La Cassazione si pronuncia sul sequestro di bitcoin nei reati fiscali
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 1760 del 15.1.2025 si è inserita nel dibattito sulla natura giuridica delle criptovalute e sulla loro assoggettabilità a misure cautelari reali in ambito tributario.
Il ricorrente ha impugnato l’ordinanza del Tribunale del riesame di Firenze, che aveva confermato il sequestro probatorio di un ammontare in bitcoin quale profitto del reato di dichiarazione infedele [art. 4 d.lgs. n. 74/2000], articolando due motivi di ricorso:
– l’erronea equiparazione della valuta virtuale al profitto del reato tributario, con conseguente illegittimità del sequestro per equivalente;
– la carenza di motivazione dell’ordinanza impugnata, che non ha chiarito le ragioni giuridiche alla base della decisione.
La Corte di legittimità ha accolto entrambi i motivi di ricorso, ritenendo fondate le censure mosse alla decisione del Tribunale del riesame.
Uno fra i punti centrali della decisione riguarda la qualificazione giuridica del bitcoin nell’ambito dei reati tributari.
La difesa ha evidenziato l’erroneità dell’assimilazione tra criptovaluta ed euro, sottolineando che il profitto del reato tributario è rappresentato dall’imposta evasa, che deve necessariamente essere espressa in valuta avente corso legale nello Stato.
I Giudici dell’Ermellino hanno rilevato che l’ordinanza impugnata non ha adeguatamente motivato la riconducibilità della criptovaluta al concetto di profitto diretto del reato, bensì ha finito per ammettere un sequestro per equivalente in assenza dei relativi presupposti normativi. Infatti, il bitcoin non può considerarsi mezzo diretto di pagamento di un tributo, né può essere automaticamente ricondotto all’importo dell’imposta evasa, proprio in ragione della sua natura di asset digitale soggetto a fluttuazioni di valore.
Sul punto, la Corte ha evidenziato che “il Tribunale del riesame […] afferma la sussistenza del nesso di derivazione tra i bitcoin sottoposti a sequestro ed il reato, senza adeguatamente confrontarsi con le critiche contenute nell’atto di gravame” con l’effetto di non aver chiarito in che modo la criptovaluta possa rappresentare il profitto del reato in termini giuridicamente sostenibili.
Il secondo profilo di censura accolto dalla Corte riguarda il difetto di motivazione dell’ordinanza impugnata. Quest’ultima si è limitata a confermare il decreto di sequestro, senza spiegare le ragioni giuridiche per cui la valuta virtuale potesse essere considerata il profitto diretto del reato e senza confrontarsi con le argomentazioni difensive.
Richiamando la giurisprudenza consolidata, la Corte ha ribadito che una motivazione meramente apparente o priva di requisiti minimi di logicità e completezza costituisce violazione di legge rilevante ai sensi dell’art. 325 c.p.p. Sul punto, si legge nella sentenza che “l’ordinanza è, per un verso, carente di motivazione in ordine al presupposto della finalità probatoria perseguita in funzione dell’accertamento dei fatti […] e, per altro verso, nel qualificare come profitto del reato di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000 l’ammontare dell’imposta evasa collegata alle plusvalenze derivanti da operazioni di trading di criptovalute attraverso account aperti presso diversi exchange, afferma la sussistenza del nesso di derivazione tra i bitcoin sottoposti a sequestro ed il reato, senza adeguatamente confrontarsi con le critiche contenute nell’atto di gravame” [cfr. Cass. SSS. UU. n. 5876/2004].
In altri termini, la Corte ha censurato il fatto che il Tribunale del riesame abbia confermato il sequestro senza fornire un’adeguata giustificazione giuridica, limitandosi a richiamare genericamente gli atti di indagine.
L’accoglimento del ricorso ha comportato l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, con obbligo per il Tribunale del riesame di Firenze di riesaminare la legittimità del sequestro alla luce dei principi espressi dalla Cassazione.
- il bitcoin non è assimilabile alla moneta avente corso legale e non può automaticamente essere qualificato come profitto del reato tributario;
- il sequestro per equivalente non può essere disposto in assenza dei presupposti normativi, soprattutto in ambito fiscale;
- le misure cautelari reali richiedono una motivazione rigorosa, che deve evidenziare il nesso diretto tra il bene sequestrato e il reato contestato.
Riferimenti normativi
D.Lgs. n. 74/2000 art. 4