18 Set L’assegnazione della casa familiare, in assenza di figli, nel corso di una separazione o divorzio
In sede di separazione coniugale, in assenza di figli, come viene regolato il godimento della casa coniugale?
Il destino dell’abitazione nelle vicende legate alla crisi del rapporto coniugale rappresenta il crocevia di delicate problematiche, che toccano interessi esistenziali della famiglia. Non v’è infatti dubbio che, in occasione della crisi matrimoniale, l’assegnazione della casa adibita a residenza della famiglia rappresenti uno degli argomenti di maggior conflitto, considerato che, in tale tematica, vengono a scontrarsi esigenze e diritti contrapposti, tutti oggetto di esplicita tutela costituzionale: da un lato, l’esigenza del coniuge, non proprietario, di continuare ad abitare nella casa che ha rappresentato il centro degli affetti e dell’organizzazione domestica; dall’altro, la necessità di tutelare il diritto, costituzionalmente garantito, alla proprietà privata.
Per rispondere alla domanda posta, occorre procedere anzitutto con la lettura delle norme codicistiche e della legge sul divorzio.
L’art. 155 quater c.c., introdotto dalla Legge 8 febbraio 2006 n. 54, disciplina l’assegnazione della casa familiare e prescrive che il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili ai sensi dell’art. 2643.
Nel caso in cui uno dei coniugi cambi la residenza o il domicilio, l’altro coniuge può chiedere, se il mutamento interferisce con le modalità dell’affidamento, la ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti adottati, ivi compresi quelli economici.
L’art. 6,comma 6, Legge 1 dicembre 1970 n. 898, stabilisce che l’abitazione della casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età. In ogni caso ai fini dell’assegnazione il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole. L’assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi del’art. 1599 del codice civile.
Dalle norme di legge si evince che l’interesse della prole, se presente, è tenuto in considerazione in via prioritaria. Il diritto della prole a rimanere nell’ambiente cui era abituata è volto non solo a mantenere la permanenza nelle mura domestiche ma, spesso, anche alla possibilità di continuare a frequentare senza disagi la stessa scuola, la stessa comitiva di amici e usufruire di tutti i servizi che il quartiere dove abitava era solito offrire.
In altri termini, solo l’interesse dei figli a non subire ulteriori cambiamenti dovuti alla crisi familiare e solo l’interesse dei figli a conservare un minimo di continuità e regolarità di vita sono gli unici motivi che possono spingere a sacrificare il diritto di proprietà.
Ne consegue, che presupposto per l’assegnazione della casa familiare è l’affidamento dei figli minorenni o la convivenza con i figli maggiorenni non ancora autosufficienti economicamente. Va precisato che il conseguimento della maggiore età non comporta un’automatica decadenza dell’assegnazione della casa familiare, ma per estinguere il diritto di abitazione è anche necessario che i figli diventino economicamente autosufficienti. Quindi, solo quando i figli diventano autosufficienti (e maggiorenni) il provvedimento di assegnazione della casa familiare può essere eliminato. Questo perché riamane fermo il principio secondo il quale, il provvedimento di assegnazione della casa familiare (come gli altri provvedimenti relativi alla separazione e al divorzio) è suscettibile di modifica al variare delle condizioni dei coniugi e della prole.
Pertanto, in assenza di figli, il giudice non può adottare alcun provvedimento di assegnazione e il godimento dell’immobile è regolato dalle norme che discendono dal titolo giuridico su cui esso si fonda.
L’assegnazione non può essere quindi disposta dal giudice, in assenza di figli, per sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole, in sostituzione dell’assegno di mantenimento, non avendo una funzione assistenziale (Corte di Cassazione 22 marzo 2007 n. 6979).
Pertanto, il coniuge più debole andrà altrimenti tutelato in sede di regolamento economico degli interessi di ciascun membro della coppia, tenendo peraltro conto dell’incidenza sul reddito che la disponibilità della casa di abitazione può assumere (Corte di Cassazione 18 febbraio 2008 n. 3934).
Nel caso in cui la casa rientri nel regime di comunione dei coniugi, andrà applicata la disciplina della comunione in generale e, quindi, quella della divisione dei beni.