’esercizio ad autorizzazione, licenza, nulla osta o altro atto di consenso comunque denominato, l’interesse all’esercizio di quell’attività riceve protezione dall’ordinamento. Consegue, che nei casi considerati il privato ha diritto al risarcimento del danno se subisce un pregiudizio per il fatto che la pubblica amministrazione, attraverso un comportamento colposo, consistito nella violazione di regole d’imparzialità, correttezza e buona amministrazione, abbia in modo illegittimo rifiutato o ritardato il consenso all’esercizio dell’attività ovvero imposto che l’attività iniziata sia sospesa o abbandonata.
Cass. civ. n. 1646/2000
In tema di liquidazione del danno patrimoniale in favore dei genitori di un soggetto deceduto, qualora venga dedotto non già il generale pregiudizio inerente alla perdita della futura assistenza economica, che i genitori hanno ordinariamente ragione di attendersi dalla prole, bensì quello, particolare, derivante dalla cessazione dell’attività di un’azienda familiare, costituita in forma di società a responsabilità limitata, e curata personalmente dal predetto figlio deceduto, tale pregiudizio deve essere oggetto di specifica dimostrazione, in quanto la cessazione dell’attività di una società di capitali non può essere considerata conseguenza automatica ed inevitabile del venir meno di chi ne abbia la dirigenza o ne curi, comunque, le relazioni d’affari. (Nella fattispecie, alla stregua di tale principio, la S.C. ha confermato la pronuncia della corte di merito che aveva confermato il rigetto, da parte del giudice di prime cure della istanza risarcitoria dei genitori
del deceduto, in quanto non provata, ritenendo inammissibile, per ininfluenza, la prova testimoniale, dedotta dagli attori, sulla circostanza della nomina del figlio, poco prima del decesso, quale «agente generale d’affari» della società).
Cass. civ. n. 13358/1999
La circostanza che i genitori di persona rimasta gravemente minorata in conseguenza dell’altrui atto illecito non abbiano, fino al momento delle lesioni, avuto bisogno dell’aiuto economico della vittima, non è da sola sufficiente ad escludere l’esistenza di un danno patrimoniale futuro in capo ai congiunti. La liquidazione di tale danno dovrà essere accordata dal giudice quando risulti, anche in base a fatti notori e dati di comune esperienza, che una contribuzione della vittima in favore dei genitori sarebbe stata possibile e verosimile, tenendo conto anche delle somme liquidate al leso a titolo di risarcimento del danno da perduta capacità di produrre reddito.
Cass. civ. n. 12756/1999
I genitori di persona minore di età, deceduta in conseguenza dell’altrui atto illecito, ai fini della liquidazione del danno patrimoniale futuro hanno l’onere di allegare e provare, anche per mezzo di presunzioni semplici, che il figlio deceduto avrebbe verosimilmente contribuito ai bisogni della famiglia.
Cass. civ. n. 6233/1999
È del tutto legittima, rientrando nel potere dispositivo della parte, la proposizione cumulativa dell’azione contrattuale e di quella extracontrattuale, qualora si assuma che, con un unico comportamento, sono stati violati sia gli obblighi derivanti dal contratto, sia il generale dovere del neminem laedere.
Cass. civ. n. 108/1999
In caso di inadempimento contrattuale il terzo il quale abbia, colposamente o dolosamente, arrecato un contributo causale alla condotta inadempiente di una delle parti, è tenuto al risarcimento del danno, a titolo extracontrattuale, in solido con il contraente inadempiente, purché sia dimostrata l’esistenza d’un valido nesso causale tra il danno subito dal creditore e la condotta del terzo.
Cass. civ. n. 10247/1998
Gli enti pubblici che hanno la gestione e l’obbligo di manutenzione di strade ordinarie non sono tenuti a realizzare, in ogni caso, tutte le strutture accessorie ad esse (quali ad es. canali di scolo delle acque, reti di protezione per caduta massi, ecc.) né tutte le misure cautelari (muretti laterali, guard-rails, segnalazioni luminose ai bordi stradali ecc.) dipendendo l’esigenza di adottare tali misure dalle caratteristiche e dalla natura di ciascuna strada, secondo una valutazione discrezionale della pubblica amministrazione, la quale pertanto potrà dotare di dette protezioni solo alcune parti di una strada e non altre, purché la soluzione di continuità dell’opera protettiva sia visibile per l’utente e purché l’opera, per come in concreto realizzata, non costituisca essa stessa un’insidia e cioè una situazione di pericolo così non visibile e non prevedibile.
Cass. civ. n. 23/1988
I cosiddetti danni patrimoniali futuri risarcibili a favore dei genitori e dei fratelli di un minore deceduto a seguito di fatto illecito, vanno ravvisati nella perdita o nella diminuzione di quei contributi patrimoniali o di quelle utilità economiche che – sia in relazione a precetti normativi (artt. 315, 433, 230 bis c.c.) che per la pratica di vita improntata a regole etico-sociali di solidarietà familiare e di costume – presumibilmente e secondo un criterio di normalità il soggetto venuto meno prematuramente avrebbe apportato, alla stregua di una valutazione che faccia ricorso anche alle presunzioni ed ai dati ricavabili dal notorio e dalla comune esperienza, con riguardo a tutte le circostanze del caso concreto (composizione del nucleo familiare, condizioni economico-sociali, attività esercitata dai genitori e dagli altri congiunti). (Nella specie, ribadendo il principio di cui alla massima, la S.C. ha cassato per vizio di motivazione la pronuncia di merito che aveva negato la risarcibilità sulla base dell’impossibilità di una previsione certa conseguente al solo dato dell’età eccessivamente precoce della vittima).
[adrotate group=”7″]